Una rilettura profonda del testo biblico ha incoraggiato l’autrice dell’articolo a meditare sui concetti di “vendetta”, “giudizio” e “retribuzione”
Per molto tempo ho creduto non solo che fosse sbagliato pregare per la fine dei nostri nemici, ma anche che Dio non avrebbe mai risposto a simili preghiere. Tuttavia, seguendo lo studio quotidiano sul Salmo 109 durante la Scuola del Sabato dell’anno scorso (il lezionario trimestrale che le chiese avventiste studiano in tutto il mondo per approfondire tematiche bibliche, ndt), la mia convinzione su come pregare per i propri nemici (o anche solo a proposito di loro) è stata completamente ribaltata.
La richiesta di giudizio nel Salmo 109
Ci sono molti altri Salmi in cui l’autore si lamenta con Dio per le sofferenze dei giusti per mano dei malvagi; implora che Egli lo vendichi e lo protegga dal cedere alla via dell’oppressore; commenta come la vita non sembri mai andare mai come desidera, e si chiede perché tutto ciò che riceve è pioggia mentre il suo nemico si crogiola in un sole immeritato. Ma il Salmo 109 è particolare. Abbandona in gran parte il grido: “Perché proprio a me, Signore?”. Un pensiero ricorrente in altri Salmi e che invoca il giudizio divino.
Mentre leggevo il brano, la mia bocca, già spalancata, si è aperta ancor di più quando Davide supplica Dio di trasformare la vita del suo nemico in un incubo vivente: “quando sarà giudicato, esca condannato” (Salmo 109:7); “siano pochi i suoi giorni” (v. 8); “i suoi figli restino orfani e sua moglie vedova” (v. 9); “l’usuraio divori tutto il suo patrimonio ed estranei lo spoglino del frutto delle sue fatiche” (v. 11); “nessuno sia misericordioso con lui” (v. 12); i suoi peccati “siano sempre davanti al Signore” (v. 15). In poche parole, Davide non voleva solo che il suo nemico soffrisse insieme ai suoi cari, ma desiderava che fosse Dio stesso a infliggergli queste sofferenze.
Uff! L’introduzione al Salmo spiega il motivo dell’amarezza di Davide: era stato calunniato, perseguitato senza ragione ed era ormai allo stremo – motivi più che comprensibili, direbbero alcuni, per desiderare vendetta. E io restavo interdetta. Se Davide poteva pregare così liberamente per la rovina del suo nemico, avevamo forse ignorato un’opportunità? Quella di chiedere a Dio cosa desideriamo per chi ci vuole apertamente del male, semplicemente perché non sapevamo di poterlo fare?
Cosa giustifica le richieste di Davide?
Le Scritture abbondano di prove a sostegno di quanto mi è stato insegnato fin da piccola: non si prega per la rovina altrui, che sia meritata o meno. Basta sfogliare qualche pagina per leggere le parole di Gesù che invita a porgere l’altra guancia (Matteo 5:38-48), a perdonare (Matteo 18:21) e a pregare per i nemici con amore (Luca 6:28). E l’ammonimento dell’apostolo Giacomo, rivolto a chi si lamenta che le proprie preghiere non siano esaudite, attribuisce la causa proprio alle intenzioni malvagie di chi prega (Giacomo 4:3). Allora, cosa giustificherebbe le suppliche di Davide nel Salmo 109?
Per settimane ho riflettuto sulla questione, leggendo commentari da fonti diverse, cercando di capire se mi fosse sfuggito qualcosa. Grazie al cielo mi sono imbattuta in un articolo del 1994 pubblicato sul Journal of the Adventist Theological Society (la Rivista della Società teologica avventista), intitolato “Inspiration and the Imprecatory Psalms” (“Ispirazione e Salmi imprecatori”) di Ángel M. Rodríguez. [1]
Nella sua analisi su questo genere di Salmi, l’autore suggerisce che parte del linguaggio usato nei testi riflette quello stesso tono usato da Dio nei suoi pronunciamenti contro le persone che scelgono il male (Deuteronomio 26:19, Isaia 13:11, 49:26, Geremia 30:16-20) e, in tempi di apostasia, persino contro il suo popolo (Levitico 26). Di conseguenza, le parole forti del salmista potrebbero essere lette come la supplica di un figlio ferito a un Padre onnipotente, tipo… “realizza ciò che hai già fatto in passato, e che hai promesso di compiere a chi danneggia coloro che tu ami”.
In più, per quanto Davide chieda a Dio di intervenire contro i suoi nemici, non dice mai: “farò io [vendetta]”. Dopotutto, è lo stesso libro dei Salmi a metterci in guardia: “lo scettro dell’empio non rimarrà per sempre sull’eredità dei giusti,
affinché i giusti non tendano le loro mani verso il male” (Salmo 125:3).
Davide è consapevole del fatto che, se avesse preso in mano la situazione — anche con una motivazione apparentemente “giusta”, si sarebbe reso colpevole e soggetto al giudizio riservato ai malvagi. All’autore del Salmi, allora, non resta che un solo posto dove andare: Dio.
L’Eterno afferma: “non fate le vostre vendette, miei cari, ma cedete il posto all’ira di Dio; poiché sta scritto: ‘A me la vendetta; io darò la retribuzione’, dice il Signore” (Romani 12:19). E aggiunge: “a me la vendetta e la retribuzione, quando il loro piede vacillerà! Poiché il giorno della sventura è vicino e ciò che li aspetta non tarderà” (Deuteronomio 32:35).
Un nuovo sguardo sul Salmo 109
Tutto questo mi ha aiutato a rimettere le cose nella corretta prospettiva. Forse, il senso profondo del Salmo 109 non è tanto usare Dio come un’arma da brandire contro chi ci rende la vita difficile, quanto piuttosto sapere a chi rivolgerci quando diventano insostenibili gli attacchi di chi non vuole il nostro bene. La Persona a cui possiamo andare in apparente sconfitta, piangere, lamentarci e crogiolarci nell’autocommiserazione — anche solo per un po’ — sapendo però che, come dice il proverbio, “quando loro cadono, noi saliamo”. Così in alto che sarà il nostro Padre celeste a combattere e vincere per noi. La rivalsa è sua, dopotutto.
Nota
[1] Ángel Manuel Rodríguez, “Inspiration and the Imprecatory Psalms,” Journal of the Adventist Theological Society 5, n. 1 (1994): 40-67.
[Fonte: adventistreview.org / Olivia Valentine. Tradotto da Veronica Addazio, HopeMedia Italia]
[Immagine: Curious_Collectibles | Pixabay.com]







