La Parola e le parole. La pazienza di Giobbe
5 Aprile 2017

In collaborazione con la redazione della rivista Il Messaggero Avventista.

La Parola e le parole. La pazienza di Giobbe
5 Aprile 2017

In collaborazione con la redazione della rivista Il Messaggero Avventista.

Rubrica di approfondimento sulle locuzioni e i modi di dire biblici ad uso dell’italiano

Giuseppe Paternicò – La Bibbia, oltre ad essere il libro sacro che rivela l’amore di Dio per l’umanità in una prospettiva di redenzione e di salvezza, è anche una grande opera letteraria che ha saputo plasmare la nostra bella lingua italiana, un best seller che ha contribuito ad impreziosire la nostra comunicazione per idee e concetti tramite i propri modi di dire e le proprie locuzioni. La presente rubrica ha come scopo quello di guidare il lettore in questo interessante e curioso viaggio linguistico che vede come passeggeri dello stesso scompartimento la Bibbia e l’italiano. Buon viaggio d’approfondimento dunque!

Locuzione del giorno
“La pazienza di Giobbe”. Fa esplicito riferimento a un personaggio biblico che tollerò con grande forza d’animo le più atroci avversità, nonché la morte dei propri figli, venendo poi ricompensato da Dio.

Significato
È risaputo che a tutti capita di perdere qualcosa, persino ai più precisi e meticolosi, per via di un attimo di distrazione o per la memoria poco allenata o, spesso, perché si va di fretta. Tra le cose perdute ci possono essere quelle più disparate e d’uso quotidiano: portafogli, occhiali, ombrelli, monili vari e poi ancora orologi, cellulari. Alcune situazioni della vita ci mettono davanti alla perdita del lavoro, della casa (per rate del mutuo non pagate), dei risparmi in banca (a motivo di speculazioni finanziare di cui non siamo minimamente a conoscenza). Quando la salute viene meno, si possono perdere alcune funzioni vitali e a volte anche quei gesti che sembrano banali.

C’è chi a un certo punto della sua vita si ritrova da solo, avendo perso tutti gli affetti. Alcuni non si limitano a perdere la fede nuziale, ma anche la fedeltà alla persona amata. Certuni perdono un amico e chi perde al gioco. Altri ancora perdono la fede e, con essa, non solo ogni tipo di esperienza spirituale personale, ma anche la fiducia nel prossimo. In molti poi, schiacciati dai problemi, perdono ogni vitalità e desiderano mettere fine alla propria esistenza. Si perde la propria libertà nel momento in cui si perde la propria autonomia, compresa quella del pensiero. A mostrare il risvolto tragico di queste perdite, è la perdita della pazienza, essendo tra le perdite elencate forse la più pericolosa. Chi, difronte a una circostanza difficile, non ha perso la pazienza almeno una volta?

La pazienza è una particolare disposizione d’animo che ci permette di accettare e sopportare disagi, dolori, ingiustizie e ristrettezze della vita in genere. È talmente tenuta in alta considerazione dall’immaginario comune che la nostra bella lingua italiana non la tralascia e la cristallizza in alcune espressioni: bisogna infatti “portare pazienza”, “armarsi di pazienza”, “consigliare la pazienza” e spesso è necessaria una “santa pazienza”! C’è addirittura chi “abusa” della nostra pazienza. Ma l’italiano suggerisce anche un modo per non perderla. sentito dire: “…a questo punto ci vorrebbe la pazienza di Giobbe!”; “quell’uomo ha la pazienza di Giobbe!”.

È proprio così! La nostra lingua, ripescando dalla Bibbia, e più precisamente dall’Antico Testamento, ci invita a seguire l’esempio di Giobbe, raccontato nei 42 capitoli dell’omonimo libro, che divenne proverbiale per la pazienza dimostrata difronte alla perdita di tutto il suo patrimonio (Gb 1:13-17), alla morte dei figli (Gb 1:18-19), all’ulcera che lo colpì dalla testa ai piedi (Gb 2:1-7), al biasimo degli amici e per giunta della stessa moglie che con tono di rimprovero, vedendolo in quello stato gli disse: “ancora stai saldo nella tua integrità?”. Ma più di ogni altra cosa, Giobbe divenne proverbiale, oltre che per la pazienza, per la sua fede in Dio.

L’italiano dunque con il presente modo di dire ci riporta a riflettere sull’esperienza di quest’uomo che, se pure conobbe dei plausibili momenti di sconforto e rifiuto persino della propria vita (3, 1-26), non esitò a rivolgersi a Dio, nel quale credeva con tutto se stesso. A Dio che gli asciugò le lacrime, gli diede conforto e sostegno sicuro, disse: “Io riconosco che tu puoi tutto e che nulla può impedirti di eseguire un tuo disegno… il mio orecchio aveva sentito parlare di te ma ora il mio occhio ti ha visto. Perciò mi ravvedo e mi pento” (Gb 42:2, 5-6). Ognuno di noi riesca ad affrontare il difficile quotidiano, come ci ricorda la nostra lingua, imparando a praticare “la pazienza di Giobbe”, sempre e comunque.

 

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