Comunicazione e insegnamento
11 Marzo 2025
Comunicazione e insegnamento
11 Marzo 2025

Alcune lezioni tratte dall’esperienza dei riformatori biblici Neemia ed Esdra.

Felipe Lemos – Le mura di Gerusalemme erano appena state ricostruite. Era il V secolo a.C. e gli ebrei riacquistarono gradualmente la loro identità di popolo. Con il permesso dell’impero medo-persiano, che dominava la regione, Gerusalemme avrebbe di nuovo avuto un tempio. Per il popolo ebraico, la città storica era un centro di religiosità e di comunicazione della nazione. Tutti gli ambiti della vita delle persone ruotavano attorno alla città sacra.

In questo contesto, il capitolo 8 del libro biblico di Neemia presenta un processo comunicativo e educativo estremamente interessante. Era il mese di Tirshi, un periodo di importanti eventi religiosi come la Festa delle trombe e lo Yom Kippur (Giorno dell’espiazione). Il popolo si radunò e chiese allo scriba Esdra di aprire il libro della legge di Mosè (Pentateuco). La storia del capitolo è molto stimolante e propone una narrazione in cui vengono messe in risalto le Sacre Scritture, cioè la parola di Dio per ebrei e cristiani.

Nel versetto 3 si dice che il libro venne letto e spiegato, con l’aiuto dei Leviti, in un luogo pubblico per diverse ore. La reazione di gran parte dei presenti fu impressionante. Vi fu un profondo senso di stupore e tristezza per quel messaggio sconvolgente, che senza dubbio spinse molti a riflessioni spirituali cruciali.

Comunicazione e accessibilità
Il versetto 8 riporta che “leggevano nel libro della legge di Dio in modo comprensibile; ne davano il senso, per far capire al popolo quello che leggevano”. Abbiamo qui una lezione essenziale sulla comunicazione legata all’istruzione: non esiste un processo di apprendimento efficiente se le persone non comprendono ciò che viene insegnato. È un’affermazione logica, ma non sembra funzionare sempre in determinati processi di comunicazione di organizzazioni e persone.

Una comunicazione reale ed efficace con il pubblico avviene solo quando le persone comprendono e assimilano pienamente il messaggio comunicato. Si pensi all’esempio degli ebrei nel periodo post-esilio, citato nel testo di Neemia quando ricevevano le spiegazioni dai Leviti.

Lo stesso deve valere per i clienti, i dipendenti di un’azienda, i membri di una chiesa o gli inquilini di un condominio. Devono essere sottoposti a un sistema di comunicazione che insegni. In pratica, non si tratta solo di trasmettere informazioni, ma di conoscere le reazioni del pubblico a quanto comunicato, di verificare che il messaggio sia stato compreso e, soprattutto, di stabilire una comunicazione accessibile a tutti i destinatari.

In un articolo sull’attenzione e la comunicazione, Luiz Carlos Lasbeck sottolinea che “comunicare è interagire con l’altro, significa scambiare informazioni alla ricerca di conoscenza e comprensione, condizioni essenziali per ottenere una buona qualità di vita come gruppo, a beneficio dell’intera società”.[1]

Comunicazione e coinvolgimento
E qual è il risultato della comunicazione che educa? Lo stesso testo di Neemia fornisce un’indicazione della risposta: “Il secondo giorno, i capi famiglia di tutto il popolo, i sacerdoti e i Leviti si radunarono presso Esdra, lo scriba, per esaminare le parole della legge. Trovarono scritto nella legge, che il Signore aveva data per mezzo di Mosè, che i figli d’Israele dovevano abitare in capanne durante la festa del settimo mese” (8:13, 14).

In breve, per chi non conosce l’intera narrazione, la lettura del libro della legge produsse, tra le altre cose, un ritorno all’identità religiosa del popolo ebraico. Si ricordava, ad esempio, il vero significato della Festa delle capanne.

Questo è il risultato oggettivo della comunicazione che insegna: non si tratta solo di dati collegati e conosciuti dalle persone. La comunicazione che insegna produce nuovi comportamenti e una comprensione della propria identità. Questo è il livello più profondo di coinvolgimento che qualsiasi marchio vuole stabilire con il proprio pubblico.

Howard Hendricks diceva che “per insegnare, è necessario trovare un equilibrio tra il contenuto e la sua comunicazione, tra i fatti e la forma, tra ciò che insegniamo e il modo in cui lo insegniamo”.[2] Insegnamento e comunicazione vengono confusi quando si pensa che le persone debbano essere profondamente colpite da un messaggio e non solo informate. Più che generare riflessioni, la comunicazione che educa produce azioni trasformative.

Cosa imparare?
Dalla storia di Neemia, capitolo 8, si possono trarre due lezioni principali. La prima è che la comunicazione che trasmette solo dati e informazioni ha una portata limitata, ha ricevuto poco valore e continuerà ad averne  così anche in futuro. Per insegnare è necessario comunicare, e l’insegnamento può avere un effetto trasformativo sul pubblico.
La seconda lezione pratica è: la comunicazione che insegna implica l’ascolto delle persone, la possibilità di interagire, l’uso di un linguaggio accessibile ed efficace, in modo che il messaggio comunicato abbia davvero senso per il pubblico.

Ci sia più comunicazione e insegnamento insieme per cambiare la vita delle persone e non solo informarle o contestualizzarle. La comunicazione trasformativa avrà sempre un posto nella vita umana, anche con tutti i progressi tecnologici e i cambiamenti sociali a cui assisteremo in futuro.

Note
[1] L. C. Iasbeck, “Atención, un lugar privilegiado para la comunicación organizaciona” (Attenzione, luogo privilegiato della comunicazione organizzativa). Articolo disponibile su www.portcom.intercom.org.br/pdfs/60879359549489645852967863883468496648.pdf.
[2] H. Hendricks, Enseñar a transformar vidas (Insegnare per trasformare vite), Editora Betânia, 2022, p. 73.

(Filippo Lemos è dorettore del Dipartimento Comunicazione della Chiesa avventista in Sudamerica, con sede a Brasilia)

[Fonte: noticias.adventistas.org/es/. Traduzione: Lina Ferrara] 

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