Nello sport, le regole disciplinano l’azione in campo. Nella vita di fede, possiamo interpretare allo stesso modo le indicazioni dei Dieci comandamenti? Una riflessione a cura dell’australiano Lee Dunstan, redattore di “Signs of the Times” per 25 anni.
Lee Dunstan – Si narra che la storia del gioco del rugby abbia avuto inizio nel 1823 in una scuola in Inghilterra, quando un certo William Webb Ellis “con grande disprezzo per le regole del calcio giocato ai suoi tempi alla scuola di rugby, per primo prendeva la palla tra le braccia e correva con essa, originando così il tratto distintivo del gioco”.
Presumo che stessero giocando a calcio e, probabilmente, la partita era piuttosto noiosa; quindi, l’azione di Ellis non mi avrebbe sorpreso. La storia, comunque, non è vera: è un mito con poche prove che sia veramente accaduta, non ultimo il fatto che, nel 1823, il gioco del calcio non era ancora stato inventato [il primo regolamento risale al 1848 nel Trinity College di Cambridge, ndt] né tanto meno praticato nelle scuole britanniche. Vero o non vero, rimane la leggenda, tanto che il trofeo della Coppa del mondo di rugby si chiama William Webb Ellis Trophy.
Nel 997, La città di Rugby, nel Warwickshire, eresse una statua commemorativa dedicata al gioco, che costò la bella cifra di 40.000 sterline. L’opera in bronzo rappresenta un ragazzo che corre con una palla ovale e si trova vicino alla famosa scuola e di fronte al Museo Webb Ellis, in un luogo dove nel diciannovesimo secolo si fabbricavano palloni.
È ironico che un gioco così ben normato sarebbe iniziato 200 anni fa con una violazione delle regole che vietavano l’uso delle mani nel football! I due codici del rugby [Rugby Union, a 15 giocatori, e Rugby League a 13 giocatori ndt] sono tra i giochi più tecnici e sono basati su regole, dove un’infrazione grave può comportare lunghe squalifiche. E questo rende molto rischiosa una strategia basata sulla violazione delle regole, il cosiddetto "fallo tattico".
Lo sport non è diverso dalla vita reale, che richiede una serie di leggi allo scopo di ottenere giustizia per tutti ed equità. Nella tradizione giudaico-cristiana, queste leggi sono i Dieci comandamenti della Bibbia che si trovano in Esodo 20 e Levitico 5, ma i suoi principi sono universali.
Il rugbista australiano Israel Folau, nel 2019, pubblicò un controverso post su Instagram basato sul testo biblico di Corinzi 6:9-10, secondo il quale i trasgressori impenitenti saranno condannati per l’eternità: "Attenzione: ubriachi, omosessuali, adulteri, bugiardi, fornicatori, ladri, atei, idolatri, l’inferno vi aspetta. Pentitevi! Solo Gesù salva". Le conseguenze della violazione delle leggi della vita – ci avvertiva Folau – sono gravi e perpetue.
Fuori dal campo di gioco, viviamo senza linee laterali chiaramente delineate o video replay; non c’è nessun arbitro che osservi ogni nostra mossa o che ci tenga all’interno del campo di gioco della vita. Sta a noi individualmente decidere come giocare. Ma come esseri umani tendiamo a vagare dove vogliamo; abbiamo bisogno di regole chiare per vivere e proteggere le relazioni.
Molti vivono nell’ignoranza di tali regole, alcuni le ignorano opportunamente, mentre altri agiscono in totale spregio a esse. Nel libro dell’Esodo, gli schiavi ebrei liberati, ancora a portata d’orecchio del Dio che aveva appena dato loro i comandamenti sul vicino Monte Sinai, scelsero di creare e adorare un idolo d’oro. Ed era sorprendente, perché avevano appena fatto una promessa ben intenzionata a Dio, dicendo: “Faremo tutto ciò che il Signore ha detto” (Esodo 19:8). Cedendo alle loro inclinazioni umane, si modellarono un idolo e lo adorarono.
Ma se ci pensiamo, tutti abbiamo preso delle decisioni e pochi giorni dopo le abbiamo dimenticate. Secondo un sondaggio australiano sui buoni propositi per il nuovo anno a cura di YouGov nel 2018, avremmo pianificato di mangiare più sano, di fare più esercizio fisico, di risparmiare più denaro… Come è andata per te?
La narrazione plurimillenaria della Bibbia che traccia la storia del rapporto altalenante della nazione ebraica con Dio è la prova dell’incapacità umana di obbedire alla legge divina. Se consideriamo questo fatto è scoraggiante, poiché potremmo pure progettare di fare “tutto ciò che il Signore ha detto”, con le migliori motivazioni e intenzioni, ma falliamo. Anche il grande apostolo Paolo lottò contro questo aspetto quando scrisse: “Sappiamo infatti che la legge è spirituale; ma io sono carnale, venduto schiavo al peccato. Poiché ciò che faccio io non lo capisco: infatti non faccio quello che voglio, ma faccio quello che odio” (Romani 7:14-15).
Allora come si affronta un dilemma così insolubile?
Un episodio della vita del re Davide – il secondo re d’Israele – è istruttivo a questo riguardo e lo troviamo in 2 Samuele 11. Per usare un eufemismo, il re Davide commise un “errore morale”. Ma con un solo peccato, l’adulterio, ha infranto ognuno dei Dieci comandamenti (cfr. Esodo 20:1–17).
Cominciò con il desiderare la consorte del suo vicino, Betsabea moglie di Uria l’Hittita (decimo comandamento); commise il furto (ottavo comandamento) della “proprietà” (come erano considerate le donne in quella cultura) del suo servitore più fedele, che si trasformò in adulterio (settimo comandamento). Così facendo mancò di rispetto ai suoi genitori (quinto comandamento) abbandonando quello che gli avevano insegnato. Tutto ciò fu seguito dall’inevitabile insabbiamento, cioè la menzogna (nono comandamento) e la cospirazione omicida (sesto comandamento). In seguito, Davide riconobbe che i suoi peccati erano in definitiva atti contro la sovranità di Dio (Salmo 51:4): idolatria intenzionale ed egoistica, un insulto al nome di Dio e alla sua superiorità come Creatore (comandamenti dal primo al quarto).
Per Davide però – ed è qui la lezione – quella non fu la fine della triste storia poiché, quando il profeta Natan lo mise di fronte al suo misfatto, rendendosi conto dell’enormità di ciò che aveva compiuto, confessò la sua trasgressione con spirito contrito, gridando una preghiera di pentimento: “riconosco le mie colpe, il mio peccato è sempre davanti a me” (Salmo 51:3), e offrendo come riparazione il suo cuore spezzato e abbattuto (v. 17).
Il Salmo 51 spiega passo dopo passo come , uniti a Dio, affrontiamo la nostra incapacità umana nell’osservare la legge: la confessione permette il perdono, il perdono la grazia, la grazia la riconciliazione e la riconciliazione il reintegro. In modo tale che, alla fine, un assassino bugiardo e fornicatore possa essere descritto da Dio così: “Io ho trovato Davide, figlio di Iesse, uomo secondo il mio cuore, che eseguirà ogni mio volere” (Atti 13:22). Nell’unico libro che conta davvero, il Libro della Vita del regno dei cieli, il peccato di Davide era stato cancellato. Cancellato come se non fosse mai stato commesso.
Questa si chiama grazia.
E la grazia trova la sua strada in posti e modi strani.
Stan Smith era un uomo estremamente violento, membro di un famigerato terzetto, la più famosa banda criminale australiana della seconda metà del ventesimo secolo, insieme ai complici Lennie McPherson e George Freeman. Smith detestava la droga, ma dopo gli anni ’60 si dedicò al lucroso affare della marijuana, accumulando una fortuna. Sulla costa orientale dell’Australia, i tre governavano la malavita. Protetti da poliziotti corrotti, furono coinvolti nell’omicidio di dozzine di criminali rivali. Smith stesso fu collegato a circa 25 sparatorie e 15 omicidi, ma trascorse in prigione solo poco tempo. Fu molto colpito dalla perdita di suo figlio a causa dell’eroina e, secondo la storia, uccise lo spacciatore che gliela vendeva travolgendolo ripetutamente con la sua automobile mentre giaceva privo di sensi sul marciapiede dove lo aveva atterrato.
Nel 2003, Stan “The Man” Smith fece una straordinaria inversione di marcia. Abbandonò la sua vita criminale, diventando un “uomo di Dio”. Nel 1996, un membro della Evangel Bible Church di Sydney gli aveva regalato un libro cristiano e il seme piantato aveva messo radici. Nessuno può sapere con certezza se la conversione di Smith fosse sincera, tuttavia, molti sostengono di sì. Era avvenuto qualcosa in lui; piangendo con cuore pentito, fu battezzato per immersione completa, risorgendo dall’acqua purificato dalle sue azioni passate. Un cristiano rinato.
Fino alla sua morte nel 2010, Smith ha studiato le pagine della Bibbia, ha cantato nel coro di una chiesa e ha distribuito volantini religiosi, oltre a cooperare con enti di beneficenza nello squallido Kings Cross di Sydney, il suo ex terreno di gioco. Accettando la morte di Gesù per i suoi peccati, così come era avvenuto al re Davide, i peccati precedenti di Smith non sono mai esistiti e l’eternità è diventata sua. Poiché, come spiega lo scrittore biblico, Cristo fu sacrificato una volta per togliere i peccati di molti; e apparirà una seconda volta, non per portare il peccato, ma per portare la salvezza a quelli che lo aspettano (cfr. Ebrei 9:28).
(Lee Dunstan è stato redattore di Signs of the Times per 25 anni, dal 1993 al 2018. Attualmente dirige i servizi cristiani per le persone cieche e ipoudenti. Una versione di questo articolo è apparsa per la prima volta sul sito web Signs of the Times Australia/Nuova Zelanda ed è stata ripubblicata con il suo permesso).
[Fonte: st.network. Traduzione: V. Addazio]