Il sacerdozio cristiano

Il sacerdozio cristiano

Michele Abiusi – In ogni religione esiste la funzione sacerdotale. In genere è riconosciuta al sacerdote un’autorità sacrale che fa di lui una persona particolare, diversa, per certe ragioni, dagli altri credenti, spesso più santa.

A lui ci si rivolge per compiere dei sacrifici, per officiare riti e cerimonie, per comunicare con Dio, per ottenere da Dio qualche grazia.

Nella Bibbia, Antico Testamento, il sacerdote oltre ad essere l’autorità in materia religiosa, legale e sanitaria, era mediatore tra il credente peccatore e il Dio santissimo. Solo lui poteva entrare nel santuario, cioè alla presenza di Dio, e solo lui compiva i riti in favore e al posto del popolo. Una parte importante del sacerdozio erano i sacrifici di animali.

Mentre nei culti politeisti i sacrifici servivano a placare l’ira degli dèi e a manipolarli, nel sistema ebraico i sacrifici erano segno e accettazione del perdono di Dio.

Ma con il vangelo di Gesù Cristo, tutto il sistema sacrificale è stato modificato profondamente.

Il primo cambiamento riguarda i sacrifici: all’inizio del suo ministero, nel giorno del suo battesimo, Gesù fu chiamato “l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”.

Con questa frase Giovanni il Battista preannunciava l’insegnamento apostolico sul sacrificio “più eccellente” di Gesù Cristo: “Era dunque necessario che i simboli delle realtà celesti fossero purificati con questi mezzi. Ma le cose celesti stesse dovevano essere purificate con sacrifici più eccellenti di questi” (Ebrei 9:23). E sull’offerta del suo corpo “fatta una volta per sempre”. “Mentre ogni sacerdote sta in piedi ogni giorno a svolgere il suo servizio e offrire ripetutamente gli stessi sacrifici che non possono mai togliere i peccati, Gesù, dopo aver offerto un unico sacrificio per i peccati, e per sempre, si è seduto alla destra di Dio, e aspetta soltanto che i suoi nemici siano posti come sgabello dei suoi piedi. Infatti, con un’unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che sono santificati” (Ebrei 10:11-14).

Alla sua morte Cristo ha messo la parola fine al sistema sacrificale di Israele.

Ormai il segno, la prova evidente del perdono di Dio non è più un agnello o un montone, ma il Cristo stesso che dalla croce lanciò il grido di perdono che valica il tempo e lo spazio: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”.

Il secondo cambiamento del sistema sacerdotale riguarda il Sommo Sacerdote: in Israele questa funzione era esercitata dalla famiglia di Aronne. Solo lui poteva incontrarsi con Dio, tramite un cerimoniale realizzato una volta l’anno, lo Yom Kippur, il giorno del grande perdono o del giudizio.

L’autore della Lettera agli Ebrei è categorico nel riconoscere che, per il cristiano, l’unico Sommo Sacerdote è Gesù. “Ora, il punto essenziale delle cose che stiamo dicendo è questo: abbiamo un sommo sacerdote tale che si è seduto alla destra del trono della Maestà nei cieli (Ebrei 8:1) … “dove Gesù è entrato per noi quale precursore, essendo diventato sommo sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedec” (Ebrei 6:20).

“Infatti a noi era necessario un Sommo Sacerdote come quello: santo, innocente, immacolato, separato dai peccatori ed elevato al di sopra dei cieli” (Ebrei 7:26).

È utile sapere che la versione latina della Sacra Bibbia, la famosa Vulgata, traduce l’espressione “Sommo Sacerdote” con la parola “Pontefice”, dichiarando così che Gesù ha abolito e sostituito tutti i sommi sacerdoti del passato ed è l’unico che, essendo santo, immacolato, innocente e senza peccato, può essere chiamato “Pontefice”, ed è l’unico che agisce eternamente in favore dell’uomo, perdonandolo e salvandolo.

Il terzo cambiamento o sconvolgimento del sistema sacerdotale che Cristo ha operato, riguarda i sacerdoti: “anche voi, come pietre viventi, siete edificati per formare una casa spirituale, un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali, graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo” (1Pietro 2:5).

“Ma voi siete una stirpe eletta, un sacerdozio regale, una gente santa, un popolo che Dio si è acquistato, perché proclamiate le virtù di colui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua luce meravigliosa” (1Pietro 2:9).

Con Gesù Sommo Sacerdote o Pontefice, tutti i credenti sono dichiarati sacerdoti per continuare la missione del Maestro: testimoniare della vera luce. Ogni credente è invitato a riconciliare il mondo a Dio e rivelare il suo amore, per ricondurre l’umanità ai piedi del Signore.

Come sacerdoti possiamo avvicinarci a Dio senza più paura, senza bisogno di mediatori; senza bisogno di chi pensi per noi, di chi creda per noi, di chi preghi per noi; senza più bisogno che altri ci confessino; senza più delegare la nostra fede e le nostre scelte.

Grazie a Gesù siamo tutti sacerdoti, diventando adulti, responsabili delle nostre azioni. Non siamo più come dei bambini che ricevono il latte preconfezionato nel biberon. Con Gesù siamo adulti coscienti della chiamata di Dio al sacerdozio, per compiere una missione regale, quella affidataci da Dio stesso.

“Avendo dunque, fratelli, libertà di entrare nel luogo santissimo per mezzo del sangue di Gesù, per quella via nuova e vivente che egli ha inaugurata per noi attraverso la cortina, vale a dire la sua carne, e avendo noi un grande sacerdote sopra la casa di Dio, avviciniamoci con cuore sincero e con piena certezza di fede, avendo i cuori aspersi di quell’aspersione che li purifica da una cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura” (Ebrei 10:19-22).

Gesù ci ha aperto la strada per conoscere il Padre e per parlargli direttamente senza più paure e senza più deleghe.

Gesù ha fatto di noi tutti dei sacerdoti. Siamo chiamati a riconoscere in lui “l’agnello di Dio” e l’unico Sommo Sacerdote o Pontefice che dobbiamo adorare e servire.

Padre nostro…

Padre nostro…

Michele Abiusi – Il “Padre nostro” è la preghiera, l’unica, che Gesù insegnò ai suoi discepoli.
Desidero soffermarmi su questa preghiera.

I discepoli di Gesù avevano notato che spesso il Maestro si ritirava in luoghi isolati e, nel silenzio della notte, pregava per ore. In quelle notti, il dialogo con il Padre sostituiva il riposo del sonno. I 12 notavano anche che le forze fisiche, mentali e spirituali del loro Signore non diminuivano, anzi era capace di far fronte a qualunque difficoltà. Potremmo dire che le sue forze erano proporzionali alle sue preghiere. Più tempo passava in relazione col Padre, più pareva essere invincibile.

Gli apostoli avrebbero voluto capire il segreto di tale forza, e un giorno chiesero: “Signore, insegnaci a pregare come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli” (Luca 11:1).

Ogni maestro spirituale lasciava ai suoi discepoli almeno una preghiera. Gesù non lo aveva ancora fatto e la domanda “insegnaci a pregare” era lecita.

È in questo momento che Gesù insegnò la preghiera più straordinaria che conosciamo, che la maggioranza di noi cristiani conosce e spesso recita a memoria. Ma il Padre nostro è molto più di una preghiera: racchiude il senso della vita del credente.

Riflettiamo brevemente insieme su ogni sua frase:

“Padre nostro che sei nei cieli, Sia santificato il tuo nome”
La vera preghiera può rivolgersi solo a Dio e a nessun altro. Non è possibile iniziare un cammino spirituale se non ci mettiamo in relazione con quel Dio-Padre che Gesù è venuto a rivelarci. David Maria Turoldo ha scritto nel suo libro Amare (Ed. San Paolo): “Quanto è pericoloso credere in Dio, tanto è benefico credere in Dio-Padre. Io temo coloro che credono solo in Dio. Non c’è nulla di più pericoloso che credere in un Dio sbagliato… Chi crede dunque in Dio, in Dio solamente, può uccidere con tutta tranquillità e lanciarsi con furore su tutte le vie di Damasco; ma chi crede in Dio Padre non può neppure offendere un uomo; tanto meno l’ultimo di tutti gli uomini…” – pp. 28-31.

Gesù ci invita quindi a rivolgerci a Dio come a un Padre che ci ama, che ci capisce, ci perdona e ci salva. Gesù voleva liberare l’umanità dalle immagini del Dio giudice che condanna, che invia malattie, disastri e guerre.

“venga il tuo regno”
È il grido dei figli di Dio che desiderano che il regno di Dio si concretizzi nel loro intimo. È anche un grido perché finiscano le guerre e ogni sofferenza quando Gesù ritornerà per stabilire il suo regno eterno di pace e di giustizia.

“sia fatta la tua volontà anche in terra come è fatta in cielo”
È credere che sia possibile trasformare il nostro mondo seguendo i principi spirituali di Cristo e abbandonare finalmente i criteri di sfruttamento, oppressione e ingiustizia che purtroppo conosciamo.

“Dacci oggi il nostro pane quotidiano”
È riconoscere che ogni cosa buona è un dono di Dio per chiunque vive in questo mondo. Ogni abitante di questo pianeta ci è fratello e sorella, e non possiamo mangiare il nostro pane da soli.

“rimettici i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori”
È ricordare che la nostra religione, o relazione con Dio, deve passare dalla nostra relazione con gli altri. Non è possibile vivere in pace con Dio ed essere in stato di guerra con il prossimo.

“non ci esporre alla tentazione, ma liberaci dal maligno. Perché a te appartengono il regno, la potenza e la gloria, in eterno, amen”
È riconoscere che Dio non tenta nessuno perché non ha niente a che vedere con il male. Dio ci ama e ci libera dal male perché è il Creatore e tutto è nelle sue mani.

Il Padre Nostro è più che una preghiera magica da ripetere meccanicamente. Si tratta della più sublime dichiarazione di responsabilità che posso sottoscrivere nel cammino di fede con Gesù Cristo.

Vorrei proporvi una nuova lettura di questa preghiera; spetterà a voi dire “amen”, alla fine, se sarete d’accordo.

“Dio, ti riconosco come mio Padre, tu che abiti l’universo e che sei Signore di tutti. Desidero mettere il tuo nome al di sopra di tutto e la tua conoscenza al primo posto nella mia vita. Accetto che il tuo regno di grazia e di pace si stabilisca nel più profondo del mio essere. Voglio vivere su questa terra secondo i principi del cielo che Gesù mi ha insegnato e ha vissuto, come riportato nei Vangeli.

Prometto di impegnarmi con le forze e con la volontà che ogni giorno mi dai, per ottenere onestamente il necessario per la mia famiglia e per condividerlo con coloro che soffrono.

Voglio comprendere la profondità e la grandezza del tuo amore e del tuo perdono, per riuscire a capire e perdonare chiunque incontrerò sulla mia strada.

So che non permetterai che io sia tentato al di sopra della mia capacità di sopportazione e grazie della certezza della vittoria che mi dai in Cristo Gesù.

È vero, tu sei la fonte di ogni forza, la gloria che io cerco, il fondatore di questo regno nel quale io voglio vivere oggi e per sempre. Amen”.

 

Nicodemo

Nicodemo

Michele Abiusi –  Nicodemo era un teologo molto considerato ai tempi di Gesù perché era membro del Sinedrio, organismo che rappresentava la massima autorità religiosa e giuridica a Gerusalemme. Una notte Nicodemo decise di parlare con Gesù.

Le opinioni su questo nuovo Maestro erano contrastanti e alcuni, anche fra i farisei, lo consideravano un profeta, un uomo di Dio. I segni che accompagnavano i suoi straordinari insegnamenti ne erano la prova. Se Gesù era un profeta, allora poteva rispondere alle preoccupazioni del popolo: quando verrà il Messia? Quando inizierà il nuovo regno?

Nicodemo aveva bisogno di sapere! Scelse di parlare con il Maestro di notte per avere il tempo per un dialogo intimo e tranquillo. Gesù sorprese il fariseo rispondendogli, prima che formulasse una qualunque domanda: “In verità, in verità ti dico che se uno non è nato di nuovo non può vedere il regno di Dio” (Giovanni 3:3). E subito dopo aggiunse, per chiarire il suo pensiero: “In verità, in verità ti dico che se uno non è nato d’acqua e di Spirito, non può entrare nel regno di Dio” (Giovanni 3:5).

Nicodemo voleva sapere quando sarebbe giunto il regno e Gesù gli disse che avrebbe potuto vederlo, anzi poteva addirittura entrarvi. Non doveva aspettare neppure un giorno! Poteva vederlo subito e farne parte a pieno titolo. Il regno era già attuale. Era presente davanti a lui. Gesù era la prova della realtà del regno.

Quando Giovanni il Battista mandò, dalla prigione, dei messaggeri per chiedere a Gesù di chiarire i suoi dubbi,  il vangelo così descrive la risposta di Gesù: “Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella” (Luca 7:22).

Cosa si poteva attendere di più dal Messia? Il regno era realtà con Gesù.

Ma purtroppo Nicodemo non riusciva a vederlo. E come lui molti altri. Perché?

La ragione è semplice: i giudei aspettavano un Messia diverso da Gesù. I capi della nazione volevano un re-guerriero che li liberasse dall’oppressione romana e fondasse un regno su questa terra. Gesù, invece, lodava la fede di un centurione, non si opponeva al pagamento delle tasse al potere di Roma, disarmò Pietro quando questi voleva difenderlo con la spada e dichiarava che il suo regno non era di questo mondo.

I capi giudei attendevano un Messia di stirpe nobile, con almeno un dottorato in teologia che vivesse con i grandi. Gesù, invece, era di umili origini, crebbe nel povero villaggio di Nazaret, lodava i poveri, mangiava a casa di coloro che erano considerati peccatori, le prostitute e i senza tetto lo seguivano. Si permetteva di parlare contro il tempio, contro le tradizioni dei padri. Aveva cacciato coloro che avevano trasformato la “casa del Padre” in un “covo di ladroni” grazie ad un sistema di compra-vendita di animali da offrire in sacrificio per ottenere il perdono di Dio. E poi perdonava tutti senza chiedere in cambio né opere meritorie, né denaro; infine non condannava nessuno, neppure l’adultera, mettendo in crisi il sistema e la religione.

No, questo Gesù non poteva essere il Messia! Non corrispondeva alle aspettative, alle speranze, alle tradizioni. Ecco perché gran parte dei capi e del popolo non potevano accettare Gesù! I preconcetti avevano condizionato il pensiero delle persone a tal punto da non vedere e da non capire ciò che accadeva alla luce del sole.

Solo se si riesce a rinunciare ai preconcetti e alle tradizioni si può vedere Gesù per quello che è veramente. Senza più schemi precostituiti, liberi da idee preconfezionate, potremo avvicinarci al Gesù dei Vangeli e capire finalmente il suo messaggio, il suo amore, il suo perdono e la sua grazia infiniti e gratuiti.

Purtroppo ancora oggi il cristianesimo è intriso di tante tradizioni e di dogmi indiscutibili. La maggioranza delle persone vengono inserite alla nascita, con il battesimo, in un progetto religioso senza averlo né scelto né discusso e del quale non dovranno dubitare mai. Quando infine questi credenti saranno obbligati a confrontarsi con altre espressioni di fede, le rifiuteranno automaticamente solo perché non corrispondono al programma memorizzato.

Anche se scopriste qualcosa di meraviglioso e di liberatorio, non potreste accettarlo a causa dei condizionamenti accumulati durante tutta la vita. È stato questo il dramma dei giudei: rifiutarono il messaggio di Cristo, non perché fosse falso ma perché non corrispondeva ai dogmi e alle tradizioni inculcate da secoli.

Gesù disse allora a Nicodemo che c’era solo una condizione per entrare nel regno: “Nascere di nuovo, di acqua e di Spirito”. Gesù invitò Nicodemo a cancellare i suoi schemi mentali e religiosi e ad ascoltare il suo messaggio di salvezza. Questa è l’esperienza della rinascita.

Nascere di acqua e di Spirito. Con queste parole Gesù invitò Nicodemo al battesimo. Ma si tratta del vero battesimo, quello che include il cambiamento, la scelta, la responsabilità personale.

Molte persone hanno dovuto dimenticare le tradizioni nelle quali sono nate e cresciute. Volevano sapere, dalle vere fonti della Sacra Bibbia, ciò che Gesù ha insegnato e sentire da Lui quello che voleva dire.

Hanno iniziato così l’esperienza più straordinaria che ha sconvolto positivamente la loro vita.

 

Quando fai elemosina

Quando fai elemosina

Michele Abiusi – Nel famoso sermone sul monte, Gesù condannò il formalismo religioso che da solo può sminuire il valore della religione e della fede. La preghiera, il digiuno e le elemosine furono le pratiche menzionate da Gesù.

Riflettiamo su quest’ultimo aspetto: le elemosine.

Dai tempi più antichi l’essere umano ha manifestato la propria riconoscenza al Creatore offrendo parte del suo raccolto e dei suoi animali. In epoche meno remote, e ancora oggi, il credente offre a Dio parte delle proprie entrate in denaro, come la decima biblica.  Questa pratica trova conferma nella Bibbia e nasce dalla concezione che Dio è il proprietario di ogni cosa, mentre l’uomo si riconosce suo amministratore. Purtroppo l’uomo non si è conformato a questo principio e si è subito trasformato in padrone assoluto, sfruttando e distruggendo la natura, gli animali e addirittura i suoi simili.

Le decime, insieme alle offerte volontarie, avevano un doppio obiettivo:
– mantenere materialmente le famiglie dei sacerdoti che potevano così occuparsi dell’istruzione religiosa e di tante altre attività connesse alla famiglia e al sociale;
– educare i credenti alla generosità e alla sensibilità verso i bisogni altrui, lottando così contro la povertà, l’egoismo e l’avarizia.

Vediamo cosa Gesù disse al riguardo: “Quando dunque fai l’elemosina, non far suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere onorati dagli uomini. Io vi dico in verità che questo è il premio che ne hanno. Ma quando tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra quel che fa la destra,  affinché la tua elemosina sia fatta in segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa” (Matteo 6:2-4).

Anche il fare l’elemosina può trasformarsi in strumento di ostentazione della propria santità. Un gesto umanitario rischia di diventare atto di presunzione e di orgoglio. Molti credenti pensano addirittura che la loro generosità si trasformi in atti meritori di salvezza.

Il Vangelo di Matteo riporta altre parole del Maestro: “Non fatevi tesori sulla terra, dove la tignola e la ruggine consumano, e dove i ladri scassinano e rubano; ma fatevi tesori in cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove i ladri non scassinano né rubano. Perché dov’è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore” (Matteo 6:19-21).

Sono parole che invitano a non collocare la propria fiducia nelle ricchezze e a non vivere in funzione di esse. Leggendo questa frase di Gesù che incoraggia a non accumulare tesori in terra, molti hanno pensato che donando i propri beni alla chiesa si sarebbero fatti un tesoro in cielo, nel senso di crearsi un’assicurazione sulla vita… eterna.

Vedono quindi il Signore come un uomo d’affari o un banchiere che tiene i conti correnti di ognuno dei suoi figli e, quando il conto raggiunge un certo ammontare, il correntista ha diritto al paradiso. Altri pensano persino che possiamo depositare dei meriti nel conto corrente di altre persone salvandole dal “purgatorio”. In questo modo i premiati sarebbero ancora una volta i ricchi e i potenti.

Eppure Gesù insegnava esattamente il contrario: “Egli, alzati gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: ‘Beati voi che siete poveri, perché il regno di Dio è vostro’” (Luca 6:20).

“E ripeto: è più facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio” (Matteo 19:24).

Gesù va contro corrente: Dio non è affatto un banchiere che vende le sue grazie in base all’offerta migliore. Dio è un padre misericordioso e non fa differenze tra i suoi figli. Anzi, è vicino a tutti e in modo particolare ai più vulnerabili, ai più poveri, agli emarginati, agli oppressi, ai disabili.

Quante persone non credono, perché la cristianità ha inventato questo Dio “contabile” che dà esattamente a ognuno secondo i propri meriti. Quanti sono scappati dal Dio del “purgatorio” che salva da sofferenze atroci coloro che pagano più in fretta o coloro che possono avvalersi delle migliori raccomandazioni. Dobbiamo confessare che abbiamo creato un Dio fatto a nostra immagine, simile a noi!

Ma voglio darvi due buone notizie: la prima è che il Dio “contabile” non esiste; la seconda è che possiamo credere ancora in Dio, ma in quello vero, il Dio di cui ci parla la Bibbia. Ecco cosa scrisse l’apostolo Paolo ai credenti di Efeso: “Ma Dio, che è ricco in misericordia, per il grande amore con cui ci ha amati…   Infatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio.  Non è in virtù di opere affinché nessuno se ne vanti “ (Efesini 2:4,8,9)

Dio non ci salva in funzione delle nostre opere, delle nostre offerte, delle nostre amicizie o grazie a raccomandazioni autorevoli. Dio ci salva perché è ricco in misericordia. La salvezza è un dono e quindi non si compra. Gesù annunciò questa grande verità quando disse: “Perché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna” (Giovanni 3:16).

Ecco la buona notizia: la vita eterna inizia in noi quando ci avviciniamo a Dio e quando lo accettiamo come un Padre buono, un amico sincero e fedele. Allora non ci sarà spazio per ipocrisie, non vivremo la nostra religione per farci vedere dagli altri o per guadagnare qualcosa dal Signore.

Con Gesù abbiamo già tutto: il perdono, la grazia, la salvezza, il suo amore.

 

 

L’orecchio del servo

L’orecchio del servo

Michele Abiusi – Il miracolo di Gesù, che considero più straordinario e sconvolgente, non è la risurrezione di Lazzaro e neppure il suo camminare sulle acque o la moltiplicazione dei pani e dei pesci. Certo, questi e tanti altri sono stati dei segni forti che rivelavano la presenza di Qualcuno che era superiore alle leggi della fisica e della natura in genere.

Ma il miracolo di cui vorrei parlare è un evento semplice, poco appariscente, addirittura pare sia passato quasi inosservato, al punto che un solo Vangelo lo racconta, quello di Luca (22:49-51). Si tratta, da quanto conosciamo, dell’ultimo miracolo in favore di un malato ed è avvenuto nel momento cruciale del tradimento di Giuda.

Gesù usciva stanco e affranto dal giardino del Getsemani, pronto ad affrontare la morte, seguito da undici apostoli che ancora non capivano il momento tragico che stava vivendo. Improvvisamente arrivò Giuda, il dodicesimo apostolo, insieme a un gruppo di soldati del tempio, dietro di loro una folla di curiosi male intenzionati, armati di bastoni e torce. Vistosi accerchiati i discepoli cercarono di proteggere il Maestro; Pietro, che aveva una spada, colpì il servo del sommo sacerdote che, per sua fortuna, schivò il colpo restando ferito solo all’orecchio. Furono attimi difficili. Fu Gesù a fermare i suoi invitandoli alla non violenza e lasciando quella frase ormai famosa: “chi di spada ferisce, di spada perisce”.

In quella notte incredibile nella quale Gesù si lasciò prendere senza opporre resistenza, un’altra cosa ci sorprende: Gesù si avvicinò a Malco, il servo ferito da Pietro e gli toccò l’orecchio tagliato che subito guarì. Sì, lo riappiccicò! Insomma Gesù cancellò il segno della violenza di Pietro.

Ecco, questo è il miracolo che considero il maggiore del ministero di Cristo.

Perché? Perché l’evento accadde nella notte decisiva. Il Maestro sapeva che lo attendeva la morte. Ormai i potenti e i religiosi avevano deciso di sbarazzarsi di lui. Troppo scomodo il suo modo di vivere, di insegnare. Contrastava le tradizioni. Gesù era un diverso, un pericolo per la fede dei padri e quindi per la società.

Potremmo dire: “E tu, Gesù, sapendo tutto questo, ti sei fermato per guarire un orecchio… e l’orecchio di un servo, di uno schiavo… e lo schiavo di colui che aveva decretato la tua morte? Scusa Gesù, se mi permetto, ma in quella notte i tuoi discepoli, e Giuda in particolare, si aspettavano tutt’altro da te: era il momento per sguainare le spade e agire, prendendo finalmente il potere, cacciando i Romani fuori dai confini nazionali.

Molti erano pronti e attendevano un segno da parte tua, come Messia. I tuoi poteri soprannaturali erano una garanzia di vittoria. Con il popolo avrebbe combattuto il Dio degli eserciti, quel Dio degli antenati che sconfisse altre armate e nazioni. A queste condizioni i giudei sarebbero stati invincibili!

Oppure, se ritenevi che il momento non fosse ancora propizio, almeno bisognava salvare la pelle, fuggire.

Gesù, no, non ti fermare, lascia stare Malco, cosa t’importa di lui. Ci sono cose più importanti a cui pensare. Lascia stare quell’orecchio. Si può vivere anche senza un orecchio… Pensa una volta a te stesso. Oppure pensa a noi”.

Ma Gesù non ascoltò questi desideri, queste speranze non sue, e prese del tempo per avvicinarsi all’uomo ferito. Gli toccò l’orecchio e lo guarì sotto gli sguardi increduli di tutti. Gli apostoli approfittarono dello sgomento generale per fuggire e ai soldati non rimase che compiere ciò per cui si trovavano sul posto: arrestare Gesù.

Gesto incomprensibile quello di Gesù. Nessuno glielo aveva chiesto. Fu un miracolo che non modificò affatto gli eventi. Non provocò ripensamento nei soldati. Altre volte, i Vangeli ci raccontano che i soldati ritornarono a mani vuote tentando di scusarsi dicendo che “nessuno ha mai parlato come quest’uomo”.

Eppure questo miracolo mi parla della gratuità dell’amore di Gesù: un amore che non è condizionato dal mio comportamento, dalla mia obbedienza, dalla mia fede; l’amore di Dio non è offerto a patto che sia apprezzato, che sia accettato; Dio non mi ama perché sa che io lo capirò e cambierò la mia vita. Dio mi ama perché è mio Padre e l’essenza del suo essere è amore.

Il gesto di Gesù verso un servo, nella notte dei tradimenti, mi dice che Dio è all’ascolto di chiunque sia nel bisogno, anche il più miserabile o il più insignificante tra gli uomini.

Dio è venuto su questa terra per darti speranza, per darti coraggio, per darti certezze. Tutto ciò lo puoi trovare nella lettura dei Vangeli. Inizia o, se hai già iniziato, continua quest’avventura con Gesù. Ne vale la pena!

 

Il cieco dalla nascita. Chi ha peccato?

Il cieco dalla nascita. Chi ha peccato?

Michele Abiusi – Un giorno Gesù camminava con i suoi discepoli in una città della Giudea quando si imbatté in un uomo non vedente. Era cieco dalla nascita. Probabilmente era seduto per terra su una stuoia in una zona di passaggio, aspettando l’elemosina dei passanti.

Quando furono abbastanza vicini al pover’uomo, i discepoli rivolsero una domanda a Gesù. Il testo dice: “Passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: ‘Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?’. Rispose Gesù: ‘Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio. Dobbiamo compiere le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può più operare. Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo’. Detto questo sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: ‘Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe (che significa Inviato)’. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva” (Giovanni 9:1-7).

Per capire la domanda, bisogna sapere che all’epoca si riteneva che le malattie, e soprattutto quelle invalidanti come la cecità, la lebbra, le paralisi, la sordità e altre, fossero inviate da Dio per punire la persona colpevole di evidenti peccati. Quando la malattia era già presente alla nascita, si discuteva sulla possibilità che Dio punisse il figlio a causa dei peccati commessi dai genitori.

Secondo quella mentalità, Dio quindi poteva inviare malattie anche a un feto innocente per farla pagare ai genitori.  C’è da inorridire al solo pensiero che si possa credere in un Dio così crudele da colpire una persona addirittura nella sua fase prenatale… per punirla di colpe altrui. Eppure ancora oggi esiste, un po’ ovunque, una mentalità simile che si esprime spesso in frasi del tipo: “Cosa ho mai fatto di grave per meritare tanta sofferenza?”. Oppure: “Sicuramente quella persona si è meritata tale disgrazia… chissà cosa ha combinato!”. Ho conosciuto dei genitori di figli con la sindrome di Down che si sentivano colpevoli, come se Dio li avesse puniti per qualche peccato non confessato…

Certamente esistono le influenze prenatali e i genitori possono trasmettere ai figli malattie o, comunque, fragilità fisica e psichica. Questo è un dato scientifico. Ma tutt’altra cosa è ritenere che sia Dio a inviare le malattie per punire i peccatori. Questa mentalità generava e genera ancora, in chi ne è succube, sensi di colpa e, quindi, paura di Dio.

Ma torniamo alla storia dell’uomo sventurato, nato cieco. Difficile immaginare la vita di qualcuno che sia vissuto nel buio da sempre, fin dalla nascita, senza aver mai visto il volto della propria madre, del padre… Duemila anni fa un uomo simile non godeva di assistenza sociale, non poteva lavorare, era senza pensione, senza speranza. Considerato un “maledetto” da Dio, era emarginato, schivato da tutti, anche dalla propria famiglia.

Spesso mi sono chiesto cosa pensasse quel povero cieco di Dio in un contesto come il suo. Al suo posto avrei avuto paura di un Dio simile e, se ancora lo avessi pregato, sarebbe stato per timore che altre sventure potessero colpirmi. Se avessi potuto mi  sarei sbarazzato volentieri di un Dio così poco sensibile, così poco misericordioso e così ingiusto. Perché mai dovrei pagare per colpe mai commesse?

Nel sentire la domanda dei discepoli, immagino che il povero cieco ritrasse la mano protesa per chiedere uno spicciolo di attenzione. Sempre la stessa discussione: “Chi ha peccato?”. Parole che riaprivano una ferita antica che ancora sanguinava. Eppure, mentre si sentiva ancora una volta schiacciato, ecco, una voce diversa elevarsi tra le altre. Il tono era cordiale, dolce. L’uomo non si sentì giudicato né dalla voce e né dalle parole, anzi.

“Né lui ha peccato, né i suoi genitori”. Era la prima volta che qualcuno lo dichiarava innocente. Lui, condannato alla cecità eterna da tutti, dalla società, dalla famiglia, dalla chiesa, era adesso, dopo decine di anni di carcere buio, liberato dall’accusa ingiusta.

Come si sarà sentito?  Difficile descriverlo! Certo deve aver provato un sentimento di leggerezza, di libertà, di umanità sconvolgente. Poi, subito dopo quelle parole, sentì della terra umida bagnargli gli occhi e due mani calde, affettuose, quelle di Gesù, toccargli il viso… Non si ricordava più quanto fosse bello il tocco di una mano amica, non si ricordava più cosa significasse essere oggetto di attenzioni affettuose.

E subito, la stessa voce gli diceva di andare alla piscina di Siloe per lavarsi gli occhi perché, finalmente, adesso, si sarebbero rivelate le opere di Dio. E prima che il cieco partisse verso l’acqua Gesù lo aveva rassicurato, dichiarando: “Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo” (v. 5).

E lui, il cieco, partì verso l’acqua, verso la luce, correndo a tastoni, col bastone, forse con l’aiuto di qualcuno che credeva, come lui, nell’impossibile.

Giunto infine alla piscina, lo vedo bagnarsi gli occhi, poi la testa, i capelli pieni di polvere, i piedi; lo vedo saltare dentro la piscina; vedo una luce sulle sue labbra, sul suo volto, nei suoi occhi…

Purtroppo, ancora oggi, molti cristiani credono in un Dio che risponde ai peccati dell’uomo punendolo con malattie e sofferenze. Gesù ci mostra che Dio è diverso, è migliore di quanto pensiamo. Le opere di Dio si manifestano nella luce, non nelle tenebre. Dio fa il bene, non il male. Dio guarisce, non manda la malattia. Dio è vita.

Ecco come Giovanni riassume il messaggio di Gesù nella sua prima lettera: “Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che ora vi annunziamo: Dio è luce e in lui non ci sono tenebre” (1 Giovanni 1:5)

Basta aver paura di Dio!

Grazie a Gesù puoi credere in un Dio misericordioso, che capisce la tua situazione, le tue sofferenze, le tue eventuali fobie.  Non è lui che te le ha inviate per punirti. Dio ti sta sempre accanto. Anche se attraversi il momento più difficile della tua esistenza, Dio non ti abbandona, anzi ti è vicino per sorreggerti, per consolarti, per accompagnarti nel cammino della tua vita, così come Gesù è stato vicino al cieco nato e a tutte le persone del suo tempo.

Gesù è venuto tra di noi e la Sacra Bibbia esiste proprio per dirci questo. Apri i Vangeli e chiedi a Dio di aiutarti a conoscerlo. Farai l’esperienza più entusiasmante della tua vita.

Ne sono sicuro perché è accaduto anche a me!

 

Alla piscina di Betesda. Vuoi guarire?

Alla piscina di Betesda. Vuoi guarire?

Michele Abiusi – Vorrei soffermarmi su un episodio della vita di Gesù, avvenuto durante le festività pasquali a Gerusalemme, presso una famosa piscina, la piscina di Betesda. L’episodio è riportato nel Vangelo di Giovanni.

Dopo queste cose ci fu una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Or a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, c’è una vasca, chiamata in ebraico Betesda, che ha cinque portici. Sotto questi portici giaceva un gran numero d’infermi, di ciechi, di zoppi, di paralitici, [i quali aspettavano l’agitarsi dell’acqua; perché un angelo scendeva nella vasca e metteva l’acqua in movimento; e il primo che vi scendeva dopo che l’acqua era stata agitata era guarito di qualunque malattia fosse colpito]. Là c’era un uomo che da trentotto anni era infermo.  Gesù, vedutolo che giaceva e sapendo che già da lungo tempo stava così, gli disse: ‘Vuoi guarire?’. L’infermo gli rispose: ‘Signore, io non ho nessuno che, quando l’acqua è mossa, mi metta nella vasca, e mentre ci vengo io, un altro vi scende prima di me’. Gesù gli disse: ‘Àlzati, prendi il tuo lettuccio e cammina’.  In quell’istante quell’uomo fu guarito; e, preso il suo lettuccio, si mise a camminare” (Giovanni 5:1-9).

La tradizione dell’epoca diceva che questa piscina era meta di pellegrinaggi perché la sua acqua era ritenuta miracolosa. Si pensava che a volte un angelo toccasse l’acqua della vasca e il primo malato che fosse entrato nell’acqua in quel momento sarebbe stato guarito dalla sua infermità.

Questa credenza popolare aveva messo in moto tutto un sistema di costruzioni attorno alla piscina, per proteggere i pellegrini dal sole e dal freddo. Chi poteva affittare delle camere o chi viveva di commercio, doveva trarre certamente un beneficio da questa tradizione. I religiosi sicuramente coordinavano gli arrivi e le partenze da tutto il Paese, e magari anche dall’estero. Possiamo immaginare che in quella piazza ci fossero portatori di ogni tipo di infermità.

Ma il tempo passava inesorabile e allora i più poveri dovevano darsi da fare chiedendo l’elemosina e sistemandosi nel quartiere trasformato per loro in luogo di lavoro e di sopravvivenza.

Quando Gesù arrivò a Betesda, si guardò intorno e vide un paralitico. Era infermo da 38 anni. Doveva essere a Betesda da molti anni e ormai, pare, non pensasse più alla guarigione.

Forse era vero che non avesse nessuno ad aiutarlo a entrare nell’acqua quando questa si muoveva… Ma è più probabile che si fosse così abituato alla sua situazione di paralitico, che comunque gli dava da vivere e non pensare a nient’altro. Magari era divenuto un personaggio importante del luogo che gli altri rispettavano. Forse era il responsabile della questua locale o forse non credeva più nella storia dell’angelo e dell’acqua benedetta.

Troppi anni aveva trascorso invano presso quella piscina.

Gesù guarisce
Forse era solo una tradizione, una leggenda per gli ingenui o per i nuovi arrivati. Comunque Gesù si avvicinò proprio al nostro uomo e gli pose una domanda: “Vuoi guarire?”.
Il Maestro voleva risvegliarlo: “Veramente vuoi guarire?”. Sei qui per guarire o per fare i tuoi affari? Che cosa vuoi dalla vita? Sei soddisfatto di come sei?

Il paralitico gli rispose con quella che io chiamo una scusa per nascondere le sue motivazioni ormai ben diverse: “Non ho nessuno che mi metta nella piscina quando l’acqua è agitata. Quando sto per entrarci un altro scende in acqua prima di me”.
E allora Gesù gli disse: “Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina”. In altre parole, Gesù voleva dirgli: “Non hai bisogno dell’aiuto di nessuno e neppure dell’acqua di Betesda. Basta che tu creda alla mia parola e sarai guarito. Alzati! Cammina!”.

A quell’ordine, il malato credette, sentì una forza spingerlo a muoversi e si alzò, prese le sue cose e partì da Betesda per non tornarvi più.

Penso a quanti credenti sinceri compiono viaggi interminabili, spendendo a volte cifre incredibili per raggiungere luoghi considerati sacri e miracolosi. Nella religiosità popolare si ritiene che Dio sia presente in un luogo più che in un altro. Si pensa che un santuario abbia un potere superiore rispetto a un altro. Si crede che un’acqua sia più santa o benedetta di un’altra. Si mantiene l’idea che Dio ascolti più le preghiere innalzate da credenti inginocchiati in una chiesa piuttosto che in un’altra.

Se la tradizione fosse stata vera
Immaginate per un attimo che la tradizione di Betesda fosse vera e che veramente ogni tanto Dio inviasse un angelo a muovere l’acqua della piscina per guarire unicamente il primo che vi si bagnasse. In questo caso Dio premierebbe il più svelto, forse colui che usava ogni mezzo pur di arrivare per primo, forse qualche ricco che poteva pagarsi degli aiutanti. Erano comunque esclusi i malati gravi o i più poveri. Questi non arrivavano mai in tempo.

Così, a Betesda, Dio avrebbe istallato un sistema per premiare ancora una volta i potenti, i ricchi, i meno bisognosi. E inoltre, fra decine, forse centinaia di malati, Dio ne premiava solo uno. Gli altri avrebbero aspettato che Dio desse il via per un’altra corsa, come in un’arena olimpica. Forse fra un mese o magari fra un anno, in occasione della festa patronale o nazionale…

Che Dio sarebbe questo? Un Dio ingiusto! Un Dio parziale! Un Dio che non risponde alla fede o al bisogno dell’uomo, ma alla sua capacità di correre più svelto di un altro o di pagare un costo più elevato! Un Dio creato a nostra immagine!

Gesù a Betesda
Cari lettori, meno male che Gesù è sceso a Betesda!
Gesù mi insegna che ciò che conta è credere in lui e in nessun altro.
È Gesù l’acqua della vita e se io mi avvicino a lui, non ho bisogno di piscine, di vasche o di acque benedette.
È Gesù la salvezza e devo rispondere alla sua chiamata: “Venite a me voi tutti che siete stanchi e oppressi: io vi farò riposare” (Matteo 11:28, Tilc).

Non  ho bisogno di pellegrinare verso santuari o terre ritenute sante per cercare o per comprare dei ricordi miracolosi, perché Gesù è sceso fra di noi con un obiettivo preciso: “il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto” (Luca 19:10, Cei).

È lui che mi cerca ogni giorno, ogni momento. Devo solo accettare la sua offerta di salvezza. Qui dove sono, in questo momento, Gesù mi chiede: “Vuoi guarire?”.

Potete trovare qualcosa che Gesù non vi possa dare? Allora perché andare altrove? Accettate l’offerta di Gesù e lui vi accoglierà con amore, qualunque sia il vostro bisogno.

Questo è il messaggio meraviglioso della parola di Dio, che vi incoraggio a leggere, ad amare e a seguire.

L’orecchio del servo

Coraggio!

Michele Abiusi – Un episodio dei Vangeli che mi è sempre piaciuto leggere è quello riportato in Matteo 14:22-27, dove si racconta di Gesù che cammina sulle acque, mentre i discepoli combattono con il mare in tempesta. Nel vederlo gridano pensando che sia un fantasma, ma Gesù dice loro: “Coraggio, sono io!”.

Facciamo un passo indietro e ricordiamo insieme il contesto in cui si inserisce questo versetto. Gesù aveva appena parlato di fronte a cinquemila persone intervenute per ascoltarlo. I suoi discepoli lo avevano avvicinato dicendogli di congedare la folla affinché le persone potessero rifocillarsi nei villaggi vicini.

Gesù invece ribadisce: “Non hanno bisogno di andarsene. Date loro voi da mangiare”. Benedice cinque pani e i due pesci, vengono distribuiti e la folla viene saziata con questo cibo, tanto da consentire la raccolta di circa dodici ceste piene di pezzi avanzati del pranzo. Poi obbliga i discepoli a salire sulla barca e si allontana verso il monte per pregare.

Trasferiamoci per un attimo, con la nostra mente, a quel momento così ben descritto dal Vangelo di Matteo. Ci siamo anche noi con i discepoli, quella notte, su quella barca lontana dalla terra ferma, sbattuta dalle onde, perché il vento era contrario. È buio, vi è una tempesta in atto. Fa freddo, i discepoli si sentono soli, persi.

Il paragone suscitato da queste parole con la nostra vita e il mondo che ci circonda è immediato. Quante volte ci siamo trovati nel mezzo di una tempesta di situazioni, che sono poi gli episodi della vita. Malattie nostre, di persone a noi care, disperazione per incomprensioni con i propri fratelli, con la propria moglie o marito, o padre o madre, offese, mancanza di lavoro, invidie, gelosie, derisioni… La barca, immagine della nostra vita, è sbattuta tra le onde. Abbiamo perso il senso dell’orientamento. Siamo disperati.

Ormai il miracolo avvenuto quella mattina con la distribuzione di cinque pani e due pesci a cinquemila persone è solo un ricordo. In un attimo abbiamo quasi perso tutto e la nostra vita stessa è in pericolo. Sicuramente qualcuno invoca il Signore Gesù…

Siamo alla quarta vigilia, dalle 3 alle 6 del mattino, stanchi, deboli, sfiniti. Nell’ora della giornata in cui si dovrebbe riposare, i discepoli sono ancora lì, e noi con loro, sul mare. Sono nel frangente della vita in cui si è più vulnerabili. Nell’ora tremenda, nel momento massimo della nostra disperazione, il Signore viene verso di noi, con forza, con potenza.

Gesù appare ai discepoli in modo insolito. Cammina sul mare. Egli trascende i limiti umani, ha autorità sul creato. Si comporta come solo Dio può fare:
– “Da solo spiega i cieli, cammina sulle più alte onde del mare” (Giobbe 9:8);
– “Sei tu penetrato fino alle sorgenti del mare? Hai tu passeggiato in  fondo all’abisso?” (Giobbe 38:16).

La reazione dei discepoli è devastante: sono turbati, non riescono a riconoscerlo. Questo capita anche a noi. Quante volte nel momento della disperazione non riusciamo a riconoscere la presenza di Dio in quello che ci succede? Ci lasciamo prendere dalla paura. Abbandoniamo le nostre convinzioni, abbandoniamo anche la nostra fede, nel momento della prova…

Ma subito Gesù parla e dice: “Coraggio, sono io; non abbiate paura!” (Matteo 14:27). Avrebbe potuto comparire direttamente sull’altra riva e attendere i discepoli al loro arrivo. Ciò non avrebbe modificato in alcun modo l’evento miracoloso, potendo essere lì prima dell’arrivo dei discepoli con la barca. Ma il Maestro, invece, sceglie di apparire all’improvviso, durante la tempesta, e le prime parole che pronuncia sono per calmarli ed esortarli. “Coraggio, sono io, non abbiate paura”.

Cosa significa coraggio? Dal latino coraticum o anche cor habeo, è un sostantivo che deriva dalla parola composta cor-cordis, cuore, e dal verbo habere, avere: ho cuore; è la virtù umana, spesso indicata anche come fortitudo o fortezza, che rende capace, chi ne è dotato, di non sbigottire di fronte ai pericoli, di affrontare con serenità i rischi, di non abbattersi per i dolori fisici o morali e, più in generale, di affrontare a viso aperto la sofferenza, il pericolo, l’incertezza e l’intimidazione.

Allora, qui il termine coraggio, posto accanto alle parole “sono io”, assume un significato diverso, forte. Quasi a voler scuotere il nostro animo, assopito, addormentato, smarrito e far sì che possiamo riconoscerlo.

“Coraggio, sono io, non abbiate paura”. Il messaggio contenuto in queste parole afferma che, anche nella situazione più disperata della nostra vita, il Signore è pronto a sostenerci, è pronto a salire sulla barca della nostra esistenza e, con lui, possiamo realizzare ogni cosa. “Io posso ogni cosa in colui che mi fortifica” leggiamo in Filippesi 4:13.

Coraggio, dice Gesù, ci sono io. Non abbiate più paura di affrontare la vita. Esiste la maniera, quotidiana, per non avere paura? Sì, esiste. Vi è una rotta che possiamo seguire ed è l’insegnamento di Gesù, presentato nella Scrittura. Così, anche quando “camminassi nella valle dell’ombra della morte, io non temerei alcun male, perché tu [Dio] sei con me, il tuo bastone e la tua verga mi danno sicurezza” (Salmo 23:4).

Come leggere la Bibbia. Lettura pregata della Scrittura

Come leggere la Bibbia. Lettura pregata della Scrittura

Michele Abiusi – Quando leggiamo la Bibbia, nella nostra quotidianità, consapevoli di non essere davanti a un libro qualunque, ma alla parola ispirata da Dio, dobbiamo leggere in maniera diversa: una lettura pregata, che sicuramente ci farà crescere spiritualmente e nella nostra personale comunione con Dio. Essa è un cammino con determinate tappe in cui il credente è invitato a sostare. Queste tappe si susseguono secondo un ordine logico. Ci sono otto tappe progressive:
Lettura. Nella lettura si cerca di capire il brano nel suo contesto originale storico, geografico, culturale. Qual era lo scopo spirituale che l’autore aveva in mente? Quando lo scrisse? Dove? In quali circostanze? Come è stato ricevuto quel messaggio dai destinatari originali? Per giungere all’intimità con la Scrittura è necessaria una lettura continua e organica. Bisogna applicarsi sul testo con attenzione, con calma, e soprattutto accostarsi “in spirito”. Prima di iniziare la lettura occorre mettersi in una disposizione particolare e invocare Dio chiedendogli l’aiuto dello Spirito Santo affinché venga a alluminarci. Per ricevere gli insegnamenti dell’Altissimo, occorre un tempo adatto, non i ritagli di tempo nella fretta e nella distrazione. Il risultato di questo contatto continuo con la parola di Dio, è una sorta di condizionamento psicologico positivo; l’acquisizione di ciò che potremmo chiamare “mentalità biblica”, che ci condizionerà nelle nostre scelte di vita.

Meditazione. Non la si può distinguere nettamente dalla prima tappa; si passa dalla lettura all’approfondimento. Anticamente la meditazione era un esercizio di lettura e di ripetizione delle parole, anche pronunciandole, fino ad imparare il testo a memoria. Si tratta di un ritornare sul testo, richiamandone le parole, per ritrovare il tema centrale e imprimerlo nel cuore. È un cercare la  conoscenza, non in senso occidentale (quella intellettuale), ma la conoscenza in senso biblico, ovvero l’esperienza che ne facciamo. Riflettere lo scopo ultimo del  testo. Qual è la rilevanza per l’oggi dell’elemento spirituale che l’autore (umano e divino) esprime nel testo? In che modo veniamo provocati dal testo? Si tratta di un lavoro paziente di approfondimento, ma è un gustare la parola di Dio.

Preghiera. Dalla meditazione non può che scaturire la preghiera. In realtà, già quanto fatto finora è una  forma di preghiera. Si tratta ora di prenderne  coscienza: è la nostra  risposta alla lettura. La parola è venuta in noi e ora torna a Dio, sotto forma di preghiera, la vera preghiera: quella che sgorga dal cuore al tocco della parola divina. È un pregare con la parola di Dio.

Contemplazione. “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Matteo 28:20, Cei). La contemplazione avviene quando la molteplicità dei sentimenti, delle riflessioni e della preghiera si concentra su Gesù che è presente. Contemplare è entrare in un rapporto di fede e di amore con il Dio vivente che in Gesù si è rivelato. La contemplazione è facilitata se scegliamo una parola, una frase, un’immagine dal testo biblico. La contemplazione diventa adorazione nella lode e nel silenzio davanti a Dio. La vera contemplazione ci aiuterà a vedere chi siamo veramente e ciò che dovremmo essere, secondo il punto di vista di Dio. Ci libera dal pericolo d’imporre al testo un’interpretazione ristretta, religiosa o confessionale, che sarebbe lontana dai perenni scopi di Dio. La contemplazione non è qualcosa cui arriviamo noi, con sforzi personali. È un dono dello Spirito Santo che germoglia nella nostra lettura pregata della Scrittura.

Gioia. È un dono dello Spirito: “Il frutto dello Spirito è… gioia” (Galati 5:22). Gustare le cose di Dio ci dà quella gioia da cui scaturiscono le scelte coraggiose e i propositi della fede, quali il perdono, l’umiltà, l’obbedienza.

Discernimento. “Sia questo dunque il sentimento di quanti siamo maturi; se in qualche cosa voi pensate altrimenti, Dio vi rivelerà anche quella. Soltanto, dal punto a cui siamo arrivati, continuiamo a camminare per la stessa via” (Filippesi 3:15,16). Con il discernimento diveniamo sensibili a tutto quello che è spirituale e riusciamo a seguire Gesù, a entrare nella mente di Gesù. “Ora noi abbiamo la mente di Cristo” (1 Corinzi 2:16).

Decisione. Dio comunica con noi individualmente e noi gli rispondiamo in base a questo percepire la sua  volontà, facendo scelte che cambiano radicalmente la nostra vita.

Azione. È la sintesi delle tappe fin qui descritte. L’azione riguarda soprattutto le scelte di vita che possono avere conseguenze su altri. Leggiamo e meditiamo la Scrittura affinché lo Spirito Santo ci aiuti a mettere in pratica le scelte fatte.

Per praticare queste otto tappe che conducono alla comprensione del pensiero divino, dobbiamo tenere presente che ci deve essere una lenta assimilazione del testo biblico, disinteressata. Una lettura impegnata, in cui ci si sente direttamente coinvolti, e solitaria; un rapporto personalissimo tra la sacra pagina e noi. Naturalmente questa deve essere una pratica quotidiana.

Si tratta di imparare ad ascoltare Dio nelle pagine della Sacra Scrittura. Dio parla ancor oggi alle persone!

 

Come leggere la Bibbia. Lectio divina 2

Come leggere la Bibbia. Lectio divina 2

Michele Abiusi – La scorsa settimana abbiamo parlato della lectio divina, definita anche la lettura pregata della Bibbia. Come possiamo far nostra una preghiera letta, così che diventi anche preghiera personale? Suggeriamo di leggere con sentimento e partecipazione il testo scritto; di soffermarsi sulle parole che si adattano alla nostra situazione e al nostro stato d’animo, meditandoci sopra; di provare a rivivere le esperienze del servitore di Dio e accodarsi a lui nelle richieste; di pronunciare un amen sentito per ogni richiesta che condividiamo con lo scrittore e che sentiamo particolarmente nostra.

La lectio divina non è quindi una lettura che procede solo dalla Bibbia al credente, ma anche al contrario, perché influisce nel trasformare la vita di coloro che vengono toccati da quanto leggono. La meditazione e la contemplazione del testo biblico, unito alla preghiera, fa sì che l’attenzione, l’intelligenza e la sensibilità vengano sollecitate in modo che anche un brano noto diventi come nuovo, trovando altri significati. Dobbiamo adattare a noi stessi ciò che leggiamo nella Bibbia, cercando di riviverne gli episodi e chiedendoci come avremmo risposto se ci fossimo trovati nelle medesime situazioni. Tutto questo processo di lettura-preghiera-meditazione porta alla trasformazione della personalità del credente secondo il modello scritturale, perché lo Spirito Santo opera nel cuore indirizzandolo verso i cambiamenti da adottare.

I quattro sensi della Bibbia
Nel leggere la Bibbia dobbiamo ricercare il significato originale del testo, così come veniva compreso dai destinatari primigeni del messaggio ispirato. Luoghi, personaggi, usi e i costumi dell’epoca, la mentalità semita, il contesto storico-culturale devono essere presi in considerazione e attentamente valutati. Vanno distinti quattro sensi biblici che danno significato al testo ispirato.
Il senso letterale. Quando leggiamo un testo della Scrittura, cogliamo lo svolgersi dei fatti trovando risposta alle domande fondamentali per capire le vicende: Chi? Cosa? Dove? Quando? Perché? Come? Il senso letterale è la base per la comprensione del testo biblico, poi seguono gli altri che approfondiscono lo studio.

Il senso allegorico. Ha attinenza con la fede per scoprire il mistero dell’agire di Dio che è nascosto a una lettura superficiale della Bibbia. Insegna ciò che si deve credere guardando con gli occhi della fede. Per non incorrere in errori di interpretazione, facili quando si va oltre il senso letterale delle cose, si deve prestare attenzione all’unità di insegnamento di tutta la Scrittura. Il senso allegorico va interpretato quando è presente nel testo, senza inventarselo.

Il senso morale. Ci insegna come comportarci ed è presente in tutte quelle indicazioni o esortazioni bibliche che incoraggiano il vivere retto come servitori di Dio. Lo possiamo cogliere ovunque nella Scrittura, ma trova la sua più alta espressione nei 10 comandamenti e nell’insegnamento di Cristo. L’apostolo Paolo lo sintetizzò così, identificandolo con la Bibbia stessa: “Tutta la Scrittura è divinamente ispirata e utile a insegnare, a convincere, a correggere e a istruire nella giustizia, affinché l’uomo di Dio sia completo, pienamente fornito per ogni buona opera” (2 Timoteo 3:16, 17, ND). Parola viva quindi, operante nelle nostre vite, che ci dà sempre la giusta direzione da seguire.

Il senso anagogico. Rappresenta il significato più profondo e nascosto delle Sacre Scritture. Ha attinenza con la nostra speranza, il significato della nostra vita e del nostro futuro. Anagogico è quindi pertinente a escatologico, cioè alla ricerca delle “ultime cose” o, per dirla biblicamente, degli “ultimi giorni”, che per il discepolo di Gesù coincide con la parusia del Signore (il ritorno di Gesù). Il senso anagogico del testo biblico ci fa chiedere: “Quale speranza posso nutrire oggi e in vista del futuro?”.

Il senso letterale è quello basilare da cui partire, non è mai la meta della lettura. Il fondamentalismo biblico ha le sue radici nella comprensione della Bibbia solo in senso letterale ma, come sa bene ogni serio studioso della Scrittura, si prendono colossali cantonate quando si limita l’intendimento della parola alla sola dimensione letterale. Perciò gli altri sensi permettono di approfondire, danno il senso spirituale, il vero significato di cui ha bisogno il lettore moderno così distante dai tempi in cui fu redatta la Bibbia.

I benefici della lectio divina
A livello personale e comunitario la lectio divina rappresenta il solo modo di accostarsi al testo scritturale perché risponde in pieno allo scopo per cui fu scritta la Bibbia: “perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona” (2 Timoteo 3:17). Nella lettura pregata della Bibbia adattiamo noi stessi al testo, riviviamo con partecipazione le vicende del popolo ebraico, la vita di Gesù e della neonata chiesa cristiana. Con l’apostolo Paolo siamo fulminati dalla luce accecante sulla strada per Damasco, partecipiamo con lui alla fondazione di intere comunità di discepoli e alle numerose avventure che visse insieme ai suoi collaboratori.

La molteplicità di esperienze di vita vissuta, narrate nella Scrittura, fa sì che ognuno di noi possa trovare aiuto nelle proprie necessità spirituali. In altre parole, si tratta di sviluppare un’intimità con la Scrittura che porta a rivivere e a partecipare con sentimento a ciò che si legge. Raggiungendo questa affinità, quando si legge un salmo, che sovente è una preghiera, le parole non sono più quelle del salmista, ma diventano le nostre, a tal punto ci immedesimiamo nei sentimenti dello scrittore.

La lettura pregata della Bibbia non è quindi importante per quanto ci fa avere, ma nella misura in cui ci trasforma in quell’uomo spirituale di cui tanto scrisse l’apostolo Paolo: “Ora noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito che viene da Dio, per conoscere le cose che Dio ci ha donate … L’uomo spirituale, invece, giudica ogni cosa ed egli stesso non è giudicato da nessuno” (1 Corinzi 2:12, 15).

Dio e la sofferenza

Dio e la sofferenza

Glenn Townend – Migliaia di persone hanno perso il lavoro, i fondi pensionistici hanno un valore sostanzialmente inferiore e l’accento su come relazionarsi diventa sempre più evidente: queste sono solo alcune delle conseguenze della pandemia di Covid-19. Le persone sono contagiate o temono l’infezione, gli operatori sanitari sono stressati e le famiglie sono in lutto. Tutti vivono in uno stato di sofferenza.

Dio non è sorpreso dagli effetti del virus, ma che cosa fa al riguardo? Questa domanda presume due caratteristiche divine. Innanzitutto che Dio è amore e vuole aiutare le persone. La Bibbia lo afferma più volte. “Il Signore passò davanti a lui, e gridò: ‘Il Signore! Il Signore! Il Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira, ricco in bontà e fedeltà’” (Esodo 34:6). “Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore” (1 Giovanni 4:8).

In secondo luogo, Dio ha il potere di intervenire nella sofferenza. “Vi è forse qualcosa che sia troppo difficile per il Signore?” (Genesi 18:14). “Gesù fissò lo sguardo su di loro e disse: ‘Agli uomini questo è impossibile; ma a Dio ogni cosa è possibile’” (Matteo 19:26).

Dio accetta persino le nostre domande sulla sofferenza (cfr. Salmo 13:1-4; Apocalisse 6:10).

Da quanto leggo nella Scrittura, il Signore si riferisce alla sofferenza in tre modi.
Dio soffre nel vedere come le persone si trattano reciprocamente. “Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra… e se ne addolorò in cuor suo” (Genesi 6:5, 6). Pensiamo ai conflitti, agli omicidi, agli abusi sessuali, allo sfruttamento, all’avidità e ai furti che si verificano ogni minuto di ogni giorno. Dio vede tutto questo e gli si spezza il cuore. Soffre per ciò che facciamo l’un verso l’altro (cfr. Esodo 3:7-10; Osea 11:3-9).

Dio soffre con le persone. Quando Adamo ed Eva peccarono, Dio andò nel giardino per parlare con loro (cfr. Genesi 3:8-10). Gesù, il Figlio di Dio, venne e visse come un essere umano proprio come noi (cfr. Giovanni 1:14; Matteo 1:23). Dio non è distante nella sofferenza: è lì con noi per capire e confortare.

Dio soffre per le persone… Parlando di Gesù, il testo di Isaia dice: “Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti” (Isaia 53:5 e seguenti, Cei). E poi i versetti di Ebrei 2:9-18; 1 Pietro 2:21-24.

Qualunque afflizione possiamo subire, ricordiamoci che Dio soffre perché soffriamo; soffre con noi; e soffre per noi. E sappiamo che arriverà il momento in cui porrà fine alla sofferenza una volta per tutte: “Egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non ci sarà più la morte, né cordoglio, né grido, né dolore, perché le cose di prima sono passate” (Apocalisse 21:4).

[Fonte: Adventist Record]

Come leggere la Bibbia. Lectio divina

Come leggere la Bibbia. Lectio divina

Michele Abiusi – “Qual è il senso della vita? Ci sono tante risposte a questo interrogativo quanti sono gli uomini sulla terra. Eppure una sola risposta è valida per tutti: chi ha veramente assaporato l’Essere sa, una volta per tutte, che il senso della vita umana non è altro che il divenire testimone del divino, dell’esistenza” – K.G. Duckheim.

Cosa corrisponde a verità? Come posso migliorare la mia vita? Qual è la speranza che non verrà mai delusa? Sì, qual è il senso della vita?

Chi non si è mai posto domande del genere? Per i cristiani la Sacra Bibbia è parola di Dio. Pertanto è la fonte primaria per trovare le risposte ai quesiti fondamentali della vita, soprattutto al senso della vita. Per Duckheim si tratta di “assaporare” l’Essere che noi seguaci di Gesù riteniamo rivelarsi nelle pagine della Scrittura. Uno strumento o, per meglio dire, un metodo efficace per permettere alla parola di dischiudersi alla nostra mente e di esercitare la sua positiva influenza è la lectio divina.

Lo scopo della lectio divina è ricercare Dio nella sua parola, la Bibbia, attraverso una lettura meditata e partecipativa del testo ispirato. La possiamo chiamare anche “lettura pregata della Bibbia”, dato che la preghiera entra naturalmente, come vedremo in seguito, in questo processo di lettura.

Gesù menzionò l’aiuto di cui abbiamo bisogno per capire il senso dei testi biblici quando disse: “il Consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto quello che vi ho detto” (Giovanni 14:26). Fu lo Spirito Santo di Dio a spingere i profeti a portare il suo messaggio e a metterlo per iscritto: “degli uomini hanno parlato da parte di Dio, perché sospinti dallo Spirito Santo” (2 Pietro 1:21). “Tutta la Scrittura infatti è ispirata da Dio” 2 Timoteo 3:16. Lo stesso Spirito agisce in noi sollecitando le nostre facoltà mentali e spirituali quando meditiamo la Scrittura.

Che cos’è la lectio divina? È un modo di accostarsi alla parola, che implica la partecipazione totale delle nostre facoltà intellettuali e spirituali alla rivelazione divina. Il primo termine lectio, in latino, significa lettura. Si tratta di un modo particolare di leggere le Scritture:
– è ascolto di Dio che ci parla attraverso le Scritture;
– è anche una lettura profonda e meditata delle Scritture;
– è una lettura sapienziale non tanto per quanto ci dà, ma perché ci fa essere discepoli migliori.

La sapienza in senso biblico infatti non deriva solo dai nostri sforzi per comprendere la Bibbia, ma soprattutto dall’applicare quanto già preparato per noi. In questo processo di crescita spirituale possiamo e dobbiamo avvalerci di tutti gli strumenti che i moderni studi biblici mettono a nostra disposizione, ma non possiamo fermarci qui. Infatti la seconda parola, divina, implica la sfera spirituale e ciò significa che dobbiamo rispondere a quanto leggiamo nel testo sacro cercando i modi per applicare nella nostra vita le lezioni che ci vengono impartite dalla parola.

In questo senso la lectio divina è un ascolto della parola implicante una risposta da parte del lettore che può chiedersi: che cosa mi vuol dire questo passo? Quale significato può avere nel mondo d’oggi? Come posso adempiere l’insegnamento implicito nel testo? Cosa mi rivela della personalità di Dio? In tale risposta è fondamentale la preghiera.

Nella lectio divina confluiscono anche la meditazione, la contemplazione e ovviamente la lettura.

In questo senso la lectio divina è una ricerca del divino. Non è una lettura veloce, quindi, né per immagazzinare informazioni, ma una lettura contemplativa in vista della preghiera, rafforzando il rapporto con il nostro meraviglioso Dio.

Lectio divina significa perciò “lettura pregata della Parola”. Si può pregare anche usando le parole di alcuni salmi o di altre preghiere bibliche, meditando ogni parola quasi fosse nostra e attuando un processo di adattamento-assimilazione delle parole ispirate con il nostro sentire.  Questo tipo di analisi biblica implica quindi una risposta da parte del lettore che troverà nei vari libri delle Scritture uno spunto per un dialogo spirituale con Dio, avendo interiorizzato il messaggio biblico.

La lectio divina quando non sappiamo come pregare
Il testo di Romani 8:26 dice: “lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché non sappiamo pregare come si conviene; ma lo Spirito intercede egli stesso per noi con sospiri ineffabili”. Nella vita capitano momenti difficili e dolorosi in cui siamo talmente provati che non troviamo le parole per esprimerci in preghiera. In questi casi la Bibbia ci viene in aiuto perché possiamo leggere dei versetti appropriati, come i salmi, a mo’ di preghiera. Essendo la Bibbia il prodotto dello Spirito Santo di Dio, leggendola con devozione e raccoglimento, possiamo immedesimarci nelle sue parole, vivendole intensamente come se fossero nostre.

In questo tipo di lectio divina è come se nel testo della Scrittura si innestassero le parole che escono dal nostro cuore dando nuova vita al testo stampato. Si crea come una nuova concatenazione di eventi: Dio ha ispirato gli uomini che scrissero il testo biblico; lo stesso Spirito agisce in noi per rendere nostre le parole ispirate.

 

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