Daniele in breve. Nel cuore del cristianesimo
21 Febbraio 2017

Francesco Zenzale – “Attenetevi alla legge e alla testimonianza! Se un popolo non parla in questo modo, è perché in esso non c’è luce” (Is 8:20 ND). “Ma anche se noi o un angelo dal cielo vi annunciasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato, sia anatema” (Gal 1:8).

Ci sono pratiche cultuali cristiane che sgorgano dal paganesimo. Per individuarle è importante svincolarsi da quel mondo culturale-religioso che accomuna le confessioni e la nostra religiosità. So che è difficile e doloroso! Facciamo fatica ad accettare di aver vissuto dentro una “conchiglia” formativo-religiosa, dove abbiamo pianto, pregato, sorriso, inneggiato e sospirato, per poi scoprire che quella corteccia ha un’eredità ancestrale non pienamente conforme alla volontà di Dio. L’essere umano ha sempre avuto bisogno di qualcosa che lo collegasse al cielo e la religione, indubbiamente, è stata un ottimo contenitore capace di raccogliere queste istanze trascendentali. Ma il rischio è alto quando, dimentichi della Parola di Dio, affidiamo la nostra spiritualità ad una religiosa “conchiglia” implicante elementi cultuali e dottrinali pagani.

L’impero romano, da un punto di vista religioso, ha avuto un forte ascendente sul cristianesimo a partire dal III secolo, al punto che per certi aspetti si possa dire che sia stato il cristianesimo a convertirsi al paganesimo. Dopo le persecuzioni, che indussero i credenti a vivere nell’ombra per amore di Cristo, gradualmente gli imperatori assunsero un atteggiamento conciliante. In seguito, con la complicità dei vescovi e la conversione in massa dei pagani, molte credenze e pratiche cultuali divennero parte integrante del cristianesimo.

A causa di questa fusione, il pantheon si amplificò a tal punto da riempire il cielo anche di eroi cristiani, di figure femminili e maschili fungenti da intercessori e protettori. Un’inconcepibile sincretismo, nella forma e nel contenuto, tale da caldeggiare un’offerta salvifica all’insegna do ut des o do ut facias, in cui la grazia è a fronte di più mediatori, di un sacrificio, di un’opera, dell’obbedienza o di un “prezzo” pagato dall’uomo, che può tradursi anche in termini votivi, scelte cultuali e liturgiche non conformi al Vangelo.

Da questo amalgama di culture religiose erompe un cristianesimo adulterato, nel quale l’imperatore Costantino ha avuto un ruolo determinante. In primo luogo, con l’editto emanato nel 313 a Milano (e firmato anche da Licinio) diede al cristianesimo riconoscimento ufficiale. Poi con la sua conversione (per quanto ricevesse il battesimo solo sul letto di morte) e l’esortazione ai pagani di abbracciare il cristianesimo nell’editto agli Orientali del 324.

Successivamente con la convocazione del concilio di Arles nel 314, allo lo scopo di risolvere la questione donatista (Donatismo: vasto movimento scismatico che turbò la chiesa d’Africa a cominciare dal IV secolo). Di seguito con quello di Nicea nel 325, perché preoccupato per la diffusione dell’arianesimo. E infine con il decreto del 7 marzo del 321 in cui ordina l’osservanza del giorno del sole (dies solis) al posto del sabato biblico, settimo giorno (Es 20:8-11; Gn 2:1-3).

In breve, lentamente – come mostra la storia – l’impero romano d’occidente fece posto al cristianesimo romano così bene da far dire che il primo non è completamente scomparso, ma ha subito una metamorfosi.

Il cristianesimo che nel I secolo d.C., grazie alla predicazione degli apostoli e di uomini e donne fedeli a Cristo, ci ha fatto uscire da una religiosità mitologica, come era quella pagana, per abbracciare un rapporto personale con Dio quale creatore e redentore, successivamente, per effetto di poca avvedutezza e per amore del palcoscenico internazionale, ci ha reintrodotti in un cristianesimo magico-mitologico e, per un lungo periodo storico, dispotico come lo è stato l’impero romano.

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