La sua improvvisa scomparsa lascia un grande vuoto.

HopeMedia ItaliaIl pastore e docente emerito Vittorio Fantoni si è spento domenica 9 febbraio. Avrebbe compiuto 72 anni il 7 marzo. Un aneurisma lo ha sottratto all’affetto della famiglia, degli amici e dell’intera comunità avventista in Italia. Nei suoi anni di servizio ha ricoperto vari incarichi presso l’Unione italiana, l’Istituto avventista “Villa Aurora” e le Edizioni Adv. È stato anche docente della Facoltà avventista di teologia (Fat).

Pubblichiamo il ricordo di Raffaele Battista, docente della Fat.

L’ultima volta che abbiam parlato di teologia, io e te, è stato otto anni fa, nell’aula 22, allora biblioteca. Tu proteso a vedere l’aspetto puramente esistenziale della croce di Cristo, io quello ontologico. Ci rimandavamo la palla come in una partita di tennis, nella quale, però, la palla si stampava sempre sulla rete. Quella volta non siamo entrati in sintonia, e chissà perché (lo so, in realtà) me lo ricordo ancora.

Ho avuto il peso e l’onore di vederti spirare, invano soccorso dai medici, e l’immagine non si cancellerà mai dalla mia mente. La tua fine è stata ingiusta rispetto alla tua vita. Meritavi una fine diversa, circondato dai tanti che venivano a chiederti consiglio. Meritavi di morire fra cent’anni (mai) sazio di giorni, in un letto bianco e azzurro.

E invece, no. Una fine banale, tutto il contrario della tua vita che, banale, non lo è stata mai. Sei stato il teologo del dialogo e dell’incontro. Instancabile con quel tuo Pronto Soccorso spirituale nel ricevere quelli che rimanevano indietro, che erano caduti e, magari, chiedevano un’altra chance alla vita.

Non pensavi che l’essere umano fosse malvagio, pensavi fosse debole. Allora, nel vangelo, coglievi i fiori della comprensione e della redenzione, scartando quelli della complicità che tace e scusa il peccato.

Sei stato un pensatore cristiano-avventista. Nel tuo lungo ministero hai anche incrociato qualcuno che ha discusso, anche bruscamente, la tua identità avventista. Una fede avventista, invece, tu l’avevi, eccome! Ed era anche identitaria; ma non ne eri ossessionato. Innamorato del dialogo e del mondo evangelico, che amavi nelle sue espressioni migliori, aperte alla conoscenza, non avevi posto per integralismi di alcun genere. E, qualche volta, questo non è stato compreso da tutti.

Avevi il tuo rigore morale che volevi spesso tradurre in interventi concreti. Eri uno che parlava. Una volta ti dissi che avevi avuto il privilegio di esprimere, sempre, ciò che pensavi. Mi hai risposto che ti sentivi addosso, improvvisamente, tutto il peso di una vita. Una vita nella quale i fatti degli altri diventavano anche tuoi, nell’accezione migliore. A volte ho pensato che esagerassi e, in un paio di occasioni, mi diede anche fastidio. Ce lo dicemmo e siamo andati avanti ancora insieme.

Ho amato la tua predicazione negli anni ‘70. Insieme ad altri tuoi colleghi dell’epoca hai avuto il merito di traghettarci da una cultura molto chiesastica a una che si apriva ad altri linguaggi, che sapeva “parlare alla gente”; dall’uomo della strada allo studente che cercava un’identità, dopo la fine di quel mondo di certezze borghesi messo in crisi dagli anni della contestazione.

Poi, sei diventato per lunghi anni un leader della chiesa e di istituzioni, mantenendo lo stesso approccio alla vita e alla gente, perché alla fine ritornavi sempre all’individuo, alla sua sfera.

Non ho dimenticato la tua passione per il ciclismo che condividevi con i tuoi due grandi amici: Bruno e Valentino.

Io non amo particolarmente il ciclismo, ma per te ho imparato che il Passo del Mortirolo, la salita che da Mazzo, dal versante valtellinese, è considerata tra le più dure l’Europa. Ora, avrei voluto che sulla tua “salita” tu facessi il gesto di Pantani quando si toglieva la bandana per salire più in alto di tutti! Avrei voluto vederti vincere le tue tristezze degli ultimi anni, superare tutti gli ostacoli fisici… Ma se continuassi così, cadrei sul terreno degli amici di Giobbe. Il tuo film epico l’hai voluto tenere solo per te, fino alla fine.  Vittorio, il tuo Giro d’Italia è terminato, ma il Signore ha già ripiegato per te la sua maglia rosa.

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