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Siamo arrivati in fondo a questo interessante viaggio storico nella poesia, durato 10 tappe. In questa ultima puntata ascolterete 5 poesie lette dall’attore Gabriele Giaffreda.
La prima poesia è stata scelta da un’affezionata radioascoltatrice della nostra radio, Franca Pallanti da Assisi, che ci ha proposto un passo tratto dal Diario di Etty Hellisum, seguita da un suo breve commento. La seconda poesia, In memoria è stata inviata dal professor Francesco Ciriolo da Lecce, che l’accompagna con un suo ricco contributo letterario.
La terza poesia è un’interessante proposta di Roberto Vacca, Il secondo avvento, del poeta irlandese William Yeats. Roberto ce ne sottolinea la potenza poetica ed esortativa. La quarta poesia, Invictus, del poeta inglese William Ernest Henley, scelta da Claudio Coppini, ci mostra come una poesia possa racchiudere in sé un sostegno spirituale formidabile. In questo caso ha dato la forza quotidiana a Nelson Mandela per sopportare e superare i lunghi anni della prigionia. E ultima, ma non ultima, la poesia, Generalizzando, del poeta Giorgio Caproni, scelta dal medico psichiatra e poeta, Giovanni Varrasi, che gli permette di fare un volo, “con i piedi per terra”, sull’importanza irrinunciabile del dono.
Qui sotto i testi delle poesie lette da Gabriele Giaffreda
“Frasi che sono poesia”, dal Diario di Etty Hillesum
Se noi salveremo
solo i nostri corpi
dai campi di prigionia,
dovunque essi siano,
sarà troppo poco.
Non si tratta infatti
di conservare questa vita,
ad ogni costo,
ma di come la si conserva.
Voglio essere un cuore pensante!
Si è a casa dovunque
su questa terra,
se si porta tutto
in noi stessi.
“IN MEMORIA”, poesia di Giuseppe Ungaretti
Locvizza il 30 settembre 1916.
Si chiamava
Moammed Sceab
Discendente
di emiri di nomadi
suicida
perché non aveva più
Patria
Amò la Francia
e mutò nome
Fu Marcel
ma non era Francese
e non sapeva più
vivere
nella tenda dei suoi
dove si ascolta la cantilena
del Corano
gustando un caffè
E non sapeva
sciogliere
il canto
del suo abbandono
L’ho accompagnato
insieme alla padrona dell’albergo
dove abitavamo
a Parigi
dal numero 5 della rue des Carmes
appassito vicolo in discesa.
Riposa
nel camposanto d’Ivry
sobborgo che pare
sempre
in una giornata
di una
decomposta fiera
E forse io solo
so ancora
che visse.
“IL SECONDO AVVENTO” di William Yeats
Girando e girando nella spirale che si allarga
il falco non può udire il falconiere;
Le cose crollano; il centro non può reggere;
Mera anarchia è scatenata sul mondo;
La corrente torbida di sangue è scatenata, ovunque
Il rito dell’innocenza è sommerso;
Ai migliori manca ogni convinzione, mentre i peggiori
Sono pieni di appassionata intensità.
Di certo qualche rivelazione è vicina;
Di certo il Secondo Avvento è vicino.
Il secondo Avvento! Appena dette queste parole
Una vasta immagine emergente dallo Spiritus Mundi
Mi turba la vista: in qualche luogo tra le sabbie del deserto
Una forma – corpo di leone, testa di uomo,
Lo sguardo inespressivo e spietato come il sole –
Si muove sulle sue lente cosce, mentre tutto all’intorno
Turbinano le ombre degli sdegnati uccelli del deserto.
Le tenebre scendono ancora; ma adesso io so
che venti secoli di sonno pietroso
Furono turbati fino all’incubo dal dondolar di una culla.
E quale mai informe animale, giunta finalmente la sua ora,
Si avvicina a Betlemme per nascere?
“Invictus”, poesia di William Ernest Henley
Dal profondo della notte che mi avvolge,
Nera come un pozzo da un polo all’altro,
Ringrazio qualunque dio esista
Per la mia anima invincibile.
Nella feroce morsa delle circostanze
Non ho arretrato né gridato.
Sotto i colpi d’ascia della sorte
Il mio capo è sanguinante, ma non chino.
Oltre questo luogo d’ira e lacrime
Incombe il solo Orrore delle ombre,
E ancora la minaccia degli anni
Mi trova e mi troverà senza paura.
Non importa quanto stretto sia il passaggio,
Quanto piena di castighi la vita,
Io sono il padrone del mio destino:
Io sono il capitano della mia anima.
“Generalizzando”, poesia di Giorgio Caproni
Tutti riceviamo un dono.
Poi, non ricordiamo più
né da chi né che sia.
Soltanto ne conserviamo
– pungente e senza condono-
la spina della nostalgia.