Notizie Avventiste ha rivolto alcune domande a Dora Bognandi, direttore del dipartimento Affari pubblici e Libertà religiosa presso l’Unione avventista italiana, sul significato dell’Editto di Milano promulgato nel 313, di cui quest’anno ricorrono 1700 anni, e sul tema del rapporto tra chiese e potere, che è stato anche al centro della settimana della libertà religiosa.
Notizie Avventiste: Che cosa significò per i cristiani l’Editto di Costantino?
Dora Bognandi: Il Cristianesimo ha dovuto confrontarsi con il potere fin dal suo sorgere e spesso è stato oggetto di feroci persecuzioni, come quelle promosse dall’imperatore Diocleziano. Costantino, cresciuto alla corte di questo dittatore, probabilmente si rese conto che non era possibile governare serenamente con la repressione e il suo Editto di Milano del 313, con cui il cristianesimo fu considerato religio licita, fu accolto dai cristiani come una grazia divina. Lattanzio ed Eusebio raccontano che questo evento fu una diretta conseguenza di quanto avvenuto alla vigilia della battaglia di Ponte Milvio, quando un sogno-visione aveva mostrato all’imperatore romano il monogramma cristiano, la croce, e il consiglio: “Con questo segno vincerai”. Si era convertito Costantino? Vi sono molti dubbi, anche perché concesse la libertà non solo ai cristiani e la motivazione del suo gesto è contenuta nell’editto stesso: desiderava che le divinità adorate dalla popolazione fossero propizie al suo impero.
N. A.: Una volta liberi, i cristiani come usarono questa libertà?
D. B.: La libertà e le agevolazioni offerte da Costantino ai cristiani attirarono nella nuova religione masse di persone che si inserirono in tutti i settori della società, costituendo così un punto di forza per chi governava. Il nuovo imperatore Teodosio, una volta saldamente al potere, lo gestì senza alcuna generosità. Erano passati solo pochi decenni dall’Editto di Milano ed egli emanò, nel 380, il famoso Editto di Tessalonica che attribuiva il nome di cristiani cattolici a tutti coloro che non contrastavano quel provvedimento e ordinava la condanna all’infamia dell’eresia tutti gli altri che dovevano essere condannati dalla vendetta divina e dalle pene inflitte dal potere politico. Tutto ciò nel nome del Giudice in Cielo. Nasceva così lo stato confessionale con la saldatura fra trono e altare, tra potere politico e potere ecclesiastico che ha segnando tragicamente tanti secoli.
N. A.: Perché la cristianità e le religioni utilizzano il potere?
D. B.: La Chiesa cristiana traeva un grande vantaggio dal sodalizio con l’imperatore perché così riceveva sovvenzioni e poteva contare su qualcuno che la difendesse. Dal canto suo, essa ricambiava il favore sostenendo il governo e benedicendone le armi. Questo ci insegna che quando i cristiani sono in minoranza, sono più sensibili al tema della libertà, ma poi se ne dimenticano. Gestire il potere e rispettare la libertà di coscienza dei cittadini è sempre una grande sfida, perché il potere temporale e quello spirituale hanno finalità diverse. L’uno deve gestire tutti i cittadini, indipendentemente dalla fede professata. L’altro, sentendosi portatore di valori assoluti, tende ad affermare verità trascendentali non soggette a discussioni e facilmente arriva a dire che la verità ha più diritti dell’errore. Ma quando i due poteri si stringono saldamente la mano, la libertà rimane soffocata.
N. A.: Esiste una soluzione?
D. B.: Certamente, ed è l’applicazione del concetto di separazione Chiesa-Stato, cioè del principio di laicità. Che non vuol dire necessariamente separazione totale delle due realtà, perché esse hanno molte materie in comune come, ad esempio, inizio e fine vita, obiezione di coscienza, matrimonio, giorno di riposo, ecc. La cosa migliore, a nostro parere, è che i vari esponenti dei due poteri dialoghino fra di loro per meglio conoscere le esigenze di ognuno, lasciando sempre la libertà allo Stato di produrre leggi che garantiscano le coscienze di tutti i cittadini, qualunque sia la loro scelta religiosa. Lo Stato non deve essere etico, ma giusto.