Scoprirsi fragili per stare accanto al dolore altrui.

Francesco Zenzale – Il dolore è inevitabile! E stare accanto a chi soffre, non è facile. È inevitabile perché la sofferenza in tutte le sue manifestazioni (organica, emotiva, sociale, culturale, spirituale, ecc.) è parte di questo angusto pianeta, dal giorno in cui l’uomo s’è disarticolato da Dio (Gn 3). Non è facile perché è impensabile rivolgersi all’altrui fragilità senza misurarsi con la propria. Il costrutto “Ama il prossimo come te stesso” (Mt 22:39) sta alla base di un’attendibile relazione. L’amore non è cieco! Anzi, nel contesto in cui viviamo, in cui domina l’indifferenza, il narcisismo, l’assuefazione alla sofferenza, richiede una costante visibilità dell’altro e di sé, diversamente si rischia di perdersi di vista o di allontanare l’altro dal proprio raggio d’azione.

Nessuno ama stare vicino a un sofferente, soprattutto quando la “via dolorosa” è lunga e complessa, e porta al Golgota.1 Anche gli addetti ai lavori nell’ambito ecclesiale e non (sacerdoti, pastori, psicologi, ecc.), in questi ultimi tempi sono diventati un po’ alieni e forse privi di umanità e di compassione. Si avverte una triste idiosincrasia verso chi, con la propria sofferenza, disturba il nostro androicizzato2 modus vivendi. Salvo che non ci sia un ristorno economico o religioso.3 In tal caso ci si avvicina vestendo la maschera dell’ipocrisia e della falsa pietà. Ma ancor più è inconcepibile, amarsi e amare, stare accanto al proprio e altrui dolore, privi di valori connessi a Dio. Ecco il motivo per cui l’imperativo “ama il Signore Dio tuo” (Mt 22:37), precede l’amore per sé e per il prossimo.

Umanità
È scomparsa! Non dal vocabolario. Ma da qualsiasi relazione, anche in quelle in cui apparentemente si pensa che non ci sia bisogno. Umanità è un poderoso commisto di solidarietà, compassione, amore, perdono, cura e gentilezza. Forse è esagerato? No! Perché è ciò che nell’intimo avvertiamo di aver maggior bisogno. In modo particolare quando la gracilità psico-fisica emerge in tutta la sua esiguità.4

Essere “umani” è una virtù che migliora la vita, qualificando le relazioni. Favorisce un effettivo distacco dal nostro ego malato, camuffato da false certezze e sempre alla ricerca del palcoscenico: recitare è più facile che essere veri. Ci offre la consapevolezza della propria umanità e una relazione paritetica con coinvolgimento empatico e pragmatico nei confronti di chi soffre. Questa solidale predisposizione implica il guardarsi dentro con misericordia e carezze espansive e accoglienti, evitando pensieri discolpanti. Conoscere l’altro nella sua realtà, oltre le nostre proiezioni, i nostri desideri e ascoltare e agire con il cuore.5

Esiste una palese relazione tra l’accudire e analizzare se stessi e stare vicino all’altro con empatia. Le persone che umanamente sono in contatto con la propria gracilità, sono in maggior misura qualificate per stare accanto alla sofferenza altrui.

Fragilità
Chi vive distante dagli altri ha un’idea confusa della fragilità. Nell’immaginario collettivo avere un’ammirevole personalità significa avere un carattere forte e austero. Essere sempre all’altezza di qualsiasi situazione, gestire al meglio le emozioni, dominando ogni impulso negativo. Avere sempre una visione vincente del fare più che dell’essere. In altre parole essere dei semidei. Ma non lo siamo e ne siamo ben consapevoli! Infatti, se ci guardiamo allo specchio, l’immagine riflessa rivela tutta la nostra pochezza. Delle volte avvertiamo un senso d’inadeguatezza come se fossimo dei bruchi che faticano a diventare farfalle. C’è sempre qualcosa che vorremmo migliorare, anche fisicamente, soprattutto per chi ama l’apparenza.

Ciò che rende gradevole una persona è la sua nobiltà, lealtà e onestà d’animo. La sua capacità di coltivare le virtù umane, nonostante la fragilità. Addirittura, credo che questa parte nascosta di noi stessi,6 di cui spesso ci vergogniamo, sia una risorsa se scegliamo di stare accanto a chi soffre. La percezione della propria fragilità, che spesso è caratterizzata dalla paura, ci conduce verso l’altro con umiltà, che nella sua gracilità ci aiuta a sanare quella strana sensazione di smarrimento esistenziale. In questo processo di scambio di esilità, la fragilità si colora di forza, vive e si fa storia.

Insieme si vive meglio! Il dolore si attenua, la solitudine svanisce e la morte è meno chiassosa. In tal senso la fragilità è una visione della vita. Ciascuno di noi può colorarla di tinte ora più scure ora meno drammatiche in funzione dell’umore, della paura che si vive e del dolore che si è sostenuto e si continua a dolersi con l’altro. Nella buona e nella cattiva sorte, socialmente e fraternamente insieme. Nella fragilità, scriveva Paolo, “amatevi l’un l’altro di cuore, intensamente” (1 Pt 1:22).

Una parabola
La parabola del buon samaritano (Lc 10:25-37) è un’intrigante illustrazione del modo in cui siamo invitati a stare accanto al dolore. In primo luogo rileviamo come gli “addetti ai lavori”, il levita e il sacerdote, si disinteressano dell’uomo e dei suoi bisogni. Sono insensibili al dolore, perché la logica della sofferenza, che presuppone lo stare accanto al malcapitato senza alcuna pretesa, non produce alcun credito personale. La religiosità è un’eccellente maschera ecclesiale dietro la quale si celano ipotizzati seguaci di Cristo! È meglio allungare il passo, andare oltre, piuttosto che fermarsi e lasciarsi coinvolgere seguendo l’esempio di Gesù (Fil 2:5-8).

Dedicare del tempo, sporcarsi le mani, farsi carico del dolore altrui e incedere tenendo conto che l’altro non è in grado di stare al tuo passo, è un’esperienza che richiede costanza e impegno, opera e fatica. “L’opera della fede e la fatica dell’amore!” (1 Tess 5:3).

Di persone sofferenti nella malattia e nella totale solitudine, bisognose di esistere in relazione all’altro ne ho conosciute. Alcune si sono addormentante mentre pregavo, altre si sono svegliate pensando che fossi un angelo, altre ancore mi hanno sbaciucchiato e avvolto con le braccia perché non volevano che andassi via. Erano sole e sofferenti e io con la mia fragilità e inettitudine ero accanto a loro.

Uomini e donne che, mentre tenevo loro la mano, piangevano e ridevano per la contentezza, dicendomi: “Da tanto tempo nessuno si occupa più di me! Da tanto tempo nessuno mi ha più toccato!”. “Sentirsi completamente soli e isolati conduce alla disintegrazione mentale, proprio come l’inedia fisica conduce alla morte”.7

Ahimè! Anche oggi si muore di solitudine in mezzo a una folla o a una comunità anonima. Si muore di malattia senza ricevere un abbraccio, una carezza o una parola di speranza.

A conclusione della parabola del buon samaritano, Gesù pone la seguente domanda: “‘Quale di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che s’imbatté nei ladroni?’. Quegli rispose: ‘Colui che gli usò misericordia’. Gesù gli disse: ‘Va’, e fa’ anche tu la stessa cosa’” (Lc 10:36,37).

 

Note
1 Gli apostoli si allontanarono da Gesù nel breve percorso che lo condusse alla croce (Mt 26:47-56).
2 “Android” è il sistema operativo personalizzabile e facile da utilizzare installato su più di un miliardo di dispositivi in tutto il mondo: telefoni e tablet, orologi, TV, ecc.
3 Per interesse religioso, s’intendono le opere meritorie ai fini della salvezza eterna.
4 Umanamente il nostro curriculum vitae non è così diverso dall’altro, se consideriamo, oltre le personali inconsistenze socio-emotive, che tutti siamo inadempienti e che il male pervade la nostra sfera psico-fisica-affettiva. Con ragione scriveva l’apostolo Paolo: “tutti hanno peccato e son privi della gloria di Dio” (Rm 3:23; 5:12). Tutti, indistintamente, a causa del peccato siamo stati privati della floridezza edenica priva di ogni traccia di male o di sofferenza.
5 Ascoltare con il cuore è completamente diverso dall’ascoltare con le orecchie. Purtroppo, non sono molte le persone aperte e disponibili, realmente interessate a ciò che stiamo dicendo. Che hanno voglia di apprendere e di sorprendersi, senza interrompere e saltare subito alle conclusioni o dare immediatamente dei “saggi” consigli. Ascoltare con il cuore significa non esprimere subito la propria opinione, ma cercare di capire la vita nella prospettiva dell’altro. Significa ascoltare con senso di meraviglia.
6 Spesso la fragilità nascosta, contrassegnata da forti emozioni come il senso di abbandono, la frustrazione, ecc., esplode in modo improprio, con violenza verbale e delle volte fisica.
7 E. Fromm, Fuga dalla libertà, Ed. Mondadori, Milano, 1994, p. 26.

 

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