Le fiamme che colpirono la città eterna ci offrono uno spunto per riflettere su una tendenza molto comune ieri come oggi: i rischi dovuti alla disinformazione e al sorgere delle teorie del complotto
Norel Iacob – Il grande incendio di Roma scoppiò in una calda notte estiva di luglio nel 64 d.C. Roma, la bellissima e travagliata capitale dell’impero, divenne uno spettacolo apocalittico. In pochi istanti il fuoco avvolse la città come un velo rovente, trasformandola in uno spettacolo di luci e ombre brucianti. Le fiamme si innalzarono violentemente verso il cielo, mentre il loro ruggito e il rumore degli edifici che crollavano si mescolavano alle urla e ai lamenti degli abitanti della città.
L’incendio ebbe inizio nei pressi del Circo Massimo, nel cuore di Roma. Un forte vento orchestrò la sinfonia di distruzione spingendo le fiamme verso gli edifici vicini e sollevando scintille e cenere nell’aria. Rapidamente, il fuoco inghiottì gran parte della città. Bruciò per sei giorni e sette notti, finché il popolo credette di averlo domato. Ma con disperazione dei romani, l’incendio scoppiò di nuovo e divampò per altri tre giorni. Alla fine, la capitale del più grande impero del mondo non era altro che una cicatrice fumante sulla faccia della terra.
La storia ci racconta che, nel bel mezzo del disastro, cominciarono a circolare voci con la stessa rapidità con cui le fiamme avevano inghiottito la città. L’imperatore Nerone fu accusato di aver ordinato di appiccare l’incendio. Si diceva che mentre Roma bruciava, Nerone cantasse. Avrebbe intonato la caduta di Troia, fondendo la sua melodia con i gemiti della città. Ma quanta verità ci sia nel racconto di Svetonio è ancora oggetto di dibattito.
Nel tentativo di distogliere l’attenzione da se stesso, Nerone trovò un capro espiatorio comodo nei cristiani. A quel tempo, erano una setta piccola e insignificante, ma poiché erano troppo diversi e troppo poco compresi, Nerone li vide come il bersaglio perfetto. Nel periodo successivo molti furono arrestati e torturati, costretti a confessare un crimine che non avevano commesso. Erano gettati nelle arene per essere fatti a pezzi dalle bestie feroci, bruciati vivi come torce per illuminare i giardini pubblici o crocifissi. E questo spettacolo macabro aveva un motivo e uno scopo: offrire un sacrificio pubblico per consumare la rabbia della gente e chiudere una questione delicata e pericolosa.
La storia del grande incendio di Roma ci ricorda, oltre al potere distruttivo del fuoco, il potere devastante delle bugie e l’importanza del pensiero critico e scettico di fronte alle informazioni che inondano lo spazio pubblico.
Lo stesso meccanismo di disinformazione, che ha contribuito a creare e diffondere voci sui cristiani dopo il grande incendio, è presente nelle più recenti teorie del complotto. In tempi di crisi o incertezza, spesso è utile ricorrere a una spiegazione semplice e ben confezionata che identifichi un nemico conveniente, un individuo o un gruppo al quale sia facile e vantaggioso attribuire la colpa. È una strategia ricorrente e comune nei regimi totalitari e in tempi di nazionalismo acuto, dove le minoranze etniche e religiose, l’opposizione politica o qualsiasi altro gruppo percepito come estraneo o anticonformista sono accusati rapidamente e naturalmente dei mali della società.
Tale tendenza a inquadrare le persone meno comprese nella peggiore luce possibile, invece di compiere lo sforzo necessario per esaminare attentamente le cause profonde di una situazione, può rappresentare un approccio intuitivo, ma non è affatto efficace. Ciò che ci porta a stigmatizzare coloro che sono colpevolizzati comunemente è la tendenza a sopravvalutare il ruolo degli attributi distintivi di un individuo o di un gruppo e a sottovalutare, invece, le circostanze oggettive. L’identità può variare a seconda del contesto e della cultura, ma ogni cultura ha i suoi gruppi stigmatizzati.
C’è un altro fattore che favorisce l’accettazione frettolosa delle teorie del complotto in tempi di crisi: queste teorie possono darci un senso di sicurezza di fronte al caos e all’incertezza. Semplicemente, le persone si sentono più a loro agio con l’idea che gli eventi siano controllati o premeditati, piuttosto dell’idea che potrebbero essere il risultato del caso o di forze incontrollabili.
L’incertezza ha la capacità di metterci così tanta pressione che diventa preferibile chiudere l’argomento con la prima spiegazione che si adatti ai nostri preconcetti. Questo è stato il caso di molte delle nostre risposte alla pandemia di Covid-19, una crisi in cui le teorie del complotto si sono diffuse in modo sorprendentemente rapido, proprio perché offrivano facili spiegazioni a una situazione che altrimenti sarebbe sembrata inspiegabile o troppo spaventosa da accettare.
Ora abbiamo accesso a una quantità enorme di informazioni e disinformazioni, rendendo ancora più importante la capacità di filtrare e valutare le fonti, e trarre le nostre conclusioni basate su prove solide e verificabili.
Quasi duemila anni fa, le fiamme plasmarono non solo il destino di Roma e dei suoi abitanti, ma anche la storia della cristianità. Oggi, la verità e il modo in cui la cerchiamo, la verifichiamo e l’interpretiamo modellano le nostre percezioni, la nostra realtà e il nostro futuro. Qualunque sia la “mano nascosta” dietro gli eventi che viviamo, sono le nostre mani che contano di più; mani che possono stringersi a pugno o aprirsi in segno di sostegno, mani che possono puntare il dito per accusare o che possono mostrare la via d’uscita dalla crisi.
(Norel Iacob è redattore capo di Signs of the Times Romania e ST Network).
[Fonte: st.network. Traduzione: V. Addazio]