Come dovremmo relazionarci con chi non c’è più? Cos’è la morte secondo la prospettiva biblica?
Angel Manuel Rodríguez – Si tratta di una questione importante nel campo della missiologia, in particolare rispetto alle religioni del mondo che praticano la venerazione e l’adorazione degli spiriti degli antenati defunti. Questa pratica non è solo una credenza religiosa, ma, in alcuni casi, è anche una questione di identità sociale e nazionale di un popolo. Una pratica religiosa ben nota in tutto il Medio Oriente antico, tale al punto da influenzare alcuni israeliti.
Dio non ha ignorato questo fenomeno anzi, lo ha affrontato direttamente.
Fondamento dei rituali degli avi defunti
I riti degli antenati defunti, sia antichi sia moderni, hanno alla base un fondamento comune: la visione dualistica della natura umana secondo cui la persona è costituita da due elementi, uno dei quali continua a vivere dopo la morte del corpo. Lo spirito, o l’anima, che sopravvive rimane in qualche modo connesso ai membri della famiglia estesa, in modo benefico o minaccioso.
I familiari in vita devono provvedere ai bisogni dello spirito, mostrando così rispetto e reverenza per i defunti. Si pensa che, in risposta, gli antenati morti proteggano e si prendano cura della famiglia. Stando a questa visione, quando la responsabilità di badare agli spiriti dei defunti non è adempiuta, questi si arrabbiano e hanno bisogno di pacificazione. Inoltre, si crede che gli spiriti abbiano conoscenze soprannaturali e che i vivi possono consultarli per ottenere premonizioni sul futuro.
La risposta della Bibbia
Dio proibisce categoricamente di consultare gli “spiriti” dei defunti (Deuteronomio 18:11, 12). La consultazione generalmente richiedeva un medium che affermasse di ricevere il messaggio dai defunti o che potesse essere posseduto dallo spirito (1 Samuele 28:11-19; Levitico 19:31; 20:6, 27).
Il divieto si fonda sulla comprensione biblica della natura umana. Gli esseri umani sono un’unità indivisibile di corpo e vita, che termina quando la persona muore. La vita intellettuale di chi se ne va perisce (Salmo 146:4); non si è più produttivi (non si compiono più attività), non è possibile fare progetti e non si possiede conoscenza o saggezza (Ecclesiaste 9:10).
La memoria di chi muore non è più attiva, e la capacità di acquisire conoscenza e la vita emotiva svaniscono: non si è in grado di amare, odiare o provare gelosia (Ec 9:5, 6). La vita religiosa dei defunti (Ec 9:5; Salmo 30:9; 115:17), così come la loro vita sociale, finisce, poiché non sono più coinvolti nel mondo dei vivi (Ec 9:6). In altre parole, sono morti! La loro unica speranza è la risurrezione dalla morte (Isaia 26:19; 1 Tessalonicesi 4:16, 17).
La morte è un nemico
La morte è l’ultimo nemico che sarà sconfitto eternamente da Cristo alla sua seconda venuta (1 Corinzi 15:26). Nei rituali dell’Antico Testamento, l’inimicizia della morte era espressa tramite il simbolo dell’impurità. L’impurità rituale separava le persone da Dio e dalla società, facendo della morte il compendio dell’essere impuro e dell’assenza di santificazione (Levitico 5:2; 19:2; 21:1; Numeri 6:9).
Venire a contatto con i morti significava entrare in amicizia con il nemico anziché con il Dio vivente. Se agli esseri umani arriva una conoscenza che sembra provenire dal regno dei morti, è dovuta ai poteri maligni che fingono di rappresentare i defunti.
Quando la medium descrisse a Saul ciò che vide, disse: “Vedo un essere sovrumano che sale dalla terra” (1 Samuele 28:13, ND; cfr. Levitico 17:7, ND).
Solo il vero Dio conosce il futuro e condivide il suo sapere, i suoi piani e la sua volontà con i vivi attraverso la sua Parola. Non c’è bisogno né motivo di consultare i morti.
(Angel Manuel Rodríguez è pastore, professore e teologo avventista, ora in pensione)
[Foto: Rodgerson, Unsplash. Fonte:adventistworld.org. Traduzione: V. Addazio]