Il coraggio dell’obiezione
27 Maggio 2015

NA - Notizie AvventisteA cento anni dall’inizio della prima guerra mondiale per l’Italia, ricordiamo Alberto Long, tra i primi a dire no alle armi.

Notizie AvventisteIl 24 maggio l’Italia ha celebrato il centenario dell’entrata nella Grande Guerra. Allora nessuno immaginava di avere davanti tre duri anni di lutti, distruzione e morte. La Chiesa Cristiana Avventista del Settimo Giorno all’epoca contava, nel nostro paese, poco più di un centinaio di fedeli. Tra di essi, un giovane affrontò il periodo più difficile della sua vita perché non volle imbracciare le armi e uccidere. Si chiamava Alberto Long ed è tra i primi obiettori di coscienza in Italia. Come lui, anche altri avventisti in Europa e nel mondo.

Per ricordare Alberto Long e quanti hanno avuto il coraggio di non andare contro i propri principi, pubblichiamo una parte dell’intervento del dott. Tiziano Rimoldi, decano della Facoltà avventista di Teologia di Firenze, tenuto nel novembre 2014 all’incontro su “Minoranze religiose e diritti civili nell’Italia repubblicana”, organizzato per il centocinquantenario della presenza avventista in Italia. Nella sua relazione “Il diritto di obiezione di coscienza: un faticoso cammino”, T. Rimoldi presenta la situazione dell’obiezione di coscienza in Europa e nel mondo. In rapporto alla Grande Guerra afferma:

“Durante la prima guerra mondiale, negli Stati Uniti, vi fu l’obbligo della registrazione nelle liste dei possibili chiamati alle armi, ma era possibile avere un’esenzione per motivi di coscienza.

In Inghilterra, la coscrizione obbligatoria arrivò solo nel 1916, ma insieme ad essa venne stabilita la possibilità dell’assegnazione a servizi alternativi per gli obiettori di coscienza. La legge inglese, però, era più restrittiva rispetto a quella americana: si doveva dare prova della fondatezza della proprie opinioni davanti a un tribunale, con tre gradi di giudizio, mentre i servizi alternativi a quello militare erano decisi in maniera insindacabile dalle autorità.

In Australia, la leva rimase volontaria, mentre negli altri Dominion, come Nuova Zelanda, Sudafrica e Canada, sia pure con varie differenze, venne introdotta la leva obbligatoria, ma sempre con possibilità di obiezione di coscienza.

Non per questo essere obiettori fu facile e molti avventisti patirono vari maltrattamenti.

Nella documentazione presentata alla Commissione governativa italiana per l’Intesa, c’erano anche delle notizie riguardanti uno dei primi casi di obiezione di coscienza per motivazioni religiose, registrato durante la prima guerra mondiale in Italia. Infatti è durante la Grande Guerra che nel nostro paese si registrano, in ambiente evangelico, alcuni casi di obiezione di coscienza.

Tra questi, il caso di Alberto Long. Nasce a Torre Pellice nel 1887, da famiglia di tradizione valdese. Interessato alla temperanza, diventa membro della sezione locale dell’equivalente italiano dell’YMCA. Partecipa alle attività giovanili promosse da un predicatore laico valdese, il prof. Mario Falchi. Grazie all’esempio di quest’uomo, si compie la sua conversione. A quell’epoca ci sono in Italia solo 36 avventisti, tutti a Torre Pellice, guidati dal pastore Curdy. Long, viene attratto dalla fede avventista, va all’estero e lavora in istituzioni sanitarie avventiste e viene battezzato a Parigi.

Durante il periodo all’estero, scoppia la prima guerra mondiale e Long deve passare visite periodiche ai consolati per verificare il possibile impiego come militare. Siccome ha un’ernia, si fa operare in Svizzera e poi è richiamato in Italia. Con la sua esperienza di infermiere, spera di essere destinato alla sanità, ma invece viene mandato alla caserma di Pinerolo per l’addestramento in fanteria.

Rifiutandosi di portare le armi, subisce una battitura e va sotto processo a Torino: 5 anni di prigione, ma la pena è sospesa, perché la guerra preme. Viene quindi rimandato al reggimento. È svestito pubblicamente e un tenente gli punta una pistola alla tempia, ma ancora una volta rifiuta di prendere le armi.

Secondo processo a San Donà di Piave. Nuova condanna. Il giudice gli dice: ‘Non lo sai che per essere un buon soldato non bisogna avere né fede né coscienza?’. Di nuovo è condannato e inviato al fronte.

Mandato in una spedizione fuori dai reticolati, lascia il fucile in trincea. Scoperto, viene rimandato indietro per la punizione. Questa volta la pena di morte è la fine probabile. L’avvocato difensore riesce a trovare le parole per far capire che Alberto Long non è un codardo, ma un uomo coerente con le sue idee. La condanna è di 25 anni di prigione.

Misericordiosamente, la guerra termina e Long passa alcuni mesi in carcere, dove sopravvive all’epidemia di febbre spagnola e svolge funzioni di infermiere, prima che intervenga un’amnistia generale.

Sarà poi pastore avventista e missionario in Madagascar per un ventennio. Rientrato in Italia, servirà ancora come pastore e anziano nella comunità avventista di Torre Pellice, fino a età avanzatissima (scompare nel 1986 a 98 anni).

Questo esempio interessante mette in evidenza quella vena di antimilitarismo presente nelle minoranze protestanti, che in questo caso rappresentano un interessantissimo mix di pacifismo valdese risvegliato e di patriottismo avventista non combattente”.

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