Michele Abiusi – Il terzo comandamento così come è scritto nel libro dell’Esodo, al capitolo 20, recita: “Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascerà impunito chi pronuncia il suo nome invano" (v. 7). 

Nel primo precetto Dio si presenta come l’unico esistente: l’unico che salva, che libera; l’unico Dio che l’uomo può adorare. Con il secondo comandamento Dio aiuta l’uomo a combattere l’idolatria, la superstizione e le concezioni magiche che così facilmente allontanano il credente da una relazione profonda e spirituale con il divino, proibendo il culto prestato a qualsiasi immagine e a qualunque persona. Nel terzo comandamento ci mette in guardia contro un uso sbagliato, scorretto, inutile del nome di Dio. Si tratta ancora di un precetto che vuol regolare il nostro rapporto con il Signore dell’universo.

A una prima lettura capiamo che si tratta di un ordine a non bestemmiare. In effetti la bestemmia, che è purtroppo così comune nella nostra Italia e soprattutto in alcune nostre regioni, rivela non solo il non rispetto di Dio ma anche la mancanza di sensibilità verso le persone che ci ascoltano e che potrebbero essere dei credenti. 

Ma questo precetto non parla solo ai bestemmiatori. Vediamo cosa significava per Mosé, che ha trascritto le dieci parole, l’espressione “non pronunciare il nome del Signore invano”.

Bisogna tener conto che per gli antichi popoli semiti il nome non era semplicemente una parola che distingueva una persona da un’altra o un Dio da un altro; il nome era parte integrante della persona. Rispettare il nome di Dio significava rispettare Dio stesso, la sua essenza e tutto ciò che rappresentava. 

Un giorno Gesù disse al Padre riguardo ai suoi discepoli: 
– “Io ho manifestato il tuo nome agli uomini” (Giovanni 17:6);
– “Io ho fatto loro conoscere il tuo nome, e lo farò conoscere, affinché l'amore del quale tu mi hai amato sia in loro, e io in loro” (Giovanni 17:26).

Far conoscere il nome di Dio non significava, per Gesù, trasmetterci i suoi dati anagrafici. Gesù non voleva rivelarci l’unico nome accettabile per parlare del Padre e per pregare. Venendo tra di noi, ci ha comunicato il carattere e i sentimenti del Padre. Conoscere il nome di Dio significa apprendere l’amore, la grazia, il perdono, la misericordia, la pazienza del Signore. Per questo i testi appena menzionati del Vangelo di Giovanni affermano che Gesù ha “manifestato”, “ha fatto conoscere il nome di Dio agli uomini”, permettendoci così di vivere l’amore di Dio. Solo scoprendo l’amore di Dio possiamo viverlo!

Gesù è venuto non per far conoscere un nome, ma per rivelare l’essenza e il carattere di colui che si celava, e ancora oggi si nasconde, dietro i vari nomi con i quali l’uomo lo nomina. Ma c’è dell’altro: il nome era, presso gli antichi ebrei, uno strumento per parlare del significato dell’esistenza. Il nome aveva un senso, traduceva un modo di essere, era dato in funzione degli eventi legati alla nascita o di ciò che i genitori si aspettavano dal figlio. Per esempio, il nome Mosè significa “salvato dalle acque”, Samuele vuol dire “chiesto al Signore”, Giacobbe proviene dal verbo “ingannare”, Gesù significa “Dio salva”, Emmanuele è “Dio con noi”. E potremmo continuare all’infinito.

Ogni nome dei personaggi biblici porta con sé un messaggio, una missione. Per capire quanto il nome fosse legato alla realtà della persona basti sapere che a volte veniva cambiato in funzione di un evento importante che alterava il percorso della vita. Così Abramo, “padre eccelso”, diventerà Abrahamo, “padre di una moltitudine”; Giacobbe, “ingannatore”, sarà chiamato Israele, “colui che lotta con Dio”; e accadde con l’apostolo Simone che Gesù chiamò Pietro.

Tenendo conto di quanto abbiamo appena detto, è facile capire perché Dio non si lasci definire da un nome. Il Dio che parlò a Giacobbe, cambiandogli il nome e la storia, rifiutò di svelare il proprio nome dicendo “Perché chiedi il mio nome?”. La sua eternità non potrebbe essere racchiusa in un nome. La Sacra Scrittura parla di Dio solo facendo allusione alle sue caratteristiche: il Creatore, l’Eterno, il Pastore, il Re dei re, il Signore dei signori, il Potente, il Misericordioso, il Padre eterno, l’Eterno degli eserciti, e così via. Ogni nome esprime un aspetto di Dio, ma tutti insieme non riescono a qualificarlo pienamente. Dio è irraggiungibile. Il suo essere infinito non può essere bloccato con qualche consonante o vocale…  Se qualcuno pretendesse di conoscere il vero e unico nome di Dio dimostrerebbe una grande presunzione.

Gli stessi ebrei che ricevettero da Dio le prime rivelazioni contenute nella Bibbia scrivevano il nome che ritenevano più sacro di Dio con quattro consonanti, YHWH, che non pronunciavano per il grande rispetto che ne avevano. Quando si imbattevano nelle quattro consonanti cambiavano la parola e leggevano “Adonai”, che in italiano traduciamo con “Signore”. Sapendo che anticamente la lingua ebraica si scriveva senza le vocali e visto che il sacro nome non veniva pronunciato, con il passare dei secoli si è persa la vocalizzazione di quel nome e quindi la possibilità di leggerlo correttamente. Sappiamo soltanto che le quattro consonanti fanno riferimento al verbo essere, quindi all’esistere; da qui l’idea che quel nome voglia dirci che Dio sia colui che è, che esiste, che è presente.

Comunque, in conclusione, vorrei dire che la pretesa che alcuni hanno di conoscere il vero e unico nome della divinità è senza fondamento storico e biblico. Ricordate la preghiera del “Padre nostro”? Ecco le prime parole: "Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome” (Matteo 6:9). Gesù ha preferito definire Dio con il termine “Padre”, invitandoci a seguire il suo esempio per privilegiare questo rapporto familiare, intimo e amichevole che dovrebbe istaurarsi tra noi e lui.

L’espressione “sia santificato il tuo nome” non significa soltanto rispettare un nome specifico, ma manifesta la responsabilità di colui che prega nell’adoperarsi affinché Dio sia onorato, amato, valorizzato nelle proprie parole ma anche nel comportamento. Nel pregare “sia santificato il tuo nome”, esprimo il desiderio e la volontà di dare il tempo e l’attenzione necessari al mio Creatore e ai suoi consigli, alla sua Parola.

Potrei non bestemmiare e comunque mancare di rispetto al nome di Dio se, per esempio, pur conoscendo la sua legge non la seguissi; se non leggessi quel messaggio meraviglioso, la Bibbia, che il Signore mi ha inviato; se non vivessi il suo amore con i miei familiari e con chiunque altro. 
Non potrei onorare il suo nome e maltrattare uno dei suoi figli, chiunque esso sia. 
Non è possibile santificare il suo nome e non essere sensibile verso colui che soffre. 

Non pronunciare il nome del Signore, Dio tuo, invano…

 

 

 

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