Il leader della Chiesa Avventista del Settimo Giorno irlandese riflette su ciò che ha portato al referendum.
David Neal/ARnews/Notizie Avventiste – Il 22 maggio, gli irlandesi sono stati chiamati alle urne per esprimersi sulla questione della parità del matrimonio. Con il 62 per cento dei “sì”, l’Irlanda è il primo paese al mondo a legalizzare le unioni tra persone dello stesso sesso attraverso un referendum popolare.
I giornali, dopo il voto, titolavano: “Uno storico spartiacque per il nostro paese” (Sunday Business Post); “L’Irlanda è un luogo più felice dove dire sì” (Sunday Independent); “L’Irlanda è un paese migliore e più equo dopo aver votato con il cuore” (The Observer).
Che cosa c’era dietro il voto?
La Costituzione irlandese del 1937 definiva la nazione: “uno Stato cattolico per un popolo cattolico”. Nei decenni successivi, la Chiesa e lo Stato hanno governato uniti con il pugno di ferro. Il conservatorismo sociale era comunicato ogni settimana dal pulpito dal parroco locale.
Poi, sono arrivate le ripetute accuse di abusi sessuali sui bambini, che sono state ignorate o coperte dalla Chiesa. Il rifiuto è stato forte, veloce e furioso, e con esso è arrivata una rivoluzione sociale.
Tenete a mente che la contraccezione era stata proibita dal 1935 al 1980, l’omosessualità era un reato fino al 1993, e il divorzio è stato consentito solo dopo il 1996. Ancora oggi, l’aborto è permesso in circostanze limitatissime.
Dopo aver perso la sua autorità morale, la Chiesa è stata accanitamente contestata dall’attuale taoiseach (o primo ministro), Enda Kenny. Con una mossa per separare chiaramente lo Stato dalla Chiesa, il primo ministro si è dichiarato “un taoiseach che è cattolico, ma non è un taoiseach cattolico”.
Inveendo con rabbia contro la Chiesa, nel 2011, per la sua debole risposta agli abusi sui minori, Kenny ha dichiarato: “Questa non è Roma. Questa è la Repubblica d’Irlanda 2011, una repubblica delle leggi”. Ha lanciato quindi la sua accusa su “disfunzione, disconnessione, elitarismo – e narcisismo – che dominano la cultura del Vaticano”.
Nel momento in cui queste parole sono state pronunciate, lo Stato cattolico per un popolo cattolico era finito.
Neutralizzata la Chiesa e senza il fondamento morale della Scrittura, non è stato difficile per gli irlandesi dire “sì” al matrimonio tra persone dello stesso sesso. Sicuramente, i giovani irlandesi hanno votato “sì” il 22 maggio, ma così hanno fatto anche migliaia di irlandesi anziani e delle zone rurali. Se pure incerti circa il nuovo ordine sociale, hanno ricordato la lotta per l’”uguaglianza” portata avanti nei tempi passati. Faceva profondamente male l’essere discriminati a Londra, negli anni ‘50 e ‘60 solo perché irlandesi. Non volevano che i loro figli e nipoti sperimentassero la stessa sofferenza. In questo senso, l’Irlanda ha votato davvero con il cuore.
La campagna per il “sì” ha colto lo stato d’animo delle persone desiderose di vivere in un’Irlanda moderna e progressista, priva di oppressioni sociali.
La campagna per il “no” e i suoi messaggi principali (“L’amore di una madre è insostituibile” e “Due uomini non possono sostituire l’amore di una madre”) spesso hanno dovuto lottare per essere ascoltati. I sostenitori del “no” hanno affrontato la sfida di comunicare la loro fede nel “matrimonio tradizionale” tra maschio e femmina. Con la fede religiosa radicata nella tradizione della Chiesa, la visione biblica del matrimonio è stata messa del tutto a tacere dalle voci più forti di uguaglianza e giustizia per tutti.
Ciò nondimeno, uno voto su tre era un “no”, al referendum.
In risposta all’esito della votazione, l’arcivescovo cattolico di Dublino, Diarmuid Martin, ha affermato: “Dobbiamo fermarci e valutare la realtà. Non si può negare l’evidenza”.
Ci sono state anche assicurazioni che le Chiese non saranno costrette a celebrare i matrimoni gay.
Come può rispondere la Missione avventista irlandese? Prima del referendum, ha rilasciato una dichiarazione sul matrimonio tra persone dello stesso sesso. Dopo la votazione, in quest’onda sismica di cambiamento religioso e sociale in Irlanda e in Irlanda del Nord, sembra più che appropriato pregare senza sosta.