La testimonianza di fede di Ahn Ei Sook
20 Giugno 2023

Una donna straordinaria che ha dedicato tutta la sua vita alla difesa della libertà di coscienza, amando il prossimo sempre e comunque, in condizioni estreme di privazione e violenza nell’orrore delle carceri coreane e giapponesi.

Beatrice Lăpădat – Nella cella numero 8 della prigione di Pyongyang, alcune prigioniere congelate ed emaciate dovettero sopportare una tortura in più: l’odore pungente e le urla selvagge di una creatura indomita.

Quella creatura non aveva esitato ad assassinare il marito e a farne il corpo a pezzi, lasciandosi dietro un bambino portato via dalle autorità. A volerla nella loro cella era stata la prigioniera numero 57, Ahn Ei Sook, una coreana che aveva chiesto espressamente che quella persona “feroce” fosse portata lì.

Appena arrivata, l’assassina scatenò tutta la sua forza primitiva, riversando la sua rabbia su colei che aveva disturbato il suo isolamento. Per diverse ore, Ahn lottò (anche fisicamente) con la donna, cercando di calmarla. Le altre detenute assistevano spaventate e disgustate allo stesso tempo. Per Ahn non fu molto più facile, ma una cosa le diede forza: pensò all’esempio di Gesù e a cosa avrebbe fatto se fosse stato lì al suo posto.

In quella giornata cupa, la dolcezza e la gentilezza oltrepassarono l’innata sensibilità e la costituzione fisica piuttosto delicata di Ahn. Quando finalmente quella donna che tutte le prigioniere e le guardie temevano come una bestia pericolosa si addormentò, Ahn proseguì compiendo un gesto di tenerezza inimmaginabile. Prese a sé i piedi di quell’essere quasi inumano che dormiva davanti a lei, incrostati di escrementi induriti, e li appoggiò al proprio petto per riscaldarli.

Ahn Ei Sook continuò ad aiutare in questo modo la sua nuova compagna di cella per tre giorni consecutivi, durante i quali la donna, esausta e completamente debilitata, dormì senza sosta. Al suo risveglio, invece di gratitudine o parole di elogio, Ahn ricevette maledizioni e altri tentativi di aggressione fisica. Ma non si scoraggiò, continuò a nutrirla e a riscaldarla senza aspettarsi nulla in cambio. Lentamente, la criminale iniziò a svelare i suoi drammi personali e le sue emozioni esprimevano quello che nessun altro aveva il coraggio di ascoltare. Nel giorno inevitabile dell’esecuzione, la donna, rassegnata e con volto sereno, rivolse ad Ahn un sincero e caloroso “grazie”.

Quando vivere significa morire 
Questo episodio rappresenta solo una delle tante storie che testimoniano lo spirito di sacrificio, l’estremo coraggio e l’amore incondizionato che Ahn espresse nel suo cammino accanto a Cristo. Fragile e sensibile, Ahn Ei Sook crebbe sotto l’influenza dell’educazione severa ma saggia della madre. Apprese così a trasformare le apparenti debolezze in punti di forza e questo le fu di aiuto in circostanze che non avrebbe mai potuto immaginare durante la sua permanenza nella scuola cristiana dove insegnava musica.

La storia che trasforma Ahn Ei Sook in un modello di resistenza cristiana contro l’oppressione inizia negli anni ’30 quando, costretta dalle autorità giapponesi, si rifiutò di adorare Amaterasu, la dea del sole, sul Monte Namsan. A causa di quell’atto di disobbedienza, fu costretta a nascondersi a Shin Ei Joo, un villaggio coreano vicino al confine con la Manciuria. Qui, incoraggiata dalla madre, l’ex insegnante di musica si allenò fisicamente, mentalmente e spiritualmente ad affrontare una vita dura, sapendo che la prigione avrebbe finito per incrociare il suo cammino. Le estenuanti lezioni attraverso le quali Ahn Ei Sook imparò a sopportare condizioni estreme di fame, freddo e malattia furono accompagnate dalla pratica costante della gratitudine e della preghiera.

Durante quel breve periodo di libertà, imparò a memoria migliaia di versetti della Bibbia e inni cristiani. E le visite dei credenti nascosti sulle montagne si rivelarono lezioni preziose in vista di un futuro pieno di ostacoli e insidie.

“Cos’era la vita? Avrebbe potuto essere bella se fosse stata onesta, lunga o breve che fosse, ma sarebbe stata uguale a quella di un animale se fosse stata vissuta contro la legge di Dio. Quando ero giovane e bella, fresca e audace, avrei dato la mia vita a Dio con onore e senza riserve. Avrei tenuto fede alla verità fino alla fine. Sarei morta raccontando agli altri l’amore del nostro Signore benedetto”.[1]

Questi erano i pensieri che agitavano Ahn Ei Sook quando iniziò a considerare seriamente la prospettiva di andare in Giappone per difendere i diritti dei cristiani di fronte alle autorità.

Convinta che Dio l’avesse scelta per unirsi alla schiera di martiri pronti a morire per la sua Parola, la giovane donna si mise in viaggio per il Giappone insieme a un altro fervente missionario, Elder Park. Senza alcun compromesso, lui, che per qualche tempo era stato il suo mentore spirituale, le insegnò con le sue parole, le sue azioni e la sua fede incrollabile che per Ahn non era sufficiente desiderare di vivere per Cristo, ma che doveva pensare costantemente a se stessa come se fosse già morta per Gesù.

Grazie all’educazione giapponese ricevuta fin dalla giovane età, in accordo con i desideri del padre, Ahn Ei Sook divenne la voce attraverso la quale Elder Park si rivolse alle autorità giapponesi durante le sessioni della “Dieta del santo imperiale Giappone” (l’organo legislativo giapponese ndr).

“Sadrac, Mesac e Abed-Nego risposero al re: ‘O Nabucodonosor, noi non abbiamo bisogno di darti risposta su questo punto. Ma il nostro Dio, che noi serviamo, ha il potere di salvarci e ci libererà dal fuoco della fornace ardente e dalla tua mano, o re. Anche se questo non accadesse, sappi, o re, che comunque noi non serviremo i tuoi dèi e non adoreremo la statua d’oro che tu hai fatto erigere’” (Daniele 3:16-18).

Dal momento che chiedevano formalmente che le autorità abbandonassero lo shintoismo a favore del cristianesimo come religione di Stato e cessassero immediatamente l’oppressione dei cristiani, i due furono arrestati nel marzo del 1939. Ahn Ei Sook fu rispedita in Corea e imprigionata a Sun Kyori e poi a Soon Chon. Offesa dal comportamento disumano e scorretto delle guardie, presentò una denuncia ufficiale alle autorità, descrivendo nel dettaglio i tormenti fisici e morali subiti dai prigionieri. Il suo gesto coraggioso non passò inosservato: le brutali guardie furono sostituite e il trattamento dei detenuti subì un cambiamento di politica a livello nazionale.

Trasferita nella prigione di Pyongyang nel settembre del 1940, Ahn sperimentò davvero l’inferno in terra. Oltre all’episodio della detenuta squilibrata sull’orlo della follia, colse ogni giorno e ogni situazione per essere d’aiuto a coloro che la circondavano. Quando il pastore Power Chae fu picchiato senza pietà dalle guardie, nonostante le sue fragili condizioni fisiche, Ahn pregò loro di punire lei al posto del pastore. La sua abitudine di donare il cibo e di prendersi instancabilmente cura di tutti coloro che soffrivano nel corpo e nello spirito rimase inalterata sino alla fine della sua prigionia.

Durante il processo, Ahn Ei Sook dichiarò apertamente alla corte che il Giappone avrebbe pagato per i suoi eccessi e per la sua arroganza. Determinata e risoluta, questa donna dall’apparenza debole si spinse oltre ogni limite nella sua lotta contro la violenza dei secondini, contro la fame, la sporcizia e il freddo.

Dopo l’incontro con Elder Park, Ahn Ei Sook smise di aspettare i miracoli attraverso i quali Dio avrebbe compiuto l’opera preparata per lei. “Vivere per Cristo significa morire per Cristo” divenne il suo motto fino ai suoi ultimi giorni.

Impegno ricompensato 
Nella sua autobiografia vi è un aspetto rilevante: l’autrice non indora i momenti in cui si sentiva sul punto di crollare. Quando la legge che imponeva il culto nei santuari shintoisti diventò obbligatoria in tutte le istituzioni sotto l’autorità giapponese, Ahn Ei Sook credette che, a causa del suo stato fisico visibilmente deteriorato, non avrebbe sopportato la pressione.

Dio non operò un miracolo rispetto alle sue condizioni fisiche, ma agì in altri modi. A causa di un attacco americano, il governatore annullò tutti i piani per l’ottavo giorno del mese designato per il culto all’altare. Ancora una volta, Ahn superò la prova di fede, proprio come il suo eroe biblico preferito, Daniele. La sua umiltà, la capacità di riconoscere lucidamente le proprie debolezze e l’inequivocabile rinuncia a qualsiasi piano che non si accordasse con la Bibbia, la aiutarono a sopravvivere in qualsiasi condizione.

Il 15 agosto del 1945, il Giappone si arrese senza condizioni. I 13 cristiani rimasti vivi a Pyongyang alla fine della guerra furono liberati, ma la tragica storia della Corea vanificò la loro temporanea gioia. La Corea del Nord, caduta sotto l’influenza sovietica, si separò dalla Corea del Sud al 38° parallelo. I Russi seminarono il terrore nella loro sfera di influenza, soprattutto attraverso la violenza fisica e gli abusi sessuali nei confronti delle donne.

Ahn Ei Sook, vittima del vecchio regime, fu perseguitata in modo aggressivo dal nuovo potere e poi rapita. Ma riuscì a fuggire, unendosi a un gruppo di cristiani che rischiarono la vita per attraversare la Corea del Sud. In seguito, fu invitata e accolta calorosamente negli Stati Uniti. Insieme al marito, il pastore Kim Dong Myung, fondò una chiesa battista a Los Angeles e istituì una fondazione cristiana. Assumendo il nome di Esther Ahn Kim, ha dedicato la sua libertà per difendere con passione gli stessi principi che aveva sostenuto sotto tortura, anche nell’oscurità delle celle del carcere.

Ahn desiderava morire per Gesù, anziché arrendersi. Tuttavia, aveva a cuore la vita e ogni cosa, anche la più semplice, che Dio poneva sul suo cammino. Ahn Ei Sook non è morta torturata, ma si è spenta serenamente e circondata dall’amore all’età di 90 anni. Rimane per sempre un esempio di credente cristiana che sa quando parlare senza paura contro gli abusi del potere, quando dare una mano al prossimo indifeso e quando esprimere con gioia la propria gratitudine.

Attiva, allegra e generosa sino alla fine della sua vita, Ahn Ei Sook ci è d’ispirazione per condurre la nostra vita in modo da poter dire, come lei: “Ho finalmente scoperto il vero scopo della mia esistenza”.[2]

Note 
[1] Ester Ahn Kim, If I Perish (Se muoio), Moody Publishers, 1977, p. 34.
[2] Ivi, p. 80.

[Fonte: st.network. Traduzione: V. Addazio] 

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