Francesco Zenzale – Dopo il trionfo dei credenti in risposta alla liturgia tetra della triade satanica, si annunzia ora la grande e definitiva comparsa di Dio. I messaggi dei tre angeli fanno seguito alle macchinazioni del dragone di Apocalisse 13 e rivestono un carattere universale, perché si rivolgono “a ogni nazione, tribù, lingua e popolo” (Ap 14:6), con una successione di messaggi di avvertimento e di giudizio tesi a sollecitare una risposta, una decisione conclusiva da parte di chi li ascolta, tale da determinare una netta separazione tra gli adoratori di Dio “che osservano i suoi comandamenti e ritengono la fede in Gesù” (Ap 14:12), e gli adoratori dell’immagine della bestia, i quali hanno fatto una scelta opposta a Dio, lasciandosi imprimere “sulla fronte e sulla mano destra” (Ap 14:9) il marchio della disobbedienza alla legge divina.
L’invito. Il messaggio dato dal popolo di Dio, personificato dall’angelo (angelo, cioè messaggero), è un invito ad accettare la buona novella della salvezza. Non si tratta di una semplice informazione o di una dottrina di cui si possa prendere visione per poi passare alle proprie occupazioni quotidiane. Il Vangelo è annunziato agli uomini con energia e insistenza “a gran voce”, quasi urlando come faceva il banditore pubblico, tale da determinare una crisi esistenziale nell’uomo, staccandolo dalle sue solite abitudini, inducendolo ad una risoluzione che coinvolge tutta la persona in rapporto al suo destino eterno.
Ci troviamo di fronte a un affabile invito a “temere Dio…”.
“Temere Dio significa essere attenti al bene, al diritto, alla giustizia; significa osservare i suoi comandamenti, non soltanto in pieno giorno sotto lo sguardo di tutti, ma anche in famiglia e nell’intimità. Siamo di fronte a una concezione generale dell’esistenza. La religione non è più confinata in alcune ore domenicali o sabbatiche, o nel momento sacro della preghiera. Ogni procedimento, ogni decisione, ogni opera, ogni pensiero sono messi sotto l’autorità che viene dall’alto. Per questo motivo il timore di Dio costituisce un leit motiv tanto importante nella letteratura sapienziale. In quei libri, nel cuore delle tematiche esistenziali che abbracciano il quotidiano, al centro delle riflessioni profonde forgiate al fuoco del dubbio e dell’intelligenza critica, il timore di Dio riceve il posto più alto ‘Il principio della saggezza è il timore del Signore’ (Pr 9:10; cfr. 1:7). Il timore di Dio non ha niente della paura superstiziosa che paralizza e conduce a una religione meccanica e magica.
Nella Bibbia, il timore di Dio è spesso associato all’amore. Appena dopo aver parlato del timore di Dio e dell’ubbidienza alla sua legge, il testo del Deuteronomio (6:1-3) si snoda sul principio che lo ispira: ‘Tu amerai dunque il Signore, il tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua e con tutte le tue forze’ (6:5). Temere Dio significa amarlo sapendo di essere amati da lui. Significa avere la convinzione che il Dio d’amore ci segue dappertutto con il suo sguardo, non con l’intenzione di sorprenderci in errore e di punirci, ma con la preoccupazione di chi veglia sui nostri passi per guardarci da ogni male; ‘l’occhio del Signore è su quelli che lo temono’ (Sal 33:18). L’ubbidienza e il riferimento alla legge che viene dall’alto, presenti in ogni momento dell’esistenza, sono il risultato di questa relazione d’amore reciproca. Una vita sotto lo sguardo di Dio è una vita con Dio. Reciprocamente, poiché viviamo con Dio, viviamo sotto il suo controllo. La vera religione è coerente. Dio viene preso sul serio” (J. Doukhan, Il grido del cielo, Adv, p. 151).
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