La fine del mondo nella letteratura
3 Novembre 2023

Cosmogonie, apocalissi, esiti distopici e angosciosi oppure luminosi di speranza… La narrativa fantascientifica è da sempre attratta da scenari simili. Un genere che affascina molti e prefigura un bisogno universale: quello di un mondo migliore.

Laura Maftei – La fine del mondo è stata una preoccupazione umana duratura e, paradossalmente, è esistita fin dagli albori della civiltà. Aristotele scrisse che i mortali sono tali perché non possono incontrare il loro inizio e la loro fine; riescono solo a cercare significati per essi.[1] La paura di una fine completa è antica e perenne, e trascende lo spazio geografico e il tempo.

Narrativa e scenari apocalittici 
Riguardo all’emergere della narrativa apocalittica, lo storico Lucian Boia ha sostenuto che l’apocalisse è passata dall’essere il terreno di caccia privato della Chiesa, come era stato prima del XVIII secolo, a diventare un soggetto desacralizzato. La letteratura ha abbracciato l’argomento e la paura è già stata parzialmente fugata.[2]

I testi di fantasia che si concentrano sulla fine del mondo appartengono al genere consolidato della fantascienza o sci-fi (abbreviazione di science fiction, ndr), più precisamente al sottogenere della letteratura apocalittica o escatologica (immaginarie).

La fantascienza disegna una società sorpresa dall’impatto della tecnologia e della scienza sugli esseri umani. La materia prima di questa rappresentazione è data dagli eventi rilevanti della storia: la bomba atomica, l’esplorazione spaziale, le guerre mondiali, il progresso scientifico o la tecnologizzazione della società.

D’altra parte, la letteratura di fantascienza, molto prima che fosse attuata e confermata dalla scienza, immaginava concetti come “bioingegneria, architettura quantistica, grafica digitale, realtà virtuale, Internet e social media, tecnologie spaziali e militari e l’automazione della produzione”.[3]

Il sottogenere letterario apocalittico si concentra esclusivamente sul tema della fine del mondo. Alcuni di questi libri, che si riferiscano più o meno esplicitamente alla presenza della divinità, prendono come fonte l’Apocalisse biblica, trattandone temi e illustrazioni in modo immaginativo, come in Lord of the World (Il padrone del mondo), di Robert Hugh Benson (1907), che ha per argomento principale il regno dell’Anticristo e la fine del pianeta. Altri fanno a meno del racconto escatologico della Bibbia e costruiscono eventi incredibili che piombano come un giudizio sull’umanità, con catastrofi di ogni tipo, nucleari o tecnologiche, biologiche o astronomiche, fino all’estinzione dell’umanità. Molti testi fantascientifici rappresentano l’esistenza dell’ultimo essere umano sul pianeta come The Last Man (L’ultimo uomo) del 1826, a cura di Mary Shelley (autrice del celebre Frankenstein del 1818), in cui un’umanità giunta a un grado avanzato di civiltà viene distrutta da un’epidemia di peste tra il 2073 e il 2100, e l’ultimo essere umano vaga per la terra in attesa della propria estinzione.

La narrativa apocalittica tende a essere distopica, non utopista. La distopia è molto più popolare dell’utopia, soprattutto se è apocalittica (un’utopia in cui tutto è perfetto diventa banale).

Il mondo distopico raffigura una società governata da sistemi politici totalitari, uno stato-nazione sotto il dominio di un’élite disinteressata al benessere del popolo, con sistemi di propaganda statale e programmi educativi imposti che diffondono il messaggio che le politiche attuali sono la migliore opzione possibile. Queste distopie – come il romanzo di George Orwell 1984 (scritto nel 1948) o Brave New World (Il mondo nuovo) di Aldous Huxley (1932) oppure il recente 2084: The End of the World (2084: la fine del mondo) di Boualem Sansal, pubblicato nel 2015 (un ovvio riferimento al romanzo di Orwell) – mettono in guardia su uno sviluppo deviante dei sistemi sociali, politici o religiosi.

Come possiamo spiegare l’esistenza di una narrativa mirata al sentire moderno? 
Che piaccia o no da un punto di vista moderno, il declino del pensiero mitico è reversibile. Il mondo di oggi abbonda di mitologie e l’industria dell’intrattenimento è solo una fonte. Gli archetipi universali e i modelli di ruolo sono ben preservati nella narrativa moderna. I generi fantasy, horror e la fantascienza sono rilevanti in questo senso perché creano riferimenti per relazionarsi alla vita in modo appropriato rispetto al tempo presente. Il bisogno di miti o eroi resta comunque costante: in La nube purpurea (The Purple Cloud), un romanzo fantascientifico di Matthew Phipps Shiel del 1901, l’eroe che vaga come un sovrano in un mondo desolato è un altro Nerone trionfante alla vista delle rovine fumanti di Roma.[4]

I racconti sui supereroi, l’intelligenza artificiale, i mostri, le origini (cosmogonie) o la fine del mondo (apocalissi) ci vengono presentati regolarmente e simboleggiano vari aspetti della nostra comprensione della realtà; nuovi miti che cercano di spiegare l’inspiegabile. Contemplare l’apocalisse fa sembrare insignificanti i problemi quotidiani.

Per sua stessa natura, l’idea della fine del mondo (è stato detto che l’apocalisse è “un trauma culturale estremo”[5]) è una delle curiosità più affascinanti dell’umanità, perché soddisfa il nostro desiderio di mistero, interesse, meraviglia e orrore.

Sono nuove forme di miti escatologici? D’altro canto, i miti originali e tradizionali che riguardano il destino dell’umanità, secondo Mircea Eliade, avevano uno scopo diverso: condussero a movimenti collettivi cruciali nel Medioevo (le crociate, il millenarismo, la spedizione di Colombo, ecc.)[6].

Un mito  simile ha plasmato la cultura americana che si è sempre vista come apocalittica.[7] Il mondo americano è sempre sembrato aperto a tutte le speranze e utopie. I Padri Pellegrini e i puritani del New England erano convinti che la loro esistenza nel Nuovo Mondo facesse parte di un piano divino che avrebbe inevitabilmente portato all’istituzione della Nuova Gerusalemme nel continente americano; inoltre, i sermoni dei puritani erano pieni di riferimenti alla fine del mondo, e tutto questo portò gli americani, fin dall’inizio della loro nazione, a credere che la storia degli Stati Uniti non sarebbe stata casuale, ma parte della storia divina.

I temi della fine del mondo sono spesso esplorati nella narrativa letteraria contemporanea perché corrispondono a dilemmi reali e rappresentano un tipo di letteratura che è incisiva e provocatoria nelle sue domande: decadenza e restaurazione, progresso e catastrofe o potere politico.

Esiste uno stretto legame tra l’apocalisse e l’idea di potere statale, di impero, perché i concetti di crisi, decadenza e impero aiutano la società a vedere le nazioni, le guerre e gli imperi in relazione alla fine del mondo. Terreni storici instabili tendono a favorire soluzioni apocalittiche immaginarie.

Dal punto di vista della storia della letteratura, la fine del mondo ha incontrato il romanticismo letterario in linea con i suoi motivi artistici: mistero, fantasia, macabro, onirico, tenebroso, preoccupazione per il tempo e per lo spazio, personaggi e situazioni eccezionali. “Nel 1850” scrive Lucian Boia “tutte le formule erano in atto: fine immediata e a lungo termine, fine provvidenziale e fine naturale, fine definitiva e rinnovamento. La letteratura della fine del mondo aveva avviato la sua bellissima carriera”.[8]

Come finisce il mondo nella letteratura? 
Prima di terminare materialmente, il mondo è stato annientato con l’aiuto dell’immaginazione.[9] Si potrebbe dire che la fantasia apocalittica non conosce limiti. Nella letteratura, il mondo finisce a causa di guerre nucleari, drastici cambiamenti climatici, pandemie, carestie, eruzioni vulcaniche, invasioni aliene o animali, supremazia dei robot, rivoluzioni biologiche, collisioni di meteoriti e così via.

H.G. Wells, tra i principali scrittori britannici nel genere fantascientifico, ha pubblicato molti racconti che competono nel rappresentare la fine più catastrofica del mondo. The Time Machine (La macchina del tempo, 1895) presenta una distopia; The War of the Worlds (La guerra dei mondi, 1898), un’invasione aliena; The Island of Dr. Moreau (L’isola del dottor Moreau, 1896), la manipolazione genetica; The Shape of Things to Come (La forma delle cose che verranno, 1933), una guerra mondiale. Negli anni ’50 del Novecento, la cultura popolare americana ha conosciuto un boom esplosivo: il genere fantascientifico ha conquistato un pubblico crescente e più giovane, mentre il tema della fine del mondo è diventato comune grazie alla divulgazione della bomba atomica e all’interesse maggiore per l’esplorazione spaziale.[10] Così, molti scrittori della metà del secolo scorso hanno esasperato il tema della distruzione nucleare: Arthur C. Clarke in Childhood’s End (La fine dell’infanzia, 1953), Walter Miller in A Canticle for Leibowitz (Un cantico per Leibowitz, 1959), Kurt Vonnegut in Cat’s Cradle (La culla del gatto, 1963), Robert C. O’Brien in Z for Zachariah (Z come Zaccaria, 1974). In Ape and Essence (La scimmia e l’essenza, 1948) di Aldous Huxley, la guerra nucleare determina uno strano mondo di mutanti con regole difficili da immaginare.

Nel XX secolo, l’impatto dell’attività umana sull’equilibrio ecologico e sul cambiamento climatico è sempre più al centro della discussione. La narrativa apocalittica elabora in quel momento un nuovo modo per mettere fine all’umanità. Gli esempi includono George R. Stewart con Earth Abides (La terra sull’abisso, 1949), The Death of Grass di John Christopher (Morte dell’erba, 1956) e The Wind from Nowhere di J.G. Ballard (Il vento dal nulla, 1961), prima di suggerire nel suo ultimo romanzo, Kingdom Come (Regno a venire, 2006), che è il consumismo non il degrado ambientale a portare la civiltà alla sua fine. Nel 1954, in I Am Legend (Io sono leggenda), Richard Matheson immaginò un batterio capace di trasformare quasi tutti gli umani in vampiri, mentre in The Andromeda Strain (Andromeda, 1969), Michael Crichton descrive la traiettoria di un satellite che rientrava sulla Terra con un agente patogeno mortale.

Il tema è antico: Edgar Quinet, che aveva originariamente concepito un’opera sul modello religioso classico dal titolo Ahasvérus, scrisse La Création (La Creazione) nel 1870, in cui si chiedeva se l’umanità potesse essere rimpiazzata da una razza superiore. Anche Guy de Maupassant (in The Horla, 1887) era interessato alle stesse domande. Come loro, molti scritti del XIX secolo hanno un timbro darwiniano. Non sono mancate le pandemie apocalittiche poiché i viaggi internazionali rendevano possibile una rapida infezione da vari virus, facendo eco al tema biblico delle piaghe.

Nel 1900 l’angoscia sociale si è spostata su oggetti e pericoli nello spazio.[11] La collisione della terra con i meteoriti è diventata un altro modo di immaginare la fine del mondo. In The Conversation of Eiros and Charmion (La conversazione di Eiros e Charmion, 1839), Edgar Allan Poe parla di una cometa che avrebbe bruciato il pianeta. In The Martian Chronicles (Le cronache marziane, 1951 a cura di Ray Bradbury), la terra esplode e alcuni sopravvissuti continuano la loro esistenza su Marte (a metà del secolo scorso, l’idea di vivere su Marte era ancora presa in considerazione).

La letteratura apocalittica è semplicemente una forma di evasione, una fuga dal mondo? Oppure ha qualche significato?

La fantascienza, in particolare il suo sottogenere apocalittico, è quasi sempre allegorica e politica.[12] La narrativa apocalittica ha una visione fatalista ed è molto critica nei confronti della società, trasmettendo il messaggio secondo il quale la scomparsa dell’umanità è il risultato del proprio decadimento e della sua distruzione. Le peggiori pulsioni e i comportamenti umani sono rivelati in vista degli eventi finali.

Scrittori e lettori sono d’accordo: il mondo e l’umanità si stanno incamminando verso il caos finale; Armageddon o mondi distopici lo esprimono al meglio. Ecco perché il segnale di avvertimento è serio: ri-valutare la vita sociale e politica del mondo di oggi e lottare per un’esistenza migliore prima che sia troppo tardi. Le catastrofi raffigurano antiche ansie esistenziali.

War with the Newts (La guerra con i tritoni, 1936) è un celebre capolavoro satirico in cui Karel Čapek descrive l’amara lotta con una natura fuori controllo. I tritoni, usati a scopo di profitto, si moltiplicano e arrivano a dominare la terra, proprio come gli umani. Ma la storia è allegorica e socialmente impegnata. Il vero nemico dell’umanità non sono le creature narrate nella storia, ma l’invasione nazi-fascista che minaccia il mondo civilizzato. Che siano invasori di Marte, mostri mutanti, selvaggi, tecnocrati o in ultima analisi i nazisti, tutti rappresentano l’”altro”, il sé disumanizzato come nella commedia di Eugène Ionesco Rhinoceros, in cui la natura animata rivela l’alienazione che colpisce profondamente la condizione umana e la storia del mondo.[13]

Altre interpretazioni mostrano come le diverse varianti escatologiche, specialmente quelle causate da disastri naturali, possano essere una metafora dei conflitti umani interni. Si dice che simboleggino gli “impulsi distruttivi all’interno del sé: il desiderio di morte in tutte le sue forme omicide e suicide”.[14] In un certo senso gli scrittori richiamano la nostra attenzione sul nemico interiore, “delle forze che concepiscono i giorni del giudizio privati nel fango dell’Es” (cfr. M.P. Shiel, in La nuvola viola, 1901).

Nel suo articolo, “L’appello dell’Apocalisse”, Karen Renner scrive che le persone potrebbero cercare qualcosa di più del conforto temporaneo di un’amnesia indotta dall’adrenalina.[16] Oltre a una contemplazione pessimistica sulla corruzione del mondo, la narrativa invita a esperienze che rivelano un potenziale umano sconosciuto e, sicuramente, un altro mondo: necessariamente migliore.

(Laura Maftei è docente alla Facoltà di teologia e scienze sociali dell’Università Adventus, in Romania).

Note 
[1] V. F. Kermode, The Sense of an Ending. Studies in the Theory of Fiction, Oxford University Press, 2000, p. 4.
[2] L. Boia, Sfârșitul lumii. O istorie fără sfârșit (La fine del mondo. Una storia senza fine), Humanitas, Bucarest, 2007, p. 67.
[3] A. Borlan, Câteva idei SF despre SF (Alcune idee Sci-Fi riguardo allo Sci-Fi), in Fantastica, n. 16, 2016, https://fantastica.ro/cateva-idei-sf-despre-sf
[4] L. Boia, Op. cit., p. 67.
[5] J. Berger, After the End: Representations of Post-Apocalypse (Dopo la fine: rappresentazioni del post-apocalisse), University of Minneapolis Press, Minneapolis e Londra, 1999, p. 5.
[6] A. Prohin, Cărturarii Ţărilor Române-între istorie și profeţie-sec. XV-XVI (Gli studiosi della Romania tra storia e profezia-XV-XVI secolo), in Studia Universitatis Moldaviae, n. 4 (64), 2013, p. 24, https://humanities.studiamsu.md/wp-content/uploads/2022/01/02.-p.18-26.pdf
[7] J. C. Jolte, Imagining the End: The Apocalypse in American Popular Culture (Immaginare la fine: l’apocalisse nella cultura popolare americana), Santa Barbara, California, 2020, p. xvii.
[8] L. Boia, Op. cit., p. 69.
[9] Ivi, p. 87.
[10] J. C. Jolte, Op. cit., p. xviii.
[11] L. Boia, Op. cit., p. 93.
[12] M. M. Lisboa, The End of the World. Apocalypse and its Aftermath in Western Culture (La fine del mondo. L’apocalisse e le sue conseguenze nella cultura occidentale), Open Book Publishers, 2001, p. 31.
[13] E. S. Rabkin, M. H. Greenberg, J. D. Olander, The End of the World (La fine del mondo), Southern Illinois University Press, Carbondale e Edwardsville, 1983, p. 359.
[14] Ivi, p. 361.
[15] Ibidem.
[16] K. J. Renner, The Appeal of the Apocalypse (L’appello dell’Apocalisse), in Literature Interpretation Theory, vol. 23, no. 3, luglio 2012, p. 206, https://www.researchgate.net/publication/263364113_The_Appeal_of_the_Apocalypse

[Fonte: st.network. Traduzione: V. Addazio]

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