diecicomandamentiL’ottavo comandamento implica un orizzonte più vasto del semplice appropriarsi dei beni altrui, per il rispetto della proprietà rimane il decimo comandamento. Qui non è solo questione di rapina ma anche di rapimento, il sequestro di persone che veniva compiuto durante le razzie. «Non rubare» sottolinea la dignità della persona. La liberazione del popolo d’Israele, «rubato» dagli egiziani per cinque secoli, è centrata sul tema della libertà, un aspetto fondamentale per l’essere umano.

La caratteristica principale dell’antropologia biblica mostra l’uomo fornito di libero arbitrio; egli è libero di scegliere Dio o di rifiutarlo. Il male che compie non è frutto di un determinismo, quasi come se fosse irrimediabilmente destinato a compiere scelte erronee. Non rubare, quindi, risponde anche a quei regimi totalitari che ricorrendo all’oppressione politica, sociale ed economica strappano il consenso dei sudditi in modo artificioso.

Ma il comandamento condanna anche il furto, cioè sottrarre al prossimo un bene necessario per la sua vita, in modo da renderlo schiavo. Solitamente leggiamo questo comandamento come se prescrivesse il rispetto dei beni e delle idee del prossimo, non appropriarsene impunemente, essere onesti negli affari, non accettare i ringraziamenti per un’azione buona che non si è fatta. Il senso è, invece, ancora più vasto: riconoscere il primato della destinazione dei beni. Ogni uomo e ogni donna devono avere la possibilità di essere nutriti dalla terra e dalla mano del Signore: «Signore, mio Dio, tu sei veramente grande… Egli fa scaturire fonti nelle valli… Tutti quanti sperano in te perché tu dia loro il cibo a suo tempo; tu apri la mano, e sono saziati di beni» (Sal 104:1,10,27,28).

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