Fin dalla tenera età siamo bombardati da messaggi che ci invitano a distinguerci, a diventare qualcuno, a spingere al massimo. I progetti di Dio per noi fioriscono anche in un percorso di vita che reputiamo comune.

Carmen Laiu – “Se fossi un medico e potessi prescrivere un rimedio per tutti i mali del mondo, prescriverei il silenzio”, disse il filosofo danese Søren Kierkegaard, spiegando che il vangelo non può essere ascoltato laddove il rumore è diventato un linguaggio a sé stante. Non sapeva quanto rumore avrebbe riempito i giorni, e soprattutto le menti e i cuori, delle persone che sarebbero vissute due secoli dopo di lui. L’autrice cristiana Ruth Chou Simons osserva che parte di questo rumore deriva dal nostro desiderio di vivere la vita al massimo, consumati dal desiderio di una gloria che attribuiamo a Dio, mentre cerchiamo di rivendicarne per noi stessi almeno una parte.

Perseguire la grandezza che non è destinata a noi 
I nostri cuori possono precipitarsi in un entusiastico “amen” quando qualcuno dichiara che Dio farà grandi cose con noi, ma Simons ci sfida a considerare la veridicità di questo messaggio. Dopo tutto, quali sono i nostri criteri per valutare la grandezza? È grandezza quando una madre rifiuta una promozione lavorativa a favore dell’istruzione dei suoi figli? Dio sta forse facendo qualcosa di straordinario quando uno dei suoi figli dedica la sua vita al servizio di alcuni dei suoi “minimi fratelli” (Matteo 25:40, ndr) pur rimanendo inosservato come coloro che serve?

“Ma vi esortiamo… a cercare di vivere in pace, di fare i fatti vostri e di lavorare con le vostre mani, come vi abbiamo ordinato di fare” (1 Tessalonicesi 4: 10, 11). La pressione nella quale spesso viviamo nasce proprio perché dimentichiamo che nel nostro rapporto con Dio noi ci rimpiccioliamo e lui cresce; è solo quando smettiamo di vivere per noi stessi (e per la nostra immagine) che la gloria di Dio può essere vista nei nostri atti di obbedienza, grandi e piccoli, conclude l’autrice.

Avendo conosciuto fin troppo bene il gusto del “successo” che ha divorato le gioie ordinarie della vita, l’autore cristiano Chad Bird mette in guardia dai pericoli che nascono dall’ambizione di “essere qualcuno”. Dovremmo sforzarci di soffocare le nostre ambizioni di fama, denaro o qualsiasi altra cosa enfatizzi la nostra importanza. Sogni così grandi possono diventare “incubi ancora più grandi”, che schiacciano la nostra speranza e la nostra fede mentre inseguiamo il prossimo “grande obiettivo”, nota Bird, ricordando ai suoi lettori il consiglio dell’apostolo Paolo di vivere una vita tranquilla (cfr. 1 Tessalonicesi 4:11).

Ma vivere una vita tranquilla significa avere aspettative mediocri? Bird sottolinea che si tratta di concentrarci sulle cose che contano davvero. Invece di sprecare la vita sognando (o anche realizzando) cose che ci mettono sotto i riflettori, è meglio lasciarsi prendere dai bisogni di coloro tra i quali Dio ci ha posto, per servirli al meglio. Lasciarsi conquistare dalla semplicità e dall’umiltà che hanno caratterizzato la vita di Gesù, dalla mangiatoia alla croce, invece di farsi sviare dall’ambizione di dimostrare chi si è.

Non c’è niente di sbagliato nel voler far parte del grande piano di salvezza di Dio, ma “c’è una linea sottile tra il volere che Dio ti usi per la sua gloria e volere che tutti lo sappiano”, scrive il pastore Garrett Kell. Ci sono alcuni segnali d’allarme che indicano il nostro diventare “ladri di gloria”, sostiene il pastore. Il primo è che anche noi vogliamo essere apprezzati, non solo il Dio che serviamo. Kell confessa che a volte è uscito deluso dalla chiesa perché avrebbe avuto bisogno di sentirsi dire di aver predicato un sermone meraviglioso, ma nessuno lo aveva fatto. Un altro sintomo preoccupante è quello di sentirsi frustrati o delusi quando Dio sembra trascurarci e usare altri al posto nostro, quando pensiamo che noi saremmo state le persone giuste. Diventiamo “ladri della gloria di Dio” anche quando siamo così impegnati a esibirci in pubblico da trascurare lo studio della Bibbia, il digiuno o la preghiera, quelle pratiche che mostrano quanto la nostra devozione al Signore mentre nessuno ci guarda. Potremmo accontentarci di servire anche se nessuno notasse e apprezzasse ciò che facciamo? Quando ci ritroviamo a competere per una grandezza che non era destinata a noi, la verità che può guarirci è sapere che Gesù è morto “per salvare i ladri di gloria da loro stessi”; e questo è un altro motivo per cui merita tutte le lodi, conclude Kell.

La grandezza dell’investimento dei talenti 
“A chi molto è stato dato, molto sarà richiesto; e a chi molto è stato affidato, tanto più si richiederà” (Luca 12:48), afferma Gesù. Ma cosa dire di coloro ai quali sono state date meno risorse, che sono stati dotati di minori talenti e che, proprio per questo, si sentono tentati di trascurare quel “poco” che è stato loro affidato?

Forse Taddeo, il discepolo il cui nome è menzionato solo nella Bibbia, si trovò di fronte allo stesso dilemma, scrive l’autrice Shannon Popkin: se non è un "Pietro" che ha ricevuto i cinque talenti, significa che è il servo che ne ha ricevuti due? E se fosse così, avere meno risorse vuol dire rendere un servizio meno prezioso? Popkin sottolinea una serie di ragioni per cui dobbiamo diventare diligenti nell’investire i doni che riceviamo. Innanzitutto, ricevere di meno non significa che abbiamo ricevuto poco. Nella parabola dei talenti, il padrone distribuisce i talenti in modo apparentemente ingiusto: un servo riceve cinque talenti, il secondo due e l’ultimo solo uno. Ma, poiché un talento equivaleva a 6.000 denari, ed essendo un denario il compenso per una giornata di lavoro, colui che riceveva un talento riceveva effettivamente molto. In secondo luogo, Dio conosce le capacità e i limiti di ognuno, quindi riceviamo solo quanto possiamo sostenere. Infine, anche se le nostre capacità sono diverse (e quindi il nostro rendimento sarà diverso), la ricompensa è la stessa: il servo che ha ricevuto cinque talenti è ricompensato come quello che ne ha ricevuti due, segno che la dedizione con cui noi compiamo il lavoro è più importante dei risultati.

La grandezza di essere indispensabili 
Le cose banali e semplici della vita sono proprio quelle attraverso le quali Dio ci guida alla crescita e alla maturità, afferma l’autore cristiano Mark Shelley. A questa conclusione è arrivato dopo un periodo di cronica insoddisfazione per la sua esistenza "ordinaria". Ritenendo difficile che Dio potesse lasciare il segno in una vita tanto comune, accarezzò l’idea di andare in Africa per affrontare difficoltà e sfide insolite. Alla fine, si rese conto che il processo di trasformazione poteva avvenire non solo in circostanze estreme, ma anche in quelle normali. Dio è disposto (e capace) di cambiarci in modo che possiamo mettere la nostra trasformazione nelle sue mani, invece di avere paura di vivere l’esistenza ordinaria che ha preparato per noi. Una vita semplice può diventare straordinaria se indirizziamo le nostre ambizioni verso il giusto obiettivo.

“Le parole destinate a ispirare spesso sfiniscono”, osserva la scrittrice Melissa Kruger in un articolo che esplora l’immensa pressione che i messaggi provenienti dal mondo esterno esercitano su di noi. " Considera il ministero che hai ricevuto nel Signore e vedi di compierlo bene" (Colossesi 4:17, Cei). Questo è il motto che torna del continuo per contrastare tutte quelle voci che dicono di lavorare di più, sognare di più, vivere di più. Ciò che ci viene richiesto è di servire fedelmente là dove Dio ci ha posto. Se le mansioni di oggi sono prenderci cura della nostra famiglia, lavare i piatti o compilare in tempo i moduli delle tasse, possiamo adempierle come se le facessimo per Dio. Una vita semplice può diventare straordinaria se incanaliamo le nostre ambizioni verso il giusto obiettivo, conclude la Kruger.

Prendendo spunto dall’affermazione del famoso regista Alfred Hitchcock “il dramma è vita senza le parti noiose”, l’autrice cristiana Tish Harrison Warren osserva la nostra tendenza a desiderare che la vita cristiana sia spogliata dei suoi aspetti banali. Tuttavia, anche i compiti monotoni e le attività di routine fanno parte del piano di Dio per noi; niente di ciò che dobbiamo fare è così banale da non poter essere svolto alla sua gloria. È una verità che i cristiani devono ricordare ogni volta che cadono nella trappola di paragonarsi agli altri, osserva il giornalista Greg Morse.

Nel corso della storia, anche nella chiesa primitiva (che idealizziamo), le persone sono state tentate di pensare che alcuni doni e abilità fossero essenziali per la crescita e il rafforzamento della chiesa, e altri meno. L’apostolo Paolo, tuttavia, rifiuta questa visione e sostiene l’importanza di ogni membro del corpo di Cristo, indipendentemente dal ruolo a cui è stato chiamato. Se la salute del corpo dipende dallo stato di ogni singolo organo (1 Corinzi 12:12-30), allora anche il meno talentuoso tra noi è indispensabile agli occhi di Dio, che misura il nostro valore secondo il suo criterio esatto.

(Carmen Lăiu è redattrice di Signs of the Times Romania e ST Network)

[Fonte: st.network. Traduzione: V. Addazio] 

 

 

 

 

 

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