Sul settimanale “D – La Repubblica delle donne” il filosofo e psicoanalista Umberto Galimberti risponde, nell’ambito della sua rubrica, ad un lettore che scrive quanto segue: «…la tradizione cristiana ci dice: “…ama il prossimo tuo come te stesso…”. Mi pare che il vero significato di questa frase non sia tanto nell’altruistico gesto d’amore verso gli altri, quanto nella capacità di “amare se stessi” PRIMA di poter “amare gli altri”». E’ realmente così? Galimberti risponde citando un altro psicoanalista, Luigi Zoja, che si pone un interrogativo: se, come ha annunciato Nietzsche a fine Ottocento,”Dio è morto”, passato il Novecento, non è tempo di dire che anche il prossimo è morto? Lo abbiamo “ucciso” noi? Gesù nel Vangelo, rispondendo a chi gli chiedeva come ottenere la vita eterna, risponde di osservare i comandamenti e di amare Dio con tutte le proprie forze e il prossimo come se stessi. E quando l’interlocutore esprime dubbi sul prossimo, ma certezze sulla propria integrità, Gesù racconta la cosiddetta “Parabola del buon Samaritano”. Ma allora l’egoismo e la paura dell’altro non conoscono differenze derivanti dall’epoca, dalla società, dalla professione o da altro ancora? Qual è il rapporto fra depressione ed eliminazione del prossimo dal proprio orizzonte personale? Mario Calvagno e Carmen Zammataro, redattori di RVS, intervistano il dott. Lucio Altin, pastore, responsabile del Dipartimento della Famiglia dell’Unione Italiana delle Chiese Cristiane Avventiste. Ha conseguito un master negli Stati Uniti in terapia della famiglia.

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