Espressione della laicità dello Stato
Davide Romano – Il recente referendum irlandese, che ha decretato a furor di popolo l’inserimento in costituzione del matrimonio omosessuale, ha generato nella chiesa di Roma – e in diverse altre – e nei suoi quotidiani d’area, vivo sconcerto e reazioni che oscillano tra l’indignazione e il profondo sgomento.
Proprio ieri il segretario di Stato Pietro Parolin, a margine di un incontro, dialogando con alcuni giornalisti ha espresso tutto il suo rammarico e ha definito il referendum una “sconfitta per l’umanità”.
Dunque, se ne deduce che se in Irlanda si fosse continuato a ignorare – come tutt’oggi accade ancora in Italia, Polonia, Bulgaria, Romania, Cipro, ecc. – la pressante richiesta che proviene da decine di migliaia di coppie gay di poter vedere riconosciuto e tutelato dalle leggi dello Stato – non da quelle della Chiesa, beninteso – il loro diritto ad amarsi e di poterlo dichiarare pubblicamente assumendo la dignità sociale di coppia, con un corredo di diritti e doveri, l’umanità, per contro, ne sarebbe uscita vittoriosa e rinsaldata nel suo spirito.
Ma non vogliamo appendere il fulgido Parolin a una espressione forse magari fuori misura, specie per un diplomatico; ciò che stupisce in questo e in altri casi è la continua e totemica apologia della famiglia, “assediata” e “bistrattata” da simili disposizioni legislative e dall’involuzione antropologica – espressione abbastanza ricorrente nelle invettive vaticane – cui esse darebbero sciaguratamente corso. E non si trova mai un vaticanista, o un cronista qualunque, disposto a chiedere a questi alti prelati: “Mi scusi sua eminenza, ma perché se due omosessuali si sposano ne scaturisce un danno irreparabile alla cosiddetta famiglia eterosessuale?”.
C’è da immaginare infatti che gli eterosessuali continueranno a scegliere un partner di sesso diverso e, se riterranno il caso, lo sposeranno. Non saranno indecisi e turbati sul da farsi, giusto perché adesso ci sarebbe anche la possibilità del matrimonio gay.
Rimane tuttavia vero che il tema inquieta molte Chiese. Anche la Chiesa Cristiana Avventista del Settimo Giorno ha una posizione critica verso il matrimonio omosessuale e non potrebbe unire in matrimonio due gay che lo chiedessero. La nostra teologia rimane ancorata ad alcuni dati biblici al momento insormontabili.
Si mantiene, nondimeno, una distinzione tra ciò che è bene per la chiesa e ciò che è bene per la società.
Le Chiese hanno pieno e legittimo diritto di non recepire le leggi dello Stato qualora esse risultassero confliggenti con la propria comprensione teologica, e hanno altresì pieno e legittimo diritto di orientare le coscienze dei fedeli secondo parametri di etica teologica. Lo Stato ha un compito diverso: le istituzioni pubbliche rispondono ai cittadini e al corpo sociale nel suo complesso, e verso di esse grava la responsabilità di dar corso a istanze ben presenti e che oggi, secondo una recente statistica, godono peraltro dell’appoggio della maggioranza degli italiani.
Questa distinzione tra ciò che le chiese credono di dover predicare, in obbedienza alla Scrittura e alla loro tradizione, e ciò che le pubbliche istituzioni civili sono chiamate a normare, in ascolto dell’intero corpo sociale e di tutte le minoranze che esso esprime, si chiama laicità, e mette al riparo da sconfinamenti improvvidi sia gli uni sia gli altri. Questo, la Chiesa cristiana avventista, nel suo piccolo, non lo ha mai dimenticato.