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Una frase dell’arcivescovo di Torino Roberto Repole (in un articolo per l’ultimo numero della rivista Vita e pensiero pubblicato in parte ieri da La Stampa in Cronaca di Torino) ha destato in me dapprima curiosità e poi preoccupazione. Ecco le sue parole conclusive: «Io sono cristiano perché credo fermissimamente ciò che dice Pietro nel libro degli Atti: che non c’è nessun altro nome in cui c’è salvezza, se non Gesù Cristo. Chiedo perdono, ma per meno di questo io non riuscirei a essere cristiano». In sé nulla di nuovo, solo la ripetizione dell’annuncio cristiano come prosegue da duemila anni. Ma perché allora quello strano inciso «chiedo perdono»? A chi? E di che cosa?
Così comincia l’articolo su La Stampa del 7 agosto del teologo Vito Mancuso che nel proseguo della sua riflessione sostiene la necessità di rivolgersi alla società secolarizzata di oggi in termini meno esclusivi, privilegiando una spiritualità più “inclusiva” rispetto alla rigidità di alcuni testi e dogmi cristiani. Abbiamo chiesto un parere al pastore avventista Saverio Scuccimarri, decano della Facoltà avventista di teologia di Firenze e da anni impegnato nel dialogo interreligioso.