Maol – Pubblichiamo la poesia di Claudio Coppini, della chiesa di Firenze, che parla del luogo di cure palliative per i malati terminali. «Un breve scritto» afferma l’autore «che prova a raccontare un’esperienza vissuta nell’hospice, in 15 giorni d’incontro ravvicinato con Laura, una cara amica che ci ha lasciato una settimana fa. Una esperienza personale che può essere occasione di riflessione per ciascuno di noi».

Incontro in hospice
Attraverso la città caotica
del primo pomeriggio,
e porto con me pensieri pesanti.
Intorno tutto frulla, automaticamente:
alla fermata un autobus della linea pubblica
è preso d’assalto da studenti e lavoratori,
e non riesce a ripartire.

Un grosso fuoristrada rosso
ruggisce al semaforo, pronto a scattare.
Dalla parte opposta,
un giovane in sella alla sua moto
smanetta spazientito
per il verde che non arriva.

Due anziani sulle strisce, coraggiosamente,
sfidano la fiumana di macchine
tenendosi per mano.
Seduti sul marciapiede
un gruppetto di turisti, si disseta
e cerca tra i frettolosi passanti
uno sguardo di gentilezza
che gli faccia dono di un attimo
per ritrovare la bussola.

Ed ecco in arrivo un pensiero pesante,
che il cuore, stavolta intercetta
e gratta via dalla mente
per averlo tra le mani.
Pazientemente lo osservo
e un interrogativo mi incalza:
«Com’è che non c’è mai tempo
finché abbiamo tempo?».

Sono ormai vicino,
la strada si fa meno battuta,
il verde si riappropria
del suo spazio vitale,
ma i pensieri pesanti, restano.
Anzi, se ne aggiungono altri.

Passo l’ultima curva
e appare appena visibile il cartello
con la scritta: Hospice.
Sono arrivato a destinazione.
Il luogo è immerso in una natura viva,
quasi lussureggiante, ovattata;
qui gli uccellini, perfino loro,
cantano a bassa voce,
per non disturbare.

C’è lentezza e gentilezza in tutto,
morituri e operatori
sono inzuppati d’umanità
e comprensione;
le altre persone che incontri
sono piene di complicità e rispetto,
eppure una volta fuori dal cancello
non sono più così

Qui, per l’ospite
il tempo di una giornata può essere infinito,
anche se per lui il suo tempo è finito.
Suono il campanello,
risponde una voce, la porta si apre,
mi incammino verso le scale con delicatezza,
primo piano, camera numero 4.
Mi faccio coraggio prima di entrare nella stanza,
non so immaginarti.

Ti vedo, sei distesa sul letto, sembri immobile
provata dall’aggressione del male
degli ultimi due mesi
e dagli effetti collaterali delle chemio
Sei in un dormi veglia insolito per te.
Mi avvicino, apri gli occhi,
li tieni fissi nei miei,
tensione di sguardi.

Per un attimo un bagliore vivo di luce ci illumina.
Prendo la tua mano, caldissima, tra le mie,
al contatto sussurri il mio nome,
fai un cenno, intuisco, abbasso la testa,
mi accarezzi dolcemente la barba
una volta, due volte, tre volte.
Trattengo le lacrime e quelle carezze
che hai voluto donarmi,
promessa d’amicizia, che resiste.

I tuoi occhi ora, si fanno pesanti
anche i miei pensieri, rotti dalle lacrime
che scivolano giù copiose
insieme a un grazie per la nostra amicizia,
per averla nutrita nel tempo di verità.

L’hospice
non è luogo di confine tra chi è al di qua e chi al di là,
ma piuttosto, spazio etico che sa accogliere
con il sostegno delle cure palliative, anche presenza
incontro, emozioni, sentimenti
e quel non detto che può trovare qui
insperata via di liberazione
a volte mai vissuta prima.

Così prima di risalire in macchina
sento salire dall’anima
un’irresistibile necessità di ringraziare
con la preghiera più essenziale che conosca:
«Padre nostro accoglici nella pace del tuo abbraccio».

Claudio Coppini

 

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