Tra i mesi di dicembre 1993 e febbraio 1994 in Calabria vi furono una serie di attentati contro l’arma dei carabinieri.
Il primo attentato, risalente al 2 dicembre 1993, si concluse con un nulla di fatto dopo che i killer non riuscirono a colpire i bersagli. Ma il 18 gennaio 1994 vennero uccisi Vincenzo Garofalo e Antonino Fava, entrambi appuntati scelti. L’ultimo atto vi fu il 1° febbraio 1994, quando i militari Bartolomeo Musicò e Salvatore Serra vengono investiti dai proiettili durante il controllo di un’autovettura. Il commando di fuoco, però, per evitare di restare imbottigliato nel traffico dell’ora di punta serale, non ebbe il tempo di fermarsi per eliminare le due vittime che riuscirono a salvarsi nonostante le gravi ferite riportate.
Per quegli attentati la Procura di Reggio Calabria ha portato a processo il capomafia di Brancaccio Giuseppe Graviano, attualmente al 41 bis e fedelissimo di Totò Riina, e Rocco Santo Filippone, legato alla potente cosca calabrese dei Piromalli di Gioia Tauro. Quest’ultimo, secondo l’accusa, era a capo del mandamento tirrenico della ‘Ndrangheta all’epoca degli attentati ai carabinieri: la Dda di Reggio Calabria ha contestato al capomafia anche il reato di associazione mafiosa in quanto è considerato, oggi come allora, elemento di vertice della cosca Filippone.
In questi anni di processo, in corso davanti alla Corte d’assise di Reggio Calabria, il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo ha ricostruito quella lunga stagione di sangue e bombe dei primi anni Novanta evidenziando come anche quegli eccidi contro i carabinieri, avvenuti per mano della ‘Ndrangheta, fossero parte attiva di quella strategia di attacco frontale contro lo Stato, inserita anche in un progetto di ricerca di nuovi referenti politici, portata avanti con le stragi che tra il ’92 e il ’94 già aveva fatto saltare in aria lo svincolo di Capaci e via d’Amelio a Palermo, via dei Georgofili a Firenze, via Palestro a Milano e a Roma davanti a San Giorgio al Velabro e a San Giovanni in Laterano. Un progetto che vide Cosa nostra, con un ruolo operativo fondamentale, secondo quanto già acclarato dalle sentenze definitive, ma che sarebbe stato condiviso anche dalla criminalità organizzata calabrese, come riferito da diversi collaboratori di giustizia. E’ questo il quadro emerso in questi anni di processo, tra testimonianze, atti e documenti. Una strategia unica stabilita da una commissione ristretta che ha visto, con una posizione più marginale, anche la potente cosca De Stefano. “‘Ndrangheta stragista” è divenuto così un processo che allarga dunque l’orizzonte rispetto quanto già emerso nel processo di Palermo sulla trattativa Stato-mafia (con le condanne in primo grado e l’appello ancora in corso) ed i vari processi delle stragi (dalla rivista Antimafia Duemila, articolo del 20-06-2020 di Aaron Pettinari).

In questo numero di Sfogliando il giornale Roberto Vacca intervista il caporedattore di Antimafia Duemila Aaron Pettinari il giorno prima della requisitoria che martedì 30 giugno il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo svolge sulle prove emerse in tre anni di dibattimento circa le reponsabilità della ‘ndrangheta nella fase stragista degli anni ’90.

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