Ci siamo? Alcune riflessioni del nuovo direttore associato di Adventist Review, all’indomani della fumata bianca.
Shawn Boonstra – Il conclave si è svolto in modo straordinariamente rapido, e ha scelto il nuovo vescovo di Roma in meno di due giorni. Quando il fumo bianco è uscito dal camino della Cappella Sistina, le persone che si erano attardate nei pressi del Vaticano hanno iniziato a correre verso piazza San Pietro, ansiose di scoprire chi sarebbe stato il nuovo papa. All’annuncio, la risposta della folla è apparsa alquanto tiepida all’inizio. Ci sono stati sguardi confusi sui volti e mormorii diffusi prima che l’entusiasmo riprendesse.
A cosa era dovuta tale confusione? Leone XIV è il primo papa americano, un fatto che sicuramente metterà in moto l’immaginazione profetica degli avventisti. Quando John F. Kennedy divenne il primo presidente cattolico degli Stati Uniti, molti sospettarono che fosse giunto l’inizio della fine; dopo tutto, sappiamo che arriverà il momento in cui la prima e la seconda bestia (di Apocalisse, ndt) si uniranno attraverso il golfo e inaugureranno una rinascita dello stato oppressivo della cristianità che ha dominato l’Occidente per tutto il periodo medievale. Quando si ha un presidente americano che appartiene a un’organizzazione globale che aspira al potere globale, non è difficile vedere il potenziale per i rapidi movimenti che, ci è stato detto, arriveranno.[1]
Era più di mezzo secolo fa, un lasso di tempo che è solo una goccia nel mare se paragonato al trascorrere di due millenni. Alcuni potrebbero certamente sostenere che da allora abbiamo visto apparire delle ammaccature nell’armatura della nazione americana, un Paese che Ellen G. White (scrittrice e co-fondatrice della Chiesa avventista, ndt) descrisse come dotato di un “governo protestante e repubblicano”.[2]
Ora, più di sei decenni dopo l’assassinio di JFK e dopo un altro presidente cattolico (Joe Biden), viviamo in un momento in cui una curiosa miscela di pensiero romano e americano è apparsa dall’altra parte dell’oceano: il cardinale Robert Francis Prevost. Quanto è americano? È difficile dirlo; sicuramente è nato negli Stati Uniti, ma ha trascorso la maggior parte della sua carriera religiosa in altri luoghi.
La breve collezione di sguardi vuoti in piazza San Pietro suggerisce che la maggior parte di noi non sappia molto di questo nuovo pontefice; semplicemente non era nella lista dei papabili potenziali. Tuttavia, il fatto che sia il primo papa americano al mondo ha certamente un potenziale profetico. Solo che non so proprio quale possa essere.
Nel vedere Leone XIV sul balcone mi sono posto alcune domande, soprattutto perché sono naturalizzato americano. Quando ho ricevuto la cittadinanza statunitense, ho dovuto rinunciare pubblicamente a qualsiasi fedeltà a un capo di Stato straniero. Non sono mai stato un monarchico, quindi non è stato difficile. Ma ciò solleva una domanda: “Il papa non è forse il capo di Stato del Vaticano? Può quindi mantenere il suo passaporto americano?”.
Altra domanda: “Quanto è americano il cardinale Prevost?”. La Costituzione americana e il diritto canonico sono da tempo un mix difficile da gestire. Gli Stati Uniti professano un impegno assoluto per la libertà religiosa, e anche se molti americani sentono che questo impegno si sia eroso negli ultimi decenni, continuiamo a professarlo. Roma, invece, sembra tollerare le altre fedi, ma spesso, nonostante un apparente impegno per l’ecumenismo, dà la netta impressione di credere ancora al dettame del vescovo Cipriano di Cartagine, secondo cui non c’è salvezza al di fuori della Chiesa cattolica.[3] L’obiettivo finale di Roma non è cambiato: tutta la cristianità riunita nel suo ovile.
Questa riunificazione comporterebbe, profeticamente parlando, un ritorno alla commistione tra Chiesa e Stato che si è rivelata così problematica in tutto l’Occidente nei secoli passati. Tale connubio tra potere civile e religioso è stato uno dei catalizzatori che ha spinto molti credenti ad attraversare il mare per raggiungere l’America e, sebbene molti di loro non sono stati all’altezza delle loro aspirazioni all’inizio (Mary Dyer è stata impiccata perché era una quacchera, dopo tutto), la nazione che alla fine è stata creata nel Nuovo Mondo ha radicato un impegno alla libertà nella sua costituzione.
Come possono convivere questi due gruppi di valori nella testa di un papa americano? Suppongo che il tempo ce lo dirà, ed è del tutto possibile che non ne venga fuori nulla. Ricordate: quasi tutte le volte che abbiamo tentato di prevedere i dettagli del futuro al di fuori dell’ampia portata di ciò che viene effettivamente detto nella Bibbia, ci siamo sbagliati, e questo perché la profezia non consiste tanto nel prevedere il futuro, quanto nel riconoscere il suo adempimento mentre accade.
Quando Gesù predisse l’imminente persecuzione dei suoi discepoli, scandì i suoi commenti dicendo: “Ma io vi ho detto queste cose affinché, quando sia giunta la loro ora, vi ricordiate che ve le ho dette” (Giovanni 16:4). Invano si cercheranno negli scritti dei discepoli previsioni dettagliate su come si sarebbe svolta la persecuzione; si troveranno invece resoconti di ciò che accadde. Immagino che i discepoli fossero troppo impegnati nell’opera di diffusione del vangelo per dedicare molto tempo a cercare di prevedere il futuro nei particolari. Quando Dio dava loro dei dettagli, li condividevano con la chiesa. Ma a parte la rivelazione profetica, nel Nuovo Testamento vi è una decisa mancanza di previsioni.
È questa, penso, la risposta appropriata per un avventista del XXI secolo. Certamente, prestare attenzione ai tempi, ma mai abbandonare l’opera che ci è stata affidata per dare priorità alla speculazione profetica. Abbiamo appena assistito a un’improvvisa spinta in avanti verso Apocalisse 13? Chi lo sa veramente? Forse. Ma qualunque cosa accada, il nostro compito principale non cambia: “In un senso speciale gli avventisti del settimo giorno sono nel mondo come sentinelle e portatori di luce. A loro è stato affidato l’ultimo avvertimento a un mondo che perisce. Su di loro risplende la meravigliosa luce della Parola di Dio. A loro è stata affidata un’opera della massima importanza: la proclamazione del messaggio dei tre angeli di Apocalisse 14. Non c’è altra opera di così grande importanza. Non devono permettere a nient’altro di assorbire la loro attenzione”.[4]
Uno dei maggiori benefici collaterali del rimanere concentrati sulla nostra missione è l’attenuazione della paura. A volte, quando diventiamo ossessionati dall’interpretazione degli eventi attuali, cominciamo a concentrarci sulle cose apparentemente spaventose che vengono predette nelle Sacre Scritture. Ma se la profezia vi spaventa continuamente, forse state solo leggendo male. Prendete ogni tanto una concordanza biblica e cercate i riferimenti di Gesù sulla “paura”. Leggete ciò che dice l’apostolo Paolo in 2 Tessalonicesi 2 e notate il suo invito alla calma: “Ora, fratelli, circa la venuta del Signore nostro Gesù Cristo e il nostro incontro con lui, vi preghiamo di non lasciarvi così presto sconvolgere la mente, né turbare sia da pretese ispirazioni, sia da discorsi, sia da qualche lettera data come nostra, come se il giorno del Signore fosse già presente” (2 Te 2:1, 2).
Un altro testo rassicurante è quello in cui Gesù promette di tornare e dice: “Il vostro cuore non sia turbato; credete in Dio, e credete anche in me!” (Giovanni 14:1).
Sì, prestate attenzione a ciò che accade, ma prendete i segni dei tempi come Dio li intende: una prova che sta mantenendo la sua promessa di redimerci e che nulla di ciò che accade coglie il cielo di sorpresa. Esiste davvero Qualcuno che osserva ciò che accade e possiamo lasciare a lui ogni preoccupazione.
Sì, è successo qualcosa di inaudito al conclave e sì, potrebbe avere un significato. Ma questo è tutto. Ora tornate al lavoro, perché i vostri vicini sono ancora senza speranza senza Gesù.
Note
[1] Cfr. Ellen G. White, Testimonies for the Church, Pacific Press Pub. Assn., Mountain View, Calif., 1948, vol. 9, p. 11.
[2] Ivi, vol. 5, p. 451.
[3] leggi, per esempio su: https://www.catholic.com/video/how-can-catholics-say-theres-no-salvation-outside-the-church .
[4] E. G. White, Testimonies, vol. 9, p. 19.
[Fonte: Adventist Review. Traduzione: Lina Ferrara]
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