I significati e le implicazioni di una condizione visibile dentro e fuori di noi. C’è una via d’uscita?
Peccato. È una parola impopolare per molti nel nostro mondo, ritenendo che porti con sé connotazioni di colpa e che sia un modo con cui un gruppo ne controlla un altro. Eppure, il concetto è centrale nella condizione umana e una corretta comprensione del peccato è necessaria per la soluzione offerta dalla fede cristiana.
Ma cos’è il peccato? La risposta avventista a questa domanda, spesso ripetuta, è: “la violazione della legge” (1 Giovanni 3:4). Il testo è comunemente usato come prova, e per alcuni pone fine alla discussione! Ma le lingue originali della Bibbia presentano diverse parole sottostanti al vocabolo italiano “peccato”, e mostrano alcune interessanti sfumature.
I termini ebraici hanno una varietà di significati incentrati “sull’intero fenomeno della trasgressione”. Questo perché il peccato era un’offesa alla giustizia di Dio e aveva un impatto su tutta la comunità. Un eccellente esempio è il peccato di Acan (Giosuè 7:10-26).
Ecco alcune parole ebraiche e i loro significati: awon, offesa, colpa o punizione; awlah, perversità o malvagità; pesa, ribellione; e chata, mancare il bersaglio, offendere o essere colpevole. Insieme, significano in vari modi: mancare il bersaglio, offendere, essere colpevole, peccare gravemente, fare del male e ribellione.
È degno di nota che mirare al bersaglio e mancarlo sia ancora considerato peccato. Se lo combiniamo con il fatto che il peccato colpisce l’intera comunità, dovrebbe mostrarci che quello che facciamo ha le sue conseguenze sugli altri, non solo su noi stessi. Un concetto che sfida la cultura individualistica di gran parte del nostro mondo.
Nel primissimo uso della parola peccato (chata) in Genesi, Dio dice a Caino che se non agisce bene “… il peccato sta spiandoti alla porta” (Genesi 4:7). Si trattava di qualcosa che proveniva da dentro di lui e a cui non doveva permettere di dominare. Dio disse: “E i suoi [del peccato] desideri sono rivolti contro di te”.
Il racconto della caduta (Genesi 3:6, 7) mostra sia la dimensione relazionale dell’impatto del peccato, sia il suo radicamento in noi. Il peccato di Eva avvenne nel momento in cui “vide che l’albero era buono”. La sua decisione che Dio avesse torto e Satana ragione si manifesta nel gesto di cogliere il frutto. Pertanto, la condizione di peccatore è evidenziata nelle azioni. Davide lo sottolinea quando si lamenta del proprio peccato (Salmo 51:5). È questa la condizione che Gesù è venuto a risolvere, ed è il motivo per cui ci dice: “Bisogna che nasciate di nuovo” (Giovanni 3:7).

Ci sono relativamente pochi termini per indicare il peccato nel Nuovo Testamento, a differenza dell’Antico. I vocaboli e i significati greci sono: harmatia, peccato, o peccare; adikia, fare il male, commettere ingiustizia, trasgressione e iniquità; parabasis, deviare, trasgredire o oltrepassare; e paraptoma, smarrirsi, errare, peccare, trasgredire e trasgredire.
Nel mondo occidentale e, talvolta, nel modo in cui alcuni hanno presentato gli insegnamenti avventisti, l’attenzione si è concentrata sull’individuo, sulla sua salvezza, sul superamento e sul vivere senza commettere atti di peccato. Eppure, Ellen G. White, scrittrice e co-fondatrice della Chiesa avventista, ha fatto questa perspicace affermazione: “Non è la disubbidienza in sé che costituisce il peccato ma il fatto di essersi allontanati, anche solo parzialmente, dalla volontà di Dio. Questa scelta dimostra che il cuore è diviso, che l’animo umano è sopraffatto dal peccato” – E. G. White, Con Gesù sul monte delle beatitudini, p. 51.
Le azioni esteriori indicano la condizione interiore. È di questo che Gesù è venuto a occuparsi, ed è il motivo per cui ho bisogno di lui in ogni momento, tutti i giorni.
Mark Pearce è direttore del Centro di ricerca Ellen G. White.
[Fonte: record.adventistchurch.com. Tradotto da Veronica Addazio, HopeMedia Italia].
[Immagini: leopoldboettcher e AndreasWeitz, Pixabay.com].







