La Chiesa ha depositato un amicus brief in favore di una donna musulmana non assunta perché indossava l’hijab
Notizie Avventiste – La Corte Suprema degli Stati Uniti ha accettato il suo primo caso di libertà religiosa sul posto di lavoro dopo quasi 30 anni, sollecitata dagli avventisti del 7° giorno e da altri gruppi di fede.
Il caso (Equal Employment Opportunity Commission contro Abercrombie & Fitch Stores, Inc.) riguarda una donna musulmana cui è stato negato il posto di lavoro perché il suo hijab, un copricapo, violava la politica aziendale. Il timore della denominazione cristiana è che la sentenza di un tribunale di grado inferiore possa intaccare i diritti di libertà religiosa nei luoghi di lavoro, compresi quelli degli avventisti che chiedono di non lavorare il sabato.
Lo scorso agosto, la Chiesa avventista, affiancata da altri sette gruppi religiosi, ha presentato un amicus brief, o breve “friend-of-the-court”, in cui invitava la Corte Suprema a esaminare il caso. Secondo i consulenti legali della Chiesa, si mette in discussione il titolo VII del Civil Rights Act, che obbliga i datori di lavoro ad adottare misure per “consentire ragionevolmente” l’”osservanza o la pratica religiosa ” di un potenziale dipendente.
“Siamo fiduciosi che la Corte Suprema guarderà con favore il titolo VII, realizzandone l’importanza e in particolare l’ampia tutela intesa dalla legge”, ha dichiarato Todd McFarland, consigliere generale associato della chiesa avventista mondiale. La data per il dibattimento non è stata ancora fissata.
Il caso nasce da un incidente del 2008 in cui Samantha Elauf indossava l’hijab durante un colloquio di lavoro per un posto di commessa in un negozio di Abercrombie & Fitch a Tulsa, in Oklahoma. Un manager e un supervisore confermarono che il copricapo della donna violava la politica di negozio, ritenendo Elauf non idonea all’assunzione, senza discutere di un accordo religioso. Secondo l’US Equal Employment Opportunity Commission (Eeoc), che ha intentato una causa per conto di Elauf, quanto accaduto alla propria cliente è in contrasto con il titolo VII.
Nel 2011 un giudice federale si schierò con l’Eeoc, mentre lo scorso anno, il 10° Circuito della Corte d’Appello di Denver rovesciò la decisione, sostenendo che Elauf non aveva mai detto ad Abercrombie di aver bisogno di un accordo religioso, anche se indossava un hijab durante il colloquio. E ciò, secondo i consulenti legali avventisti, pone un’indebita responsabilità sul candidato che deve stabilire se le proprie credenze o pratiche religiose siano in conflitto con la politica dell’azienda.
L’amicus brief della Chiesa sottolinea che “spesso il candidato ignora la possibilità di un conflitto lavoro-religione semplicemente a causa della sua scarsa conoscenza delle disposizioni del datore di lavoro”. Inoltre, un processo di assunzione può essere tecnologicamente strutturato in modo che un dipendente non possa sollevare la questione di un potenziale conflitto, come accade con le domande online in cui si chiede ai candidati in quali giorni della settimana sono disponibili a lavorare.
“Ci auguriamo che la Corte Suprema chiarisca gli standard su ciò che un dipendente deve fare per ottenere un accordo”, ha affermato McFarland.
L’abbigliamento religioso, il rispetto del sabato e di altre feste sono, secondo McFarland, gli elementi più comuni di conflitto sul posto di lavoro. Hijab, turbanti, yarmulkes ed altri copricapi spesso configgono con la politica aziendale sul look dei dipendenti, mentre l’osservanza del sabato può scontrarsi con la programmazione.
È dal 1986 che la Corte Suprema non accettava un caso di libertà religiosa sul posto di lavoro. Quella volta, nel caso Ansonia Board of Education vs. Philbrook, la Corte chiarì l’obbligo del datore di lavoro di attuare soluzioni ragionevoli per i dipendenti che richiedono permessi e ferie per osservare le festività religiose.