La Chiesa avventista difende la libertà religiosa di una donna musulmana
17 Dicembre 2013

csm_ab-2-web_e719648fb2Notizie Avventiste – La Chiesa Avventista del 7° Giorno mondiale ha presentato, mercoledì scorso, un amicus, o “amico della corte”, a sostegno di una donna americana alla quale è stato negato il lavoro perché il suo velo violava il regolamento dell’azienda.

Nel 2008, Samantha Elauf indossava un hijab quando si è presentata a un colloquio di lavoro per un posto di commessa in un negozio di Abercrombie & Fitch a Tulsa, negli Stati Uniti. Le è stato fatto notare che il suo copricapo era contrario al regolamento del negozio ed è stata ritenuta inammissibile al posto di lavoro senza cercare di trovare un accordo religioso.

La Commissione statunitense per le pari opportunità d’impiego (Eeoc) ha intentato una causa per conto di Elauf perché quanto accaduto non rispetta il Titolo VII del Civil Rights Act, che obbliga i datori di lavoro ad adottare misure per “soddisfare ragionevolmente” la “osservanza religiosa o la pratica” di un potenziale dipendente.

Nel 2011 un giudice federale ha dato ragione all’Eeoc, ma una recente sentenza della Corte d’appello ha capovolto tale decisione, sostenendo che Elauf non aveva mai informato Abercrombie di aver bisogno di un accordo religioso, anche se indossava il velo durante il colloquio di lavoro.

I consulenti legali avventisti affermano che la sentenza pone indebite responsabilità su chi cerca lavoro, che deve stabilire se le sue credenze o pratiche religiose sono in conflitto con le politiche dell’azienda.

“Posizionare l’onere di informarsi [circa potenziali conflitti] sul datore di lavoro non solo è quanto afferma la legge esistente, ma ha anche senso perché è il datore di lavoro che è nella posizione migliore per conoscere le regole dell’azienda e anticipare un conflitto”, si afferma nell’amicus.

Dwayne Leslie, direttore degli Affari legislativi presso la Chiesa avventista mondiale, ritiene che la sentenza d’appello stabilisce un precedente preoccupante.

Gli abiti religiosi, l’osservanza del sabato o di altri giorni sono le aree di conflitto più comuni sul posto di lavoro. Hijab, turbanti, yarmulkes e altri copricapo spesso sono in conflitto con il regolamento di un’azienda per quanto riguarda il “look”, mentre l’osservanza del sabato può scontrarsi con l’orario di lavoro.

“Questo diventa sempre più preoccupante poiché aumentano le domande di lavoro online”, ha dichiarato Todd McFarland, consulente generale associato presso la Chiesa avventista mondiale.

In tali domande solitamente si chiede a chi cerca lavoro di indicare le limitazioni riguardo agli orari o aiu giorni, ma non offrono la possibilità di spiegare il perché. Quando i candidati sottopongono le loro limitazioni, sono automaticamente esclusi dal lavoro.

Per McFarland, questa sentenza potrebbe avere un impatto significativo non solo sui musulmani, per quanto riguarda l’abbigliamento, in ma su tutte le persone di fede.

“Ogni attacco ai diritti religiosi sul posto di lavoro contro qualsiasi gruppo di fede è anche un attacco contro la Chiesa avventista, i suoi membri e la loro capacità di mantenere il lavoro e la fede”, ha affermato McFarland.

La Chiesa avventista è affiancata dalla National Association of Evangelicals, dalla Christian Legal Society, dall’American Civil Liberties Union Foundation, dal Baptist Joint Committee for Religious Liberty, dall’American Jewish Committee e dalla Sikh Coalition.

L’amicus congiunto supporta la Eeoc e la petizione di Elauf di riesame en banc [collegialmente], vale a dire davanti all’intera corte dei magistrati, e non a una selezione di giudici.

“Vi è grande preoccupazione anche al di fuori della comunità musulmana per quanto riguarda l’indebolimento del Titolo VII, che si attuerà se questa sentenza sarà confermata”, ha concluso Leslie.

Un portavoce di Abercrombie non era disponibile subito per un commento.

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