Dwight Nelson/ARnews/Maol – «Poi il quarto angelo versò la sua coppa sul sole e al sole fu concesso di bruciare gli uomini con il fuoco. E gli uomini furono bruciati dal gran calore; e bestemmiarono il nome di Dio che ha il potere su questi flagelli, e non si ravvidero per dargli gloria» (Ap 16:8-9).

Chiarisco subito… non credo che siamo nel bel mezzo delle sette ultime piaghe. Ma, siamo apocalittici per un attimo. È questo, dopotutto, il punto del mio blog settimanale «The Fourth Watch», dove esamino rapidamente il crescente numero di messaggi in cui si dice che questa civiltà vive la sua ora finale, quella che i Romani chiamavano «quarta vigilia della notte», il periodo più scuro prima dell’alba.

Lunedì, la rivista Nature ha pubblicato uno studio dal titolo «Global Risk of Deadly Heat» (Il rischio globale del caldo letale). Commentando lo studio, i media hanno riferito: “Le ondate di caldo letale come quelle che attanagliano l’occidente americano uccidono più di quanto si pensasse in precedenza e diventeranno sempre più frequenti, secondo un nuovo studio globale sulle condizioni delle temperature… Un team di ricercatori ha esaminato 1.949 ondate di calore letale avvenute nel mondo dal 1980 per capire le tendenze, definire quando il caldo è così grave da uccidere, e prevedere così il futuro. Hanno scoperto che quasi una persona su tre ora vive almeno 20 giorni l’anno di caldo a livelli che possono essere fatali. Ma lo studio prevede che tre su quattro persone nel mondo sopporteranno questo tipo di calore entro la fine del secolo, se il riscaldamento globale continuerà ad aumentare».

Senza dubbio gli abitanti delle città che vivono sotto il sole fatale di questa settimana saranno d’accordo: Phoenix 48 gradi (con voli cancellati per il troppo caldo), Las Vegas 47 gradi, Sacramento 41 gradi, Death Valley 52 gradi. Camilo Mora, dell’università delle Hawaii, autore principale dello studio, ha previsto: «Gli Stati Uniti saranno un forno… È già grave. Lo sappiamo… I dati empirici suggeriscono che peggiorerà molto». Solo in America? Turbat, città del Pakistan, a maggio ha registrato un letale 53 gradi (classificata «tra le cinque temperature più calde misurate in modo affidabile sulla terra»)

Non c’è ancora la conta dei morti, naturalmente, ma un sobrio promemoria di quanto può essere alto il bilancio di vite umane è l’ondata di caldo del 2003 in Europa, che ha causato oltre 70.000 morti. Le 72 persone decedute in Portogallo la scorsa settimana, a causa degli incendi provocati dal sole, ci ricordano che nessun luogo sarà esente dal caldo mortale. «e al sole fu concesso di bruciare gli uomini con il fuoco» (Ap 16:8).

Non stiamo vivendo la quarta piaga, le cui proporzioni apocalittiche annienteranno le statistiche che gli scienziati cercano disperatamente di interpretare. Tuttavia, Gesù ha avvertito i suoi seguaci che, prima del suo ritorno, «Vi saranno segni nel sole… poiché le potenze dei cieli saranno scrollate» (Lc 21:25-26).

Dobbiamo avere paura? No. Dobbiamo ricordarci che viviamo al limite della fase finale divina per questo mondo? Sì, dobbiamo.

La scorsa settimana sono stato nella capitale (Washington), per un incontro. La mistura caotica di paura (il mio aereo è atterrato poche ore dopo gli spari drante gli allenamenti della partita di baseball del Congresso), confusione e capricciosa instabilità in tutto il mondo costringono sicuramente quelli di noi che ci definiscono «avventisti» a scuotersi dalla letargia che paralizza il cuore della nostra comunità di fede e anche noi stessi.

Ora più che mai [le persone] devono essere avvertite che «La fine di tutte le cose è vicina» (1 Pt 4:7). Non basta confortare le nostre anime, affamate di fine del mondo, con il ricordo dell’imminente ritorno di Gesù. Non vinceremo questo gioco indovinando quanto siamo vicini alla fine. L’unica vittoria rimasta su questo pianeta che peggiora è la missione dell’Onnipotente Dio di salvare ogni suo figlio perduto sulla terra, mentre vi è ancora tempo. Dimenticate i segni: dobbiamo abbracciare la missione, ora e non dopo.

Semplicemente perché «dopo» sarà, un giorno, troppo tardi.

Allora, che cosa aspettiamo, tu e io?

 

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