Le palme. È Cristo la nostra pace
7 Aprile 2022

Michele Abiusi – I quattro Vangeli [1] ricordano l'ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme, accolto dalla folla che lo acclama come re, agitando fronde e rami presi dai campi. L’episodio rimanda alla celebrazione della festività ebraica di Sukkot, la “Festa delle Capanne”, in occasione della quale i fedeli arrivavano in massa in pellegrinaggio a Gerusalemme e salivano al tempio in processione. Ciascuno portava in mano e sventolava il lulav, un piccolo mazzetto composto dai rami di tre alberi – la palma, simbolo della fede, il mirto, simbolo della preghiera che s’innalza verso il cielo, e il salice, la cui forma delle foglie rimandava alla bocca chiusa dei fedeli, in silenzio di fronte a Dio – legati insieme con un filo d’erba (Levitico 23:40).

Il cammino era ritmato dalle invocazioni di salvezza (Osanna, in ebraico Hoshana) in quella che col tempo era divenuta una celebrazione corale della liberazione dall’Egitto. Dopo il passaggio del Mar Rosso, il popolo era vissuto sotto le tende, nelle capanne, per quarant’anni. Secondo la tradizione, il Messia atteso si sarebbe manifestato proprio durante questa festa.

Gesù, la pace 
Durante questa festa Gesù entrò trionfante a Gerusalemme, cavalcando una puledra d’asina. Inaugurava così il suo regno di giustizia e di pace. La palma [2] è solo un “piccolo segno” che invita a portare “la pace nel nostro cuore, nella nostra famiglia e nella nostra vita. Ma la pace è Gesù. È lui che ci dona la pace, la sua pace”.

Mai si è tanto parlato di pace come ai nostri giorni, in cui veramente la sentiamo instabile a causa della guerra che tocca l’Europa e il mondo. La sentiamo profondamente minacciata. La Bibbia parla molto della pace. 
Il saluto arabo salam e quello ebraico shalom significano essere intero, intatto, compiuto. Da qui, vivere in pace equivale ad essere in relazione amicale con gli altri. Il sostantivo significa benessere, inteso come salute, prosperità, ricchezza, lunga vita, ecc. 
Gli Ebrei usavano salutarsi con l’espressione “Pace a te” e congedarsi con “Va in pace”. Nel corso della sua storia, Israele imparerà che solo Dio concede la pace (benessere). 
“Io sono il Signore, e non ce n'è alcun altro; fuori di me non c'è altro Dio! Io ti ho preparato, sebbene non mi conoscessi, perché da oriente a occidente si riconosca che non c'è altro Dio fuori di me. Io sono il Signore, e non ce n'è alcun altro. Io formo la luce, creo le tenebre, do il benessere, creo l'avversità; io, il Signore, sono colui che fa tutte queste cose” (Isaia 45:5-7).

Il dono della pace è condizionato alla fedeltà al patto e dipende dall’attitudine morale verso Jaweh.
La pace è associata alla persona del Messia: “Poiché un bambino ci è nato, un figlio ci è stato dato, e il dominio riposerà sulle sue spalle; sarà chiamato Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace” (Isaia 9:5).

Paolo manifesta il legame che unisce la pace alla redenzione. Egli introduce tutte le sue lettere epistole con un augurio: grazia e pace a voi. Quella pace di cui i primi cristiani ameranno imprimere il monogramma sulle loro tombe (Pax), come garanzia di risurrezione. L’apostolo Paolo non ha mai dato una definizione della pace, non rientra nel suo stile, ma ci fa capire che Cristo è la nostra pace. La crea riconciliando i due popoli, unificandoli in un solo corpo. Egli stabilirà la concordia fra tutti gli esseri attraverso sé, creando la pace con il sangue della sua croce. Ogni credente è in pace con Dio e, attraverso Cristo, vive in pace con gli uomini.

Nelle beatitudini, Gesù dice: “Beati quelli che si adoperano per la pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (Matteo 5:9). 
La pace cristiana è un modus vivendi, una maniera di essere e di comportarsi gli uni verso gli altri a causa di Cristo e per amore verso di lui.

 

Note 
[1] Il racconto dell’ingresso di Cristo a Gerusalemme è presente in tutti i quattro Vangeli, ma con alcune varianti. Matteo e Marco raccontano che la gente sventolava rami di alberi, o fronde prese dai campi; Luca non ne fa menzione; solo Giovanni parla di palme (Mt 21,1-9; Mc 11,1-10; Lc 19,30-38; Gv 12,12-16).

[2] Anche la palma è un forte elemento simbolico presente nel racconto: è la pianta che si rinnova ogni anno con una foglia, ma riporta anche all’immagine messianica di creazione di un ponte tra il monte e la città, tra Dio e l’uomo. Fino al IV secolo, a Gerusalemme, una tradizione locale indicava fisicamente la palma da dove erano stati staccati i rami con cui i fanciulli avevano inneggiato a Gesù. In Occidente – dove le palme non crescono – la palma è stata sostituita dall’ulivo, simbolo di pace e di Gesù stesso, che è l’unto del Signore. Addirittura, nell’Europa del nord, dove non ci sono neppure gli ulivi, per la celebrazione liturgica della processione che precede la messa, si usano rametti di fiori intrecciati. In Occidente, inoltre, la domenica precedente alla Pasqua era tradizionalmente riservata alle cerimonie pre-battesimali, perciò la processione con le palme in mano fece inizialmente fatica a introdursi.        

 

 

 

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