Christopher Bennett, neozelandese di 66 anni e membro della Chiesa avventista, ha stabilito un nuovo Guinness dei primati, diventando la persona più anziana ad aver circumnavigato il globo terrestre in bicicletta. Non solo, Bennett è anche il primo ciclista con disabilità ad aver completato questa sfida.
L’impresa è stata compiuta mentre Bennett partecipava alla Tour Divide Race. Ha pedalato per 29.000 chilometri intorno al mondo senza l’assistenza di altri ciclisti né veicoli. Come richiedevano i requisiti del record mondiale, è andato in una sola direzione e attraversato due punti agli antipodi del globo. Pedalare senza alcun aiuto significa che Bennett ha dovuto trasportare tutta l’attrezzatura e le provviste sulla bicicletta, senza equipaggio o veicolo di supporto al seguito.
Il neocampione soffre di sindrome post-commozione cerebrale dopo un trauma cranico subito nel 2018, in seguito a una caduta in bicicletta durante il giro Aotearoa che attraversa la Nuova Zelanda. Ancora oggi non sa come sia avvenuto l’incidente; ricorda solo di essersi svegliato “nella foresta, disteso in un fosso, con ferite sul viso e il casco rotto”. Le luci intense e i rumori forti lo opprimono; soffre di forti mal di testa, emicranie, attacchi di panico e, qualche volta perde la capacità di parlare.
Bennett è partito il 1° maggio da Nukus, in Uzbekistan, e ha percorso 8.500 chilometri attraverso l’Asia fino a Shanghai, in Cina. Da lì ha preso un volo per Darwin, in Australia, e ha pedalato fino a Port Macquarie prima di volare a Wellington, in Nuova Zelanda, e raggiungere Auckland in bicicletta, percorrendo in tutto 3.500 chilometri. Ha quindi preso l’aereo per Anchorage, in Alaska (Stati Uniti), e ha percorso 10.300 chilometri in bicicletta attraverso gli Stati Uniti fino alla Nuova Scozia, in Canada.
L’ultima tappa del viaggio ha riguardato l’Europa, con partenza da Lisbona (Portogallo) e arrivo finale, dopo aver macinato 6.700 chilometri, a Vantaa, in Finlandia, il 7 settembre. In totale, Bennett ha pedalato per 29.051 chilometri intorno al mondo e 156.888 metri di dislivello; ha attraversato 16 Paesi in 129 giorni e percorso fino a 605 chilometri in un’unica tappa.
Con una media di circa 220 chilometri al giorno, il ciclista sessantaseienne ha dovuto affrontare infortuni, riparazioni alla bicicletta, problemi di salute, attacchi di panico, mal di testa e blocchi mentali, tutto completamente da solo. A un certo punto ha dovuto “sdraiarsi sul ciglio della strada e coprirsi gli occhi per due ore solo per resettare il cervello e calmarlo”. Non sono mancati i problemi meteorologici, come le violente tempeste in Kazakistan e i 40 chilometri percorsi prima di trovare un riparo; né quelli della viabilità, come in Cina, dove la polizia gli ha impedito di attraversare in bicicletta una zona soggetta a restrizioni e lo ha messo su un treno per portarlo altrove.
Certo, il terribile incidente gli ha cambiato la vita, eppure Bennett non ha perso la passione per il ciclismo. Andare in bicicletta è il suo “luogo felice”, ama la libertà della strada aperta e le sfide che comporta. Dopo la sciagura non ha potuto continuare a lavorare ma conserva una mentalità positiva. “Il recupero” ha affermato “non significa tornare a come erano le cose prima, ma trovare ciò che si può fare”.
Il neozelandese ha tentato questo record per le persone con cui si identifica, “persone con disabilità, over 60, che pensano che l’avventura finisca quando si invecchia“. Ha sottolineato l’importanza per le persone con disabilità, in particolare con lesioni cerebrali, di ridefinire ciò che è possibile e di affrontare le sfide che si presentano. “O sei tu a dominare la tua disabilità o è lei a dominare te”.
Per Bennett, il ciclismo è una parte fondamentale del suo cammino cristiano. È un modo per testimoniare agli altri, per interagire con persone che altrimenti non avrebbe mai potuto incontrare. “Sebbene si tratti di gare di bikepacking, come cristiani abbiamo una filosofia diversa nei confronti della competizione… Come cristiani abbiamo l’opportunità di mostrare l’amore di Dio alle persone, ed è questo che dovremmo fare”.
Olivia Fairfax
[Foto e fonte: record.adventistchurch.com/. Traduzione: Lina Ferrara]








