Rifugiati: gli stranieri in mezzo a noi
1 Febbraio 2016

refugees-strangersLilya Wagner/ARnews/Notizie Avventiste – Ogni volta che dico alle persone: “Sono una rifugiata”. Ricevo la solita risposta: “Sì, siamo tutti migranti su questa terra”. Allora ripeto: “Sono una vera rifugiata, una genuina”. E ciò genera risposte più interessanti come: “Non lo sembri affatto”; oppure “Come mai non hai l’accento?” o meglio “Pensavo che dovessi avere un accento!”.

Sì, sono una rifugiata genuina. L’arrivo del comunismo in Estonia, la mia terra natale, costrinse mio padre a prendere la sua famiglia e a fuggire nel cuore della notte. Dato che era il presidente della Federazione Estone delle Chiese Cristiane Avventiste del Settimo Giorno, la polizia segreta, il temuto KGB, prese di mira mio padre e la sua vita era in pericolo.

Arrivammo in Germania, dove restammo senza casa e vagammo da un posto all’altro, cercando di stare al sicuro e di rimanere in vita, mentre mio padre continuava a servire le chiese. Questo ci permise di non andare nei campi profughi e, alla fine, arrivammo negli Stati Uniti, grazie all’intervento e al sostegno della Chiesa avventista mondiale e del governo americano.

Essendo cresciuta in diversi posti, a meno di dieci anni parlavo quattro lingue e trovavo interessante la vita, fatta di pericoli, spostamenti e stranezze, perché mi aveva reso diversa. Potevo parlare quattro lingue, sapevo chi erano Stalin e Hitler al di là dei racconti nei libri di storia, avevo conosciuto la fame più nera, dormito sotto le stelle stretta ai miei genitori e sentito lo stomaco torcersi al suono di ogni sirena. Sì, avevo vissuto tutto questo, ma non conoscevo i semplici giochi americani, non avevo idea di cosa fare con un telefono e pensavo che tutto negli Stati Uniti fosse gigantesco. Ho cercato di inserirmi nel tessuto americano e di dimenticare tutto il passato, e in ciò mi ha aiutato il diventare cittadina statunitense all’età di 14 anni. Eppure non è stato facile, perché io e la mia famiglia eravamo comunque stranieri, anche se nella chiesa siamo stati accolti come fratelli.

Perciò mi addolora sentire la propaganda anti-rifugiati negli Stati Uniti in questo momento. L’America è una terra fatta di diverse popolazioni, ma quelli arrivati di recente sono meno accettabili rispetto a quelli che sono venuti anni fa, anche molto tempo prima di me?

Credo davvero che oggi sia il momento di dire: “Cosa farebbe Gesù?”.

Durante un corso di formazione che conducevo per i centri sociali di una città americana in cui vivevo, qualcuno mi aveva mostrato alcuni giornali in cui si parlava dell’antipatia della popolazione nei confronti di coloro che erano arrivati più di recente. I giornali risalivano ai primi decenni del ‘900. Togliendo i riferimenti etnici, gli articoli sembravano parlare dei rifugiati e degli immigrati di oggi, mentre in realtà si trattava di tedeschi, irlandesi e italiani! Purtroppo, alcune cose non cambiano mai.

Ripensando a quando ero una rifugiata e un’immigrata, anche se ora sembro un’anziana donna americana, ricordo sia le azioni meschine sia quelle gentili di persone che hanno contribuito a risistemare la nostra vita e ci hanno accolto in questo paese. Ricordo le donne della chiesa che ci donavano i vestiti e gli oggetti per la casa. Mi ricordo l’aiuto e l’incoraggiamento dei miei insegnanti. E potrei andare avanti.

Sì, siamo tutti i profughi che vagano sulla terra, in attesa di redenzione, ma mentre siamo qui, cerchiamo di contribuire ad aiutare quelli che sono i rifugiati di oggi, nonostante le differenze.

(La dott.ssa Lilya Wagner è direttore del Philanthropic Service for Institutions, a Silver Spring, nel Maryland, USA)

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