Eravamo quattro gatti… in piazza
14 Novembre 2018
Eravamo quattro gatti… in piazza
14 Novembre 2018

 

 

Riflessioni sul papato attuale.

Luigi Caratelli – Un giornalista della terza rete della televisione pubblica è stato severamente redarguito dal Vaticano, e ripreso dall’allora direttore di rete, Antonio Di Bella, quando, a metà luglio del 2009, aveva osato «offendere» Benedetto XVI in un suo servizio.1 In realtà l’offesa, se tale si può definire, consisteva nella constatazione che in Piazza S. Pietro, a seguire le omelie del pontefice, c’erano ormai solo i proverbiali «quattro gatti». Insomma, il giornalista riferiva, con una punta di sarcasmo, ciò che era sotto gli occhi di tutti: il disamore dei cattolici nei confronti di Benedetto.

Io invece, senza fare stramazzi, constatavo – come il giornalista sotto accusa – che a settembre 2018 ad ascoltare le prediche di papa Francesco di «aficionados» ne stazionavano in numero uguale, se non più assottigliato, del suo predecessore. Sì, papa Francesco, secondo informati opinionisti, è in caduta libera: tanto per l’ala «destra» della cattolicità, quanto per l’ala «sinistra»; ovviamente per opposti motivi.

Criticare senza essere criticoni
Per quanto riguarda il soggetto trattato in questo articolo, mi spiegherò meglio riferendo quanto mi ha detto un carissimo amico pastore. Aveva partecipato a un convegno ecumenico, e in una pausa era stato avvicinato da un cardinale che gli aveva rivolto una domanda diretta: «Voi avventisti, cosa pensate della Chiesa cattolica?». La risposta del pastore è stata altrettanto diretta ed estremamente significativa: «Noi pensiamo che il sistema sia anticristico, ma al suo interno ci sono cristiani sinceri da apprezzare». Il cardinale apprezzò anche lui la risposta.

Il prelato cattolico aveva capito che criticare qualcuno non vuol dire fare azione da disfattista, bensì mettere sul tavolo delle discussioni i propri principi, la propria fede e le proprie scoperte nel campo dell’interpretazione biblica. Criticare – se lo si fa con rispetto – permette all’altro di maturare scelte impensabili e formative. Quante volte ho ringraziato di cuore, e senza falsi pentimenti, chi mi ha rivolto delle critiche.

Dire, come il mio amico pastore, che non tutto va nelle tue affermazioni ma che ti rispetto comunque, significa fare critica costruttiva; e l’interlocutore (cardinale o chi altro) non può che apprezzare.

Invece, penso non sia sano chiudere occhi, orecchie e pensiero critico, solo perché oggi va di moda fare i liberal fuori tempo massimo. Non è saggio essere più buoni di Dio.

Che ne è della Riforma
Per essere conseguente con la mia impostazione di critico-non criticone, vorrei partire da un evento che riguarda il protestantesimo e che non è possibile far passare sotto silenzio. Il 29 marzo 1994, decine di esponenti cattolici e protestanti firmarono un documento intitolato «Evangelici e Cattolici insieme: la missione cristiana nel terzo millennio». Il giorno dopo, il 30 marzo, Usa Today scriveva: «Questa è una dichiarazione storica… i leader sollecitano… a non svolgere più una attività evangelistica di proselitismo,… e a non discutere più sugli argomenti teologici che li differenziano».2 Ho già evidenziato questa problematica in un articolo precedente.

Siamo perfettamente d’accordo che molti cattolici, soprattutto oggi – anche spesso contro la loro stessa istituzione – siano in fermento positivo e fautori di stupende iniziative evangeliche (basti pensare a sacerdoti coraggiosi che hanno perso la vita opponendosi a mafie e prepotenze costituite, spesso benedette dalle loro gerarchie). Qui, come affermato dall’amico pastore, si sta parlando di sinceri credenti. Ciò non toglie che sia doveroso, quando è possibile, indicare loro le perle teologiche di cui siamo forniti noi avventisti (criticare, con rispetto, un sistema anticristico).

Raccomandazioni ufficiali

Il 12 novembre 1991 la Regione Intereuropea (Eud) della Chiesa avventista pubblicava un suo documento con le seguenti raccomandazioni: «Noi crediamo che la Chiesa Cristiana Avventista del 7° Giorno, in quanto parte della cristianità, sia stata suscitata da Dio in un’epoca precisa per proclamare a tutta l’umanità il “Vangelo eterno” prima del ritorno di Cristo. Questa concezione del nostro mandato non esclude però il fatto che noi vediamo lo Spirito Santo manifestarsi ugualmente in altre chiese cristiane e comunità di credenti. Non possiamo unirci al Cec [Consiglio Ecumenico delle Chiese, di cui abbiamo parlato in un precedente articolo, ndr] a causa della nostra lealtà verso le Sacre Scritture, noi restiamo aperti a ogni tipo di relazione interconfessionale che non metta in questione la nostra concezione specifica».

Il 16 marzo 2002, l’Unione italiana, a sua volta, chiariva la sua posizione rispetto al soggetto «ecumenismo»: «La Chiesa Cristiana Avventista ha sperimentato che la posizione migliore da assumere in rapporto ai vari organismi che riuniscono diverse confessioni religiose a livello nazionale, regionale e mondiale, è quella di osservatori-consulenti». Insomma, un esplicito «fin qui e non oltre». Detto con onestà e rispetto per gli interlocutori.

È cambiato qualcosa?
Non sono pochi gli avventisti convinti che con papa Francesco la Chiesa cattolica abbia superato di molto l’infamante appellativo di «anticristica». Possiamo gettare la spugna, ci viene detto, oggi il cattolicesimo non è più quello del Medioevo.

Io credo che ci è sempre richiesto l’impegno di amare gli appartenenti di qualunque religione, a prescindere se questa mostri, o no, segni di cambiamento; anche se la religione in questione, nei suoi dogmi, nei suoi ordinamenti e nelle sue tradizioni rimane anticristica. Il punto è proprio questo: l’adesione alle verità evangeliche. E su questa piattaforma il cattolicesimo ha molto da correggere.

Siamo rimasti tutti colpiti dalle ripetute scuse – da Giovanni Paolo II fino a Francesco – che la gerarchia cattolico-romana ha espresso per il male fatto alle donne, agli indios, ai neri, ai protestanti, agli ebrei, alle vittime dei pedofili, ecc.3 Avremmo però gradito molto di più una parallela riforma dottrinale in senso evangelico: infatti restano in piedi teorie e dogmi «anticristici» quali l’inferno, il purgatorio, la confessione auricolare, il culto dei morti, dei santi, della madonna e molte altre cose ancora. Su questo fronte niente di nuovo.

Probabilmente devono essere lette con accortezza le parole di Ellen White che, con una panoramica abbracciante passato e futuro, scrive: «Si vide mai Cristo mandare gli uomini in prigione o sul rogo perché non gli tributavano l’omaggio che gli era dovuto? Oggi la chiesa romana si presenta al mondo con aria di candida innocenza, e copre di giustificazioni la storia delle sue orribili crudeltà. Ogni principio elaborato dal papato esiste tutt’ora. Essa conserva le dottrine elaborate durante i secoli bui. Perciò che nessuno si inganni».4 È indubbio che molti fedeli cattolici desiderino cambiamenti e riforme più decisi, e che nel futuro aumentino le aspirazioni a un’adesione più stretta al vangelo; quindi, rimaniamo a osservare.

Non è cambiato niente
Marco Marzano, autore del libro La chiesa immobile. Francesco e la rivoluzione mancata, proprio sulla figura dell’attuale pontefice scrive: «Il suo pontificato è, da ogni punto di vista, tutto fuorché rivoluzionario: la Chiesa Cattolica rimane perfettamente immobile, dando però l’impressione di aver avviato un clamoroso cambiamento».5 E la preoccupazione di Marzano, come lui stesso spiega in molti suoi interventi pubblici, è suscitata dalla Curia, dal sistema che la regge. Anche la scelta del pontefice è delegata non al popolo di Dio, ma a una ristretta cerchia di anziani gerarchi che sanno interpretare i «segni dei tempi» per perpetuare il cattolicesimo di sempre.

Marzano, essendo cattolico progressista, vorrebbe riforme diverse da quelle auspicate dai fondamentalisti,6 e chiosa che le fake news su Francesco «attorniato dai lupi»,7 o osteggiato dalla curia, siano soltanto una fiaba fatta circolare da alcuni giornalisti e scrittori: in realtà, gli oppositori reali alle «riforme» di Francesco sono soltanto pochi teologi tradizionalisti.

Ancor più critici sono gli arcinoti Discepoli di verità (religiosi cattolici che mantengono l’anonimato), i quali scrivono: «La drammatica rinuncia di papa Ratzinger… ha indotto i poteri occulti che governano la Chiesa di Roma e che si combattono nelle faide curiali, a propiziare l’elezione (di) Bergoglio… capace di permettere la quadratura del cerchio: far credere che al vertice della Chiesa tutto sia cambiato per lasciare tutto immutato… nel moderno Occidente più del vero conta l’immagine… Infatti l’immagine «rivoluzionaria» di papa Francesco è per l’appunto solo l’immagine, messinscena e rappresentazione mediatica. La caratura innovativa e riformatrice di papa Bergoglio è tutta e solo una rappresentazione, una commedia destinata al gregge dei fedeli tramite i mass media».8

Infine, un’osservazione più che qualificata è quella del famoso vaticanista Sandro Magister. Per quest’ultimo esistono due papa Francesco: il primo che «rivoluziona la chiesa… che chiude le dogane del dogma e spalanca le porte della misericordia»; e il secondo per il quale: «la musica cambia» perché «la vecchia curia… è ancora lì tutta intera. Niente è stato smantellato… Nonostante tutto i media continuano a vendere il racconto del papa “rivoluzionario”, ma il vero Francesco ne è sempre stato più lontano».9 Poiché, continuano i Discepoli di verità: «come e più del predecessore Giovanni Paolo II (in gioventù attore di teatro), papa Bergoglio è un vero teatrante… che a colpi di populismo e demagogie… ha miracolosamente capovolto l’immagine della Chiesa cattolica da opulenta a decadente, a povera e per i poveri. L’immagine appunto».10

Potremmo avere delle riserve sull’appellativo «teatrante», ma per il resto non si rileva esagerazione alcuna.

E noi avventisti?
Ellen White, con grande anticipo su Marzano e una folta schiera di autori moderni, aveva chiarito che: «Il papato è esattamente ciò che la profezia aveva annunciato, è apostasia degli ultimi giorni. Fa parte della sua politica assumere l’aspetto che meglio si adatta ai suoi disegni per riuscire ad attuarli».11

Scrive ancora E. White: «Molti insistono che non è giusto giudicare la chiesa di oggi in base alle abominazioni e alle crudeltà che caratterizzarono il suo dominio durante i secoli dell’ignoranza e delle tenebre. Ne scusano le orribili crudeltà attribuendole alla barbarie dei tempi, e dicono che l’influsso della civiltà moderna ha mutato i suoi sentimenti».12 Poi aggiunge: «Nella confessione cattolico romana vi sono dei sinceri cristiani. Migliaia di membri di quella chiesa servono Dio secondo la luce che posseggono… Dio osserva con pietosa tenerezza queste anime… e provvederà perché dei raggi di luce… rivelino a esse la verità. Molti allora si schiereranno con il suo popolo».13

È esattamente la visione del mio amico pastore: criticare un sistema anticristico non è un peccato; quel che conta è ricordarci delle migliaia di fedeli sinceri che ne fanno parte. Con loro – laici o ecclesiastici che siano –il dialogo non solo è possibile, ma imprescindibile.

Verranno tempi difficili, ma noi dialogheremo sempre con tutti, rispettando tutti e camminando con tutti. Senza timore di dire chi siamo e in che cosa crediamo. A questo siamo chiamati.

D’altronde il vangelo non è altro che un sorriso – il nostro – dietro il quale si nasconde il desiderio di Dio di abbracciare il mondo. Anche quando siamo costretti a criticarlo.

 

Note

1 «Quattro gatti per il Papa», bufera sul Tg3 Di Bella, Corriere della Sera, 13 luglio 2009.
2 Cfr. A. Pellegrini, Quando la profezia diventa storia, p. 593.
3 Cfr. soprattutto L. Accattoli, Quando il Papa chiede perdono, Mondadori, 1998.
4 E. White, La grande speranza (Il gran conflitto), Adv, Firenze, 2012, p. 488.
5 Micromega, aprile 2018, p.19.
6 M. Mazza, Bergoglio e pregiudizio, Editrice Pagine, Roma, 2018.
7 M. Politi, Francesco in mezzo ai lupi, Laterza, Bari, 2014.
8 Discepoli di verità, La croce e le spine di papa Francesco, Kaos edizioni, Milano, 2015, pp. 7, 8.
9 Ivi, p. 8.
10 Ibidem.
11 E. White, Op. cit., p. 489.
12 Ibidem.
13 Ivi, p. 483, 484.

 

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