La vita sociale fa provare piacere al nostro cervello, mentre la solitudine sembra modificarne il funzionamento. E’ quanto risulta da una ricerca effettuata presso l’Università di Chicago, dove un’equipe di ricercatori ha sottoposto 23 ragazze a precisi questionari psicologici per valutarne il grado di solitudine. Poi ha mostrato loro immagini che rimandavano a contesti felici (persone che ridevano o scherzavano), scoprendo così, con l’aiuto della risonanza magnetica, che nel cervello delle giovani le aree neuronali dell’appagamento erano tanto più inerti quanto erano sole. Sono condivisibili i risultati di questa ricerca o possono causare confusione nelle persone che soffrono di disagi di questo tipo? Quali sono gli effetti neurologici della solitudine sul cervello e sulla vita relazionale? Sono sempre e soltanto negativi? Può la solitudine aiutare a riscoprire dei valori spirituali basilari? Mario Calvagno e Carmen Zammataro, redattori di RVS, lo hanno chiesto al prof. Michele Trimarchi, psicologo, scienziato e fondatore della neuropsicofisiologia negli anni 70-80, presidente ISN International Society of Neuropsychophysiology di Roma.

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