Ennio Battista – Uno dei pericoli che personalmente vedo in alcune frange della nostra chiesa nell’affrontare la relazione salute-religione, è quello di enfatizzare a tal punto il fattore sanitario da creare una sorta di classifica meritoria tra chi fa migliori o peggiori scelte di questo tipo all’interno delle nostre comunità. Dal punto di vista della teologia della salvezza, però, la promozione della salute si inserisce, come tutte le pratiche quotidiane, nel solco della grazia. Ciò significa che scelgo di stare bene come espressione della mia gioia di vivere e per valorizzare le leggi di Dio che mi permettono di mantenere alte le mie facoltà psicofisiche. Non lo faccio per guadagnare la vita eterna.
Trasformare la salute in un traguardo da raggiungere ossessivamente, significa ottenere per paradosso il suo contrario: l’ortoressia, una patologia che colpisce le persone che maniacalmente desiderano essere circondate da cose igienicamente perfette e di consumare cibo assolutamente incontaminato.
Mi preme però sottolineare un altro elemento che rischia di rendere paradossale il tentativo di fare classifiche meritorie basate sull’apparenza e su alcune scelte salutistiche.
Se per esempio ci confrontiamo con alcune recenti posizioni di organismi scientifici come il Wcrf (Fondo mondiale della ricerca sul cancro) scopriamo che le bevande zuccherate, come cola, aranciate, bitter, ecc., sarebbero da bandire ancora più del vino. Che cosa dovremmo fare allora, noi che come chiesa abbiamo scelto alcune prove di discepolato per l’appartenenza a essa? Forse dovremmo inserire anche l’obbligo di astenersi dalle bevande dolcificate? Ma allora che dire della sedentarietà, che uccide indirettamente più del fumo, come è stato rilevato da ultimissimi studi epidemiologici. Chiediamo ai catecumeni di impegnarsi a camminare almeno 30 minuti al giorno a passo sostenuto?
E non è tutto.
Come ricorda Ellen G. White: «Esiste un rapporto molto stretto fra mente e corpo: se uno è colpito anche l’altro ne risente. L’equilibrio dello spirito influisce sulla salute più di quanto molti possano immaginare (Sulle orme del gran Medico, p. 132).
I nostri pensieri, le emozioni negative, possono provocare patologie a livello organico, dall’artrosi all’osteoporosi, fino a forme tumorali. E chi può dire quanti di questi pensieri albergano in persone che magari si astengono da sostanze tossiche, fanno sport, quindi in apparenza si mostrano in linea con le nostre direttive generali?
Una classifica è quindi assolutamente da evitare per conoscere quanto siamo in salute, come quella di evitare ulteriori prove di discepolato, tranne se non vogliamo trasformare la chiesa in uno stato totalitario di controllo della vita intima delle persone.
Sto usando dei paradossi, è evidente.
Mi serve, invece, per sottolineare quanto la salute sia amore per la vita, della mia, di quella degli altri, dell’ambiente, compreso il rispetto degli animali; è ricerca del vivere insieme tendendo a un’armonia mai del tutto raggiungibile ma non per questo non anelata o non promossa dalla nostra testimonianza. Questo lo voglio evidenziare a chi invece pensa che la promozione dei temi dalla salute, e dunque la ricerca dello stare bene, siano secondari per gli obiettivi generali della chiesa avventista.
Abbiamo il dovere di promuovere la salute come responsabilità delle nostre scelte personali, ma anche accettazione non angosciata del dolore e della morte.
Salute è aiuto dell’altro, non espressione di giudizio duro sull’altro.
Salute è camminare a fianco di Gesù mentre guarisce il paralitico di Capernaum, nonostante i suoi peccati ma per la sua fede; ridona la vista al cieco nato, venuto al mondo in quello stato non per colpa sua o dei suoi genitori, ma «affinché le opere di Dio siano manifestate in lui».