Daniele in breve. Per ungere il luogo santissimo
9 Gennaio 2018

Francesco Zenzale – Settanta settimane d’anni “per ungere il luogo santissimo” (Da 9:24).
Il cammino del credente non è così virtuoso e sereno, privo di ostacoli e di ansie. Il peccato ha inesorabilmente indebolito la nostra natura e spesso, come scrive l’apostolo Paolo, agiamo come non vorremmo: “il bene che voglio, non lo faccio; ma il male che non voglio, quello faccio» (Ro 7:19). La nostra è un’esistenza al quanto ingarbugliata! Malgrado ciò non dobbiamo disperare. Il Signore, nella persona di Gesù Cristo e nell’opera dello Spirito Santo, ha concepito un percorso-vita che fluirà nell’eterna incorruttibilità. Sta a noi seguirlo: corpi incorruttibili, gloriosi, spirituali, ecc. (1 Co 15:40-49).

Che cosa significa “ungere o consacrare il luogo santissimo?”. Gli aspetti teologici legati a quest’ultima parte del percorso del credente sono ben illustrati dal rituale che annualmente il sommo sacerdote svolgeva nel santissimo (Le 16) e dal significato degli oggetti in esso contenuti.

La verga fiorita di Aronne, segno di riconoscimento del sacerdozio universale, di chi vive costantemente e consapevolmente alla presenza di Dio (1 P 2:5, 9), ispirandosi al sacerdozio eterno di Cristo  (Eb 7:24; 4:14-15).

La ciotola di manna, espressione del modo in cui Dio è presente nella storia del suo popolo (Sl 23), ma anche dell’importanza di nutrirsi del pane della vita (Mt 6:9-14; Gv 6:31-35).

L’arca del patto con il suo propiziatorio, contenente le tavole della legge, rivelazione della gloria di Dio, della sua giustizia e della sua misericordia. Nascosta agli occhi del popolo perché espressione dell’inaccessibile carattere di Dio, il nascosto per eccellenza (Is 45:15). L’uomo, a causa del peccato, non può vedere Dio, la sua gloria, e vivere (Es 33:18-23).

Infine, il Kippur, il giorno del masiah, dell’unzione-purificazione del santissimo mediante l’espiazione e l’allontanamento definitivo del peccato, quindi il trionfo della giustizia e della misericordia di Dio. Ci vorrebbero una gran quantità di pagine per descrivere il valore messianico-escatologico di questa festa solenne. Il termine masiah è lo stesso per descrive l’unto o il consacrato del Signore: Gesù Cristo, il mashiach – nagîd, “l’unto capo o principe” (Da 9:25,26). Un gioco di parole per aiutarci a capire che colui il quale avrebbe adempiuto pienamente il significato soteriologico del Kippur, sarebbe stato Gesù Cristo.

Da quanto sottolineato, “ungere il luogo santissimo” (letteralmente: spandere un liquido su qualcosa), va oltre il significato letterale di consacrazione (al servizio) di un luogo o di una persona. Significa riconoscere il masiah, colui che ha pienamente realizzato tutto ciò che la liturgia del Kippur rappresentava. Secondo l’autore della Lettera agli Ebrei, Gesù Cristo è il vero Sommo Sacerdote. Egli è alla destra di Dio e intercede per noi, secondo l’ordine di Melchìsedek (Ro 8:34; Eb 1:3; 8:1; anche i capitoli da 4 a 7).

In virtù della sua opera redentiva Gesù ha “oliato, unto” il santissimo, rilevando nella sua persona tutto ciò che lo rappresentava e attribuendo agli arredi interni un valore spirituale ed eterno. In tal senso la legge non è più incisa su pietra, esterna al credente, ma nel cuore (Mt 5:17 e segg.; Eb 8:10-13).

Se nell’antica e propedeutica liturgia, nel santissimo poteva entrare solo il sommo sacerdote, nella nuova esperienza evangelica, inaugurata da Cristo, in qualità di sacerdoti regali possiamo contemplare, anche che se come in uno specchio, la gloria di Dio (Ap 1:5-6; 1 P 2:9; 2 Co 3:18).

In breve, Dio voleva che Israele, il suo amato popolo, fosse testimone di un’esperienza che superasse la transitorietà del Kippur ed entrare a pieno titolo nel nuovo patto (Gr 31:31-33). Esso costituiva l’ultima tappa del suo percorso propedeutico all’accettazione del masiah e pertanto la sua elezione si concluse alla fine delle settanta settimane d’anni.

Anche noi possiamo imbatterci nello stesso azzardo. Come le cinque vergini stolte possiamo non esseri pronti per il suo ritorno (Mt 25:1-13). Perciò, proseguiamo il nostro cammino cercando le “cose di lassù dove Cristo è seduto alla destra di Dio” (Cl 3:1).

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