“Giusto”, “retto”, “giustificare”. Nelle Scritture sono termini ricorrenti. Una riflessione per approfondirne i significati
La giustizia è un concetto importante nelle lettere di Paolo nel Nuovo Testamento. L’apostolo lo usa per descrivere le basi, il processo e i risultati della salvezza che ci è stata resa disponibile dalla morte di Gesù (per esempio in Romani 1:17; 3:21-26; Galati 3:6-9; 5:5; Filippesi 3:9, ecc.). [1] Paolo è, infatti, il principale utilizzatore dei termini associati alla giustizia nel Nuovo Testamento, sebbene si trovino anche nel Vangelo di Matteo, nella Lettera di Giacomo, in 2 Pietro e nell’Apocalisse.
Negli scritti greci secolari, i termini “giusto” e “rettitudine” sono usati per indicare il comportamento etico e morale, il modo di agire corretto dei giudici che decidono casi legali e lo status di coloro che sono stati dichiarati non colpevoli da una sentenza di legge.[2] Nella Bibbia si possono trovare tutti questi usi dello stesso concetto.
Un Giudice giusto
Giudizio e giustizia sono strettamente correlati nelle Scritture. Ad esempio, Ecclesiaste 3:17 afferma: “ho detto in cuor mio: ‘Dio giudicherà il giusto e l’empio poiché c’è un tempo per il giudizio di qualsiasi azione e, nel luogo fissato, sarà giudicata ogni opera’”. Dio è ripetutamente identificato come il Giudice giusto (Salmo 7:11; Geremia 11:20, 2 Timoteo 4:8, Apocalisse 19:11) e si dice che giudichi con giustizia (Salmo 9:8; 72:2; 96:13; Geremia 11:20). Di conseguenza, ci si aspetta che il re ideale giudichi anch’egli con giustizia (Isaia 11:4).
Il legame tra un esito positivo del giudizio e la dichiarazione di giustizia emerge nel racconto dell’arresto e del processo di Gesù. Mentre Pilato stava decidendo il destino di Gesù, “la moglie gli mandò a dire: ‘Non aver nulla a che fare con quel giusto, perché oggi ho sofferto molto in sogno per causa sua’”. (Matteo 27:19). La Nuova Riveduta traduce “giusto” in Matteo 27:19 con “uomo innocente”.
La prospettiva della vita eterna
In effetti, il termine “giusto” è usato per descrivere coloro che sono stati dichiarati “non colpevoli” in giudizio. Questo è rappresentato in modo drammatico nella parabola delle pecore e dei capri (Matteo 25:31-46). Gesù descrive la sua seconda venuta, quando siederà in giudizio sul suo glorioso trono. L’umanità sarà divisa in due gruppi. Uno non ha fornito cibo agli affamati, né acqua, vestiario o riparo a coloro che ne avevano bisogno (Matteo 25:42,43). Questo gruppo andrà al castigo eterno (Matteo 25:46). D’altra parte, coloro che hanno dato da mangiare agli affamati, visitato i malati e accolto gli stranieri sono descritti come giusti, e i giusti entreranno nella vita eterna (Matteo 25:46).
In Matteo 25:46, sono coloro che hanno agito correttamente a essere dichiarati giusti. Infatti, in tutta la Bibbia, i giusti sono riconosciuti per la loro obbedienza a Dio e per la loro vita etica (ad esempio in Isaia 33:15; Ezechiele 3:20; Osea 10:12; 2 Timoteo 2:22; Ebrei 1:9; 2 Pietro 2:7,8; 1 Giovanni 3:7; Apocalisse 22:11); eppure, quando si tratta della nostra salvezza, Paolo sottolinea qualcosa di apparentemente contraddittorio: coloro che hanno vissuto correttamente secondo la legge di Dio saranno giudicati giusti (Romani 2:13), ma a causa del peccato, nessun essere umano osserva effettivamente la legge di Dio.
Cristo mediatore
Come l’apostolo Paolo afferma: “che dunque? Dobbiamo noi ritenerci superiori? Niente affatto! Abbiamo infatti dimostrato precedentemente che Giudei e Greci, tutti, sono sotto il dominio del peccato, come sta scritto: ‘Non c’è nessun giusto, nemmeno uno’” (Romani 3:9,10), e “tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio” (Romani 3:23). Di conseguenza, la giustizia, cioè l’essere giudicati non colpevoli nel giudizio finale di Dio, è determinata su una base completamente diversa dall’osservanza della legge. È disponibile tramite la fede in Gesù Cristo, l’unico essere umano che, sebbene messo alla prova come tutti gli umani, era senza peccato (Ebrei 4:15). Paolo usa il termine “in Cristo” per sottolineare lo status dei cristiani: “ma sono giustificati – letteralmente “giusti”- [3] gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù” (Romani 3:24). Come cristiani che hanno fede in Gesù, siamo “in Cristo”, ed è Cristo che è mediatore presso Dio per noi (Ebrei 6:20).
Paolo riassume la sua comprensione del processo di salvezza come segue: “anzi, a dire il vero, ritengo che ogni cosa sia un danno di fronte all’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho rinunciato a tutto; io considero queste cose come tanta spazzatura al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui non con una giustizia mia, derivante dalla legge, ma con quella che si ha mediante la fede in Cristo: la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede” (Filippesi 3:8,9).
Note
[1] Robert K. McIver, “Pauline Images of Salvation”, Ministry 64/5 (maggio 1991): 11-13.
[2] Gottlob Schrenk, “Δίκη, Δίκαιος, Δικαιοσύνη, Δικαιόω, Δικαίωμα, Δικαίωσις, Δικαιοκρισία”, ed. Gerhard Kittel, Geoffrey W. Bromiley e Gerhard Friedrich, Theological Dictionary of the New Testament (Grand Rapids, MI: Eerdmans, 1964), 2:173-219.
[3] In greco, per esprimere l’idea di rettitudine, si usano tre parole: il sostantivo dikaiosunē (rettitudine, giustificazione), l’aggettivo dikaios (giusto, giustificato) e il verbo dikaioō (dichiarare giusto, giustificare). Anche senza alcuna conoscenza del greco, è possibile notare che le tre parole iniziano allo stesso modo, con le lettere diakai-. Il termine dikaioumenoi usato in 3:14 è una forma participiale del verbo dikaioō.
[Fonte: record.adventistchurch.com. Autore: Robert McIver, professore di teologia all’università avventista Avondale in Australia. Tradotto da Veronica Addazio, HopeMedia Italia]
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