Denisa Selagea – “Il perdono è la vendetta più dolce” – Jerome Isaac Friedman. 
Portiamo nel nostro cuore frammenti di tempo, ricordi del passato, che si seccano nella brezza delle emozioni passate. A volte li sfogliamo, dopo che i bambini sono andati a letto, rivivendo con l’anima i luoghi e i volti di quel tempo. Alcuni sono ruvidi, altri sono delicati e fini, intrecciati con amore. A volte andiamo troppo in profondità, spezzando il nostro cuore in frammenti di rimpianto, acuiti dal dolore e dai problemi.

Non importa per quanti anni li avvolgiamo, il loro limite percorre il passato e il presente, tagliando ancora una volta i nostri pensieri, derubandoci della gentilezza, lasciandoci privi di bontà e bellezza. Solo il perdono può incollare di nuovo insieme i nostri pezzi, rendendoci di nuovo integri e capaci di amare ancora una volta senza rimpianti e senza trattenere nulla.

Il perdono è diventato una virtù quasi arcaica che, quando ci raggiunge, si riduce a un’espressione di impotenza o di esasperazione: “Ti ho perdonato una, due volte, ma basta”. Usando scuse, creiamo tutti i tipi di definizioni da adattare alle nostre proprie esigenze.

Alcuni psicologi affermano che il perdono implica la volontà di abbandonare il proprio diritto al risentimento, al giudizio e all’atteggiamento negativi nei confronti di un colpevole, promuovendo al contempo le qualità immeritate di compassione, empatia e buona volontà verso il proprio offensore.[1]

In pratica, però, il perdono arriva in un’infinità di sfumature. Nella seconda parte del suo libro The Sunflower on the Possibilities and Limits of Forgiveness [in italiano Il girasole. I limiti del perdono, Garzanti 2000], Simon Wiesenthal presenta decine di definizioni di perdono nel contesto della Shoah, da varie prospettive spirituali.

Dal punto di vista più positivo, Theodore Hesburgh, prete ed educatore cattolico, ha detto che “avrebbe perdonato chiunque se lo avesse chiesto, perché Dio perdona”. Il Dalai Lama, leader spirituale buddista, ha risposto che “avrebbe perdonato ma non dimenticato le atrocità commesse”. Dennis Prager, che si definisce ebreo religioso, ha affermato che “il peccato dell’omicidio non potrebbe mai essere perdonato perché l’unica persona che potrebbe perdonare non è più in vita”.

All'estremo opposto, Sidney Shachnow, uno dei sopravvissuti alla Shoah, si rifiuta completamente di perdonare gli ufficiali delle SS, sostenendo che alcune atrocità non possono in alcun modo essere perdonate.[2]

Ciò che segue da queste prospettive è che il perdono può essere definito anche da ciò che non fa: non cancella l’offesa o il dolore causato; non giustifica, ma al contrario nomina il male e chiede a chi lo ha commesso di sopportare le conseguenze della propria azione. Soprattutto nei casi di abuso, il perdono non deve mai suggellare una riconciliazione che porti alla perpetuazione del male originario.

Lo psicologo Everett Worthington vede le atrocità naziste da una prospettiva diversa. In uno dei suoi molti libri sul perdono presenta la reazione di Yehiel Dinur, anche lui sopravvissuto alla Shoah, che fu testimone durante il processo del criminale di guerra nazista Adolf Eichmann. A tu per tu con Eichmann, Dinur vide se stesso e dietro di lui tutta l’umanità. Vide il male covare in ognuno di noi, pronto a prendere il controllo del nostro essere, se le circostanze lo permetteranno. "Eichmann è in ognuno di noi", dice Dinur, inorridito. La distanza morale tra noi e i mostri che ci tormentano potrebbe essere molto più piccola di quanto immaginassimo. Questa comprensione può rendere il perdono più facile da sopportare. 

"Attento che, quando combatti i mostri, tu stesso non diventi un mostro" – Friederich Nietzsche 

La mostruosità del male è contagiosa. Il filosofo tedesco Friederich Nietzsche ci ha messo in guardia dal pericolo di avvicinarsi al male seguendolo da vicino nei nostri pensieri e nelle nostre azioni. Può trasformarci in mostri in qualsiasi momento. Allo stesso modo, l’apostolo Paolo ci assicura che anche la ricerca del bene è contagiosa. Guardando Dio, siamo rimodellati a sua immagine. Vedendo la gloria del Signore, noi "siamo trasformati a sua immagine" (2 Corinzi 3:18). Giacobbe ha lottato con Dio e Dio gli ha permesso di ottenere un carattere migliore e più degno del cielo (Genesi 32).

Il tocco del male e gli effetti della trasformazione che produce sono estremamente costosi. Ci costano la nostra pace, amore, misericordia, il senso di sicurezza, la famiglia e le amicizie e, ultimo ma non meno importante, la fede in un mondo migliore e più giusto.[3]

Il tocco di Dio e la trasformazione a sua immagine è un processo rigenerante. Iniziamo svuotando le nostre anime dalle ansie e dalle depressioni, dalle paure e dalla rabbia.

Gesù perdona tutti, settantasette volte [cioè ogni volta che glielo chiediamo, ndr], e poi riempie le nostre borse di fede, ottimismo e autocontrollo. Ci guarisce dagli incubi del passato e rafforza i giorni che ci rimangono in un corpo più forte e vigoroso. E non è tutto. La guarigione che porta il perdono si estenderà anche a coloro che ci hanno fatto un torto. Secondo lo scrittore Jean Hampton, il perdono offerto a un malfattore può separare il male da chi lo fa, avendo il potere di guarire la loro ribellione contro il bene e ammorbidire il loro cuore indurito.[4]

"Errare è umano, perdonare è divino"  – Alexander Pope.

Il 2 ottobre 2006, Charles Carl Roberts IV è andato alla piccola scuola nella città di Nickel Mines, in Pennsylvania, e ha sparato alla testa a dieci ragazze Amish, tutte di età compresa tra 6 e 13 anni, prima di suicidarsi. Un atto inspiegabile e inaspettato. Il mondo è rimasto sconvolto dal contrasto tra l’immagine pastorale della comunità cristiana Amish e la violenza gratuita dell'incidente.

Al di là dell'oscurità della tragedia, però, la comunità Amish è riuscita a elevarsi al di sopra del “terreno”, e ha offerto il perdono all'assassino e alla sua famiglia, a poche ore dal macabro evento. Il perdono è stato inizialmente espresso con parole calorose e abbracci stretti che poi si sono trasformati in fatti: le famiglie Amish hanno partecipato in gran numero al funerale dell’assassino e, in seguito, hanno offerto sostegno finanziario alla vedova Roberts e ai suoi tre bambini rimasti orfani.

Molti si sono meravigliati della capacità di perdonare degli Amish, anche se oltre due miliardi di persone imparano a conoscere il perdono dalle stesse Scritture cristiane. Purtroppo, per molti cristiani, l'offerta del perdono ha condizioni, richieste ed è incostante. Oggi è prorogato, domani ritirato.

I membri della comunità Amish hanno perdonato senza pensarci troppo, senza consultarsi tra loro. Hanno perdonato perché è quello che è stato loro insegnato fin da bambini, quando hanno imparato a memoria "… e rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori" (Mt 6:12). Hanno perdonato per essere a loro volta perdonati. Per loro, il perdono era il primo passo verso la guarigione.

I giornalisti si chiedevano se il loro perdono fosse genuino, abbastanza saggio e permanente, ma soprattutto salutare, vista la facilità e la velocità con cui era stato offerto. La spiegazione sta nel repertorio morale degli Amish. Tra loro, le tragedie sono accettate senza domande né dubbi, perché sanno che oltre le tragedie vi è un Dio amorevole.

Le disgrazie subite sono permesse da Dio con la promessa di un futuro ricco di frutti nell’animo dei fedeli. La giustizia finale appartiene solo a lui. Pertanto, le tragedie possono essere comprese solo attraverso il perdono. Nella comunità Amish il perdono che viene offerto li avvicina al cielo, li guarisce dal mondo e li riconcilia con Dio.[5]

Le famiglie Amish avevano perdonato allora, e perdonano ancora oggi, perché il perdono non finisce mai. Everett Worthington divide il perdono in due sequenze temporali. Il primo, il perdono a breve termine o immediato, è la decisione di non vendicarsi del malfattore. La decisione di perdonare porta, con il tempo, ad azioni dapprima piccole e goffe, come un semplice sorriso o uno sguardo caloroso. Tuttavia, questi piccoli gesti, praticati ripetutamente, cresceranno, trasformandosi nel tempo in una stretta di mano, in una telefonata, in un incontro, tanto da far nascere, alla fine, emozioni positive nei confronti di chi ci ha fatto del male. Quest’ultima fase è il perdono emotivo che può richiedere anni per stabilirsi e dura per il resto della tua vita.[6]

"Il perdono è la fragranza che la viola sparge sul tallone che l'ha schiacciato" – Mark Twain.

L'anima schiacciata dal male sarà per sempre macchiata di lacrime. Tuttavia, ognuno di noi sceglie come ricordare ciò che non possiamo dimenticare: avvicinarci al cielo, perdonando; oppure strisciare per il mondo, portando con noi i nostri misfatti. Gesù è accanto a noi, pronto a insegnarci a contare il perdono. Prima ad alta voce, poi a noi stessi. Una, due, tre volte…, finché impariamo ad andare oltre le quattrocentonovanta volte (cfr. Matteo 18:22).

 

Denisa Selagea confessa che sta ancora imparando a contare il perdono a due e tre cifre, anche se durante gli anni del college era insegnante di matematica. Questo perché questo tipo di conteggio non può essere appreso dai libri di testo, ma viene sperimentato, pagina dopo pagina, per tutta la vita.

Note
[1] Robert D. Enright, S. Freedman e J. Rique, «The Psychology of Interpersonal Forgiveness», in Robert D. Enright e Joanna North (a cura di), Exploring Forgiveness, University of Wisconsin Press, Madison, WI, 1998, pp. 46–62. 
[2] S. Wiesenthal, The Sunflower: On the Possibilites and Limits of Forgiveness, Schocken Books, New York, NY, 1997
[3] E. L. Worthington Jr., The Path to Forgiveness: Six Practical Sections for Becoming a More Forgiving Person, Virginia Commonwealth University, Richmond, VA, 2011, p. 41
[4] J. G. Murphy e J. Hampton, Forgiveness and Mercy, Cambridge University Press, Cambridge, 1990, pp. 86–87.  
[5] D. B. Kraybill, S. M. Nolt e D. Weaver-Zercher, Amish Grace: How Forgiveness Transcended Tragedy, Jossey-Bass, San Francisco, CA, 2007. 
[6] Worthington, Jr., Op. cit., pp. 28, 37.

[Fonte: st.network. Traduzione: V. Addazio]

 

 

 

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