Giovanni, prigioniero in un’oscura isola solitaria chiamata Patmos, era privo di quasi tutte le libertà, eccetto la libertà di pensare. Pensò all’antico ordine politico, alla sua tragica incompletezza, alle sue terribili ingiustizie. E anche all’antica Gerusalemme, alla sua devozione superficiale, al suo negligente ritualismo. Ma, in mezzo all’angosciosa visione del passato, Giovanni ebbe anche la visione gloriosa di qualcosa di nuovo e di grande.

Vide una nuova e santa Gerusalemme discendere dal cielo, da Dio. L’aspetto più nobile di questa nuova città celeste era il suo equilibrio, la sua perfezione, raggiante come un’alba che mettesse fine alla lunga notte della stagnante imperfezione. Scrisse: “La sua lunghezza, la larghezza e l’altezza erano uguali” (Ap. 21,16).

La città futura può rappresentare la metafora della vita perfetta dell’essere umano, una vita in Dio; una vita completa nelle tre dimensioni ma da riequilibrare. Analizziamo la lunghezza della vita umana. Che cosa riveste maggiore importanza in questa dimensione?

Mario Calvagno e Carmen Zammataro intervistano Franco Evangelisti di Guerrino, pastore delle chiese avventiste di Cremona, Mantova, Parma.

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