Lasciare la comunità religiosa, conservando la fede. Una tendenza che ormai è molto comune. Una lettera scritta da una credente ci interpella e offre nuove prospettive da considerare.
Florentin Lehaci – “Ho lasciato la chiesa, ma non la mia fede”. Questa affermazione è diventata sempre più diffusa nella società secolarizzata di oggi. I Millennial sono spesso i primi a esprimere questo sentire, ma non sono gli unici. Una persona che ha lasciato la chiesa ha inviato una lettera alla sua comunità. Parole toccanti e allo stesso tempo potenti, che si traducono in un accorato appello affinché le chiese di tutto il mondo prendano sul serio questo messaggio.
“Cara Chiesa, è passato quasi un anno da quando ti ho lasciato. Sono cresciuta con te. Ho imparato a memoria tutti i versetti della Bibbia e avevo tutte le ‘risposte giuste’ radicate in me molto prima di avere il tempo di porre le domande. Ho imparato a parlare molto bene la tua lingua”. Così Meghan Ableson inizia la sua lettera, un testo che potrebbe essere visto come rappresentativo di quelle persone che si sono allontanate dalle chiese che un tempo frequentavano. Meghan non nomina la sua comunità, cosa che rende il suo messaggio significativo per molte denominazioni cristiane.
“Ricordo il senso di colpa che provavo quando non leggevo la Bibbia per qualche giorno” continua Meghan nel suo messaggio alla chiesa, pubblicato sul sito On Faith “quei pochi minuti prima di andare a letto in cui mi ritiravo per leggere alcuni versetti fuori contesto e mi costringevo a dire una preghiera”.
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Sebbene Meghan riconosca che frequentare la chiesa le abbia spesso causato “ansia e paura”, sente il bisogno di tornare alla vita della comunità almeno una volta ogni paio di mesi. Ma non lo fa senza sottolineare, nella lettera, alcuni aspetti importanti di sé.
Per prima cosa, Meghan dichiara di credere in Gesù Cristo e sottolinea che, nonostante non vada più in chiesa, non si è “allontanata molto da lui”. In secondo luogo, esorta la chiesa a non dare per scontato che chi non partecipa alle sue funzioni non abbia una vita religiosa. Al contrario, sostiene che sulle piste da sci, lungo le rive dei fiumi e in montagna, quella persona – e probabilmente molte altre come lei – continua a pregare.
Inoltre, Meghan desidera far capire alla chiesa di non aver bisogno della sua commiserazione, né deve pensare che se lei non è lì ogni domenica, non “conosce più Dio”. Meghan chiede poi che i suoi confini personali siano rispettati e che non riceva pressioni per compiere cose che sente di non poter fare con sincerità, come la richiesta di salutare gli altri in un modo che non le sembra autentico.
“Non voglio essere il vostro obiettivo”, continua Meghan, esprimendo la convinzione che quando è invitata agli incontri in chiesa, spesso è perché il suo nome è semplicemente uno ”della lista” che qualcuno è stato incaricato di seguire.
Insiste anche sul fatto che le sue domande siano rispettate e che la chiesa non dovrebbe essere precipitosa nell’offrire risposte. “Vivo con questi quesiti e mi sento a mio agio con essi. Non li ignorerò, né li risolverò con risposte superficiali” afferma Meghan.
Ed esprime il bisogno di una comunità autentica. “Il mio cuore anela alla comunione” dice “ma potete permettermi di entrarvi in modo naturale e quando sono pronta?”.
Una semplice lettera di fantasia o un riflesso della realtà?
Dato il crescente numero di persone che non aderiscono a nessuna religione, una lettera come quella di Meghan potrebbe non sembrare particolarmente degna di nota. Abbandonare la chiesa è già diventato un fatto comune.
Anche le chiese ortodosse (in maggioranza nell’Europa orientale) sono alle prese con tendenze che, fino a qualche anno fa, potevano apparire insolite: lasciare la chiesa pur conservando la fede. Di recente, uno studio ha confermato che anche nella “Madre Russia” le persone si stanno riavvicinando alla fede ma non alle comunità ecclesiastiche.
Numerose statistiche indicano che “la gente si allontana dalle espressioni istituzionali della chiesa. Le persone cercano di rinegoziare il rapporto dell’uomo con Dio” dichiara David Kinnaman, presidente del Barna Group, un istituto di ricerca che approfondisce le questioni religiose.
La tendenza alla “rinegoziazione” è stata evidenziata nel 2012 da un video virale che ha raccolto quasi cinque milioni di visualizzazioni nei primi tre giorni dalla sua uscita su YouTube. Il video, intitolato “Perché amo Gesù, ma odio la religione”, ha innescato una serie di reazioni. L’intento dell’autore (un giovane artista americano) era quello di tracciare un distinguo tra la religione, spesso associata a rituali e regole, e la spiritualità come espressione di una relazione personale con Gesù. “Gesù e la religione sono su fronti opposti” afferma il ragazzo nel suo messaggio.
Il fenomeno della “fuga dalla religione” non dovrebbe sorprendere. Nel suo libro Le Christianisme éclaté (Il cristianesimo in frantumi), Michel de Certeau ha notato un trend di lungo corso verso la deistituzionalizzazione del cristianesimo, suggerendo che l’umanità avrebbe sempre più sfidato non tanto l’idea di Dio, quanto quella della chiesa. L’autore ha anticipato l’emergere dei cosiddetti “cristiani senza chiesa” e ha anche previsto che la lettura della Bibbia “non sarebbe più stata parte di un’esperienza di fede condivisa e sarebbe caduta al di fuori dell’autorità ecclesiastica”. In sostanza, la società sta assistendo alla diluizione della religiosità istituzionalizzata.
Ci sono soluzioni?
Sì! Questa, almeno, è la risposta di Jon Paulien nel suo libro Everlasting Gospel, Ever-Changing World (Vangelo eterno, mondo in continuo mutamento),[1] che fa parte della collana Signs of the Times (Segni dei tempi). L’autore nota, però, che è necessaria una condizione: le chiese devono risvegliarsi alla realtà e accettare che il mondo è cambiato. Le persone si pongono delle domande, rifiutano risposte semplicistiche, ignorano l’assolutismo dottrinale e cercano relazioni profonde e significative. Inoltre, se la religione non riesce a venire incontro ai bisogni immediati della gente, ha perso il suo scopo. “Saremo presi sul serio sulle principali questioni religiose” scrive Paulien “se riusciremo a dimostrare che la nostra prospettiva sulla vita porta a cambiamenti positivi nei problemi quotidiani che le persone affrontano”. Altrimenti è probabile che molti cerchino l’appagamento spirituale altrove, una tendenza che, per ora, sembra si stia verificando.
Nota
[1] Per informazioni sul libro, segnaliamo il sito: https://adventistbookcenter.com/everlasting-gospel-ever-changing-world.html
[Fonte: st.network. Traduzione: V. Addazio]