Daniele in breve. La solitudine di Gesù
13 Marzo 2018

Francesco Zenzale – “Dopo le sessantadue settimane un unto sarà soppresso, nessuno sarà per lui” (Da 9:26).

Nessuno sarà per lui. Triste epilogo di un’esperienza umana contrassegnata da equivoci, incomprensioni, rifiuti, ostilità, imboscate, tradimenti, e altro ancora. Elementi che alla fine hanno avuto il sopravvento: lo hanno soppresso. Nelle ultime ore del suo itinerario, Gesù aveva scelto di percorrere l’esistenza umana lasciandosi inondare dal suo stesso sangue (cfr. Mt 26:42).

Sin dalla nascita si poteva intuire quale sarebbe stato il suo modus vivendi. L’evangelista Giovanni, con il senno di poi, riepiloga il suo dramma umano con le seguenti parole: “Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, ma il mondo non l’ha conosciuto. È venuto in casa sua e i suoi non l’hanno ricevuto” (Gv 1:10-11).

Gesù passò dalla solitudine, che sgorgava dal disprezzo, dall’odio dei suoi nemici e dall’incomprensione dei discepoli, all’abbandono. Era indesiderato e disprezzato. Nel Getsemani, “oppresso da tristezza mortale” (Mt 26:38), chiese un gesto di riconoscimento, di accoglienza: “rimanete qui e vegliate con me”, ma quelli si addormentarono (Mt 26:40-45). Non li rimproverò! Gli aguzzini arrivarono e gli apostoli presi dal panico fuggirono (Mr 14:50-52; Mt 26:56): lo lasciarono solo! Solo davanti al sommo sacerdote, a Pilato, a Erode e lungo il sentiero che lo conduceva al supplizio. All’ombra della croce, gli esecutori tiravano a sorte per appropriarsi della tunica (cfr. Gv 19:24); le pie donne, sua madre e il discepolo dell’amore (Giovanni, cfr. Gv 19:26), piangevano nell’incomprensione. Non si rendevano conto che quella morte precedeva la risurrezione e pertanto sarebbe stata l’inizio di una nuova esperienza di vita. La speranza messianica ed escatologica si era concretizzata, la si poteva perfino vedere e toccare.

Etimologicamente il termine “solitudine” rimanda alla parola “separare”, composta da “se” e da “parare”. La prima indica “divisione”, la seconda “parto”. Ciò significa che Gesù sin dall’incarnazione si è separato dal cielo (cfr. Fl 2:5-8), successivamente dal grembo di Maria, poi da coloro che dovevano accoglierlo e dal mondo. Facendosi uomo ha scelto di vivere in un pianeta separato da Dio e dall’universo, accettandone tutte le conseguenze, ma con la sua vita, morte e risurrezione ha posto fine al trauma d’abbandono dell’umanità e a questa terra senza futuro. “Infatti Dio era in Cristo nel riconciliare con sé il mondo, non imputando agli uomini le loro colpe, e ha messo in noi la parola della riconciliazione” (2 Co 5:19).

Nessuno sarà per lui. Neanche noi. Non c’eravamo! Ma se fossimo stati presenti, mi resta difficile pensare che avremmo avuto un atteggiamento diverso da quello dei discepoli, dei farisei o di Pilato. Nella nostra limitatezza, lo avremmo lasciato solo!

Invece, Dio è sempre con noi, come lo è stato con Israele. “Egli lo trovò in una terra deserta, in una solitudine piena d’urli e di desolazione. Lo circondò, ne prese cura, lo custodì come la pupilla dei suoi occhi. Come un’aquila che desta la sua nidiata, volteggia sopra i suoi piccini, spiega le sue ali, li prende e li porta sulle penne” (De 32:10-11).

Pertanto, la nostra condotta non sia dominata dall’amore del denaro, dal disprezzo, dall’indifferenza e dall’ostinatezza. Cerchiamo di essere contenti delle cose che abbiamo; perché Dio stesso ha detto: “Io non ti lascerò e non ti abbandonerò” (Eb 13:5).

 

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