Riforma. Rapporto sull’analfabetismo religioso
Torino. Intervista a Paolo Naso, docente di Scienza politica e coordinatore del Master in Religioni e mediazione culturale presso l’Università La Sapienza di Roma. Paolo Naso ha contribuito al “Rapporto sull’analfabetismo religioso in Italia”. L’intervista è a cura di Luca Maria Negro.
Il “Rapporto sull’analfabetismo religioso in Italia” a cura di Alberto Melloni è un poderoso volume (oltre 500 pagine) appena uscito presso l’editrice il Mulino. Il testo è stato presentato al Senato il 2 maggio in una tavola rotonda che ha raccolto, tra gli altri, il giudice della Corte Costituzionale Giuliano Amato e il segretario generale della Conferenza episcopale italiana, mons. Nunzio Galantina. Tra i relatori, in qualità di autore di alcune sezioni del Rapporto, anche Paolo Naso, docente di Scienza politica all’Università La Sapienza di Roma, coordinatore della Commissione studi e del programma “Essere chiesa insieme” della Federazione delle chiese evangeliche in Italia.Naso ha contribuito al volume con tre saggi: il primo sui costi sociali dell’analfabetismo religioso, il secondo – che riprende i dati di una ricerca condotta da Gfk Eurisko per conto della Tavola valdese – su “Alcune misure dell’analfabetismo religioso degli italiani” e l’ultimo su “Strade (e sentieri) della formazione delle guide religiose”. Lo abbiamo intervistato.
Luca Maria Negro: Dal rapporto esce un quadro desolante sull’ignoranza media degli italiani in fatto di religioni. Può darci qualche esempio?
Paolo Naso: Chi ha scritto la Bibbia? Per il 50 per cento degli italiani Gesù e Mosè; più del 50 per cento non sa chi abbia dettato i dieci comandamenti e comunque il 60 per cento non sa citarne più di uno, generalmente “non rubare”; tra i più negletti, il primo, l’architrave del monoteismo ebraico e cristiano. Buio profondo anche sui fondamentali del catechismo cattolico: l’80 per cento ignora quali siano le virtù teologali. Con queste premesse è quasi una buona notizia che il 50 per cento del campione attribuisca a Lutero l’avvio della Riforma protestante. Resta però il fatto che solo un’élite riesce a mettere in ordine cronologico Noè, Abramo, Mosè e Gesù. Alcuni minimizzano affermando che assistiamo a un decadimento generale della cultura di base e che pertanto l’analfabetismo religioso è un dettaglio trascurabile di un problema più generale.
A me pare una giustificazione “relativista” e la contesto: in Italia la religione e l’insegnamento della religione cattolica godono di grande considerazione e garanzie istituzionali che però, almeno sulla base dei risultati raccolti, non sembrano produrre risultati coerenti e proporzionali all’investimento, anche economico, che viene garantito. C’è insomma il problema di un divano tra intenzioni e realizzazioni che dovrebbe indurre più di qualche riflessione».
L. M. N.: Il rapporto nasce nell’ambito di un progetto di più ampio respiro. Qual è l’obiettivo della ricerca che lo ha preceduto? Chi sorto i curatori?
P. N.: Gli autori del Rapporto provengono da ambiti disciplinari molto variegati: il diritto, le scienze sociali, la storia, la pedagogia. La domanda sull’obiettivo non è facile perché quando si avvia un progetto di ricerca non si sa dove si andrà a parare. A tutti noi è parso utile offrire un’istantanea sullo stato delle competenze religiose di un paese come l’Italia. La storia a e la cultura nazionale sono così strettamente intrecciate alle dinamiche religiose – dalla diaspora ebraica alle persecuzioni contro gli eretici, dallo scontro tra Riforma e Controriforma alla “questione cattolica” nello stato unitario – che una scarsa conoscenza dei fondamenti delle religioni rende molto difficile comprendere che cosa siamo stati e che cosa siamo diventati. Non a caso fatichiamo a comprendere il passaggio culturale da un’identità “naturalmente” cattolica a quella che potremo definire del “pluralismo secolarizzato”: intendo dire che in Italia convivono sempre più comunità di fede ma nel quadro di un processo nel quale le scelte di fede sono sempre di più individualizzate, non impegnative e confuse».
L. M. N.: Di fronte alla constatazione dell’analfabetismo religioso spesso nel nostro paese si reagisce con una certa indulgenza. Lei invece punta a denunciare i gravi costi sociali di questa “santa ignoranza”. In che cosa consistono questi costi?
P. N.: Nell’Italia multiculturale e multireligiosa i costi sociali e vorrei dire economici dell’analfabetismo sono molto alti: pensiamo agli “incidenti culturali” determinati da ignoranza, che determinano pregiudizio e quindi lacerano la coesione sociale. Non saper gestire l’alimentazione halal o kosher in una mensa scolastica ha un costo sociale, così come ignorare il valore culturale e spirituale di un locale di culto, ridicolizzare abbigliamenti o comportamenti di tipo religioso o trascurare le diversità religiose in materia di sepoltura. Peggio ancora quando per ragioni politiche all’ignoranza si intreccia il pregiudizio e si finisce per alimentare campagne di intolleranza nei confronti di questa o quella comunità religiosa.
Una società lacerata funziona male e questa disfunzione ha un costo, anche economico. Difficile, inoltre, valorizzare ‘eccezionale patrimonio artistico italiano se si sono smarrite le chiavi interpretative che ci consentono di capirlo e apprezzarlo».
L. M. N.: Il Rapporto non si limita a denunciare la situazione, ma propone una serie strumenti per “curare” l’analfabetismo religioso. Di quali strumenti si tratta?
P. N.: L’analfabetismo religioso degli italiani ha radici antiche, probabilmente connesse con la prevalenza di una spiritualità devozionale e convenzionale piuttosto che di una fede consapevole maturata nel confronto con la Bibbia.
Per superare questo deficit che viene da lontano, allora, non ci sono scorciatoie agevoli: c’è un problema che riguarda la scuola, ovviamente, e sarebbe interessante se ne parlasse con serenità ma anche con severità dati i risultati che abbiamo di fronte. Ma c’è anche un problema delle università, cosi come c’è una gigantesca questione che riguarda l’informazione religiosa, vittima di un complesso vaticanocentrico che nasconde abissali ignoranze sul mondo cristiano così come sulle altre tradizioni. Ma c’è una responsabilità delle comunità religiose stesse che oggi faticano a comunicare – persino al loro interno -i contenuti essenziali della loro identità. Smarrite anche loro, forse, tra le nebbie di questo anomalo pluralismo secolarizzante». (da Riforma, 18/2014, p. 1 su evangelici.net)