L’avvenire affascina e spaventa. L’incapacità di controllarlo, ma anche lo spazio di azione esercitabile da ciascuno, crea aspettative e timori. Qual è la prospettiva di Dio?
Norel Iacob – Quando guardo i pulcini uscire dalle uova nel nido e iniziare a comportarsi istintivamente secondo la loro specie, penso a quello che potremmo comprendere a proposito di noi stessi, della specie umana, se avessimo la prospettiva di un osservatore tanto privilegiato.
Oltre ai comportamenti tipici dell’istinto di sopravvivenza, credo che a un certo punto saremmo affascinati dal modo in cui gli esseri umani sono ammaliati dalla prospettiva del futuro. Dal momento in cui l’idea dell’avvenire entra nella nostra vita, forse attraverso l’attesa del compimento della prima promessa dei nostri genitori, il futuro prende sempre più il sopravvento sulla nostra visione. Infatti, più ci allontaniamo da un’esistenza guidata dall’istinto di sopravvivenza, più ci istruiamo, più siamo incantati e, a un certo punto, diventiamo più dipendenti dal futuro.
Nonostante le ripetute rivoluzioni edonistiche, il fascino dell’avvenire ha un magnetismo che supera i piaceri del presente. Lavoriamo per il futuro, pianifichiamo per esso, risparmiamo per esperienze che verranno, ci consoliamo anticipandolo. Dall’altro lato della bilancia, quando rinunciamo al futuro, rinunciamo a noi stessi…
In altre parole, mentre di solito ci viene consigliato di essere cauti riguardo all’impatto del presente sul nostro futuro, dovremmo essere almeno altrettanto preoccupati dell’effetto del futuro sul nostro presente. Tutti noi ci rendiamo conto, in misura maggiore o minore, che il futuro che cerchiamo di plasmare nel presente, modella a sua volta il nostro presente. Questo paradosso mantiene il futuro in uno stato di costante trasformazione ontologica nelle nostre menti. Dal momento che non possiamo assolutamente né influenzarlo né prevederlo con precisione, probabilmente non saremo mai in grado di stabilire in questa vita la formula della nostra rappresentazione mentale del futuro. L’avvenire rimarrà il campo di gioco in cui determinismo e libero arbitrio continueranno ad aggrovigliare la nostra comprensione. Un gomitolo che dipana impossibilità e probabilità in un numero infinito di modi.
A volte, il futuro ci appare solido e immutabile come una roccia, in altre come un terreno sabbioso che prende forma alla luce delle scelte che compiamo in ogni istante. Se guardiamo al futuro come all’effetto di cause già presenti, possiamo vedere l’ordine ma anche il fatalismo della vita. Se vediamo l’avvenire come il risultato delle nostre libere scelte, diventa un orizzonte, una frontiera affascinante oltre la quale tutto è possibile: i sogni più incredibili e gli incubi più terribili. All’incrocio di queste prospettive, l’incertezza del futuro non è eliminata nemmeno dalle previsioni dei testi sacri della Bibbia. La profezia biblica non è una soluzione alla nostra volontà di addomesticare il futuro, ma un mezzo creativo di comunicazione tra Dio e l’umanità, il cui scopo è salvifico e educativo.
Ed ecco il nostro compito per la vita: imparare sul futuro, facendo pace con il pensiero che non sapremo mai quanto ci siamo avvicinati alla migliore comprensione possibile. Il tempo che verrà continuerà a rappresentare la presenza più reale e allo stesso tempo irreale nel nostro vissuto, l’impulso più visibile e invisibile ad agire in modi che a volte sono inimmaginabili per gli altri, o anche per noi stessi.
In tutto questo mistero, ce n’è un altro che allevia la nostra angoscia. Non sappiamo come (anche se abbiamo varie teorie al riguardo), ma crediamo che Dio abbia domato il futuro. Non conosciamo come, ma per Dio l’avvenire non è un mistero o una nebbia in cui vivere per l’eternità. E la sua cura per noi ci fa credere che non siamo soli di fronte all’ignoto, che non possiamo esplorare oltre un certo limite. Quando abbiamo raggiunto l’estremo punto delle nostre forze, c’è ancora una possibilità: chiudere gli occhi e tendere le mani. Qualcuno è pronto a portarci oltre. Qualcuno che guarda ciò che noi non vediamo.
[Fonte: st.network. Traduzione: V. Addazio]