Un nuovo vestito, una nuova macchina, una nuova casa… Offrono alcuni momenti di soddisfazione e una lunga serie di rimpianti per ciò che non possiamo possedere. La vera felicità risiede altrove, nell’amore di Dio.
Norel Iacob – “Una vita calma e modesta porta più felicità della ricerca del successo combinata con una costante irrequietezza”. Questa frase fu scritta in tedesco da Albert Einstein su una banconota data come mancia a un corriere giapponese nel 1922, poco dopo aver saputo di essere stato insignito del premio Nobel.
Nell’ottobre 2017, la banconota è stata messa all’asta e ha raggiunto l’incredibile cifra di 1,56 milioni di dollari, ma la filosofia di Einstein sulla felicità non è mai stata così tanto apprezzata. Questo perché va contro una tendenza da tutti manifestata e risalente a Adamo ed Eva: il fascino costante di voler essere qualcosa che non siamo o di avere ciò che non possediamo. È la droga più antica della storia umana e crea una dipendenza praticamente universale.
L’ironia sta nel fatto che nel nostro intimo passiamo gran parte della vita credendo a qualcosa di diverso, o almeno sospettandolo, anche quando riconosciamo pubblicamente la saggezza di Einstein. E ciò spiega perché, nonostante tutto quello che abbiamo scoperto o vissuto, prima o poi torniamo a quella dipendenza originaria e infelice.
La perfidia di questa dipendenza risiede nella trasformazione di un desiderio naturale e lodevole di crescita e di sviluppo in una pulsione che lega perennemente la nostra felicità al passo successivo. L’ideale umano include intrinsecamente la ricerca dell’eccellenza, ma per ragioni completamente diverse. La Bibbia lo riassume così: “Siate santi, perché io sono santo” (1 Pietro 1:16; cfr. Matteo 5:48). In altre parole, Dio ha sempre voluto che gli esseri umani fossero come lui; li ha creati in questo modo e voleva che rimanessero così per l’eternità. Sorprende, quindi, che il diavolo sia riuscito a convincere i nostri progenitori di non essere come Dio bensì mancanti di qualcosa per raggiungere quello status; qualcosa che avrebbero ottenuto addentando un frutto proibito. Il ridicolo della situazione può essere riassunto così: qualcuno, a cui Dio aveva rivelato e messo a disposizione tutto ciò che era necessario per la felicità, è stato convinto da un altro di aver bisogno di qualcosa di più.
Questo meccanismo di manipolazione è ben noto nello studio della pubblicità. Poiché abbiamo un limitato bisogno di beni, a livello pratico, le aziende si impegnano creare nuove esigenze per noi. Bisogni che devono essere soddisfatti dai loro prodotti. L’inutilità, come diceva Einstein, sta nel fatto che questa giostra ci sospinge del continuo alla ricerca della felicità ma non mantiene davvero le sue promesse. È ciò che la Bibbia definisce chiaramente “un correre dietro al vento” (Ecclesiaste 1:17).
Quindi, nonostante gli acquisti compulsivi, rimaniamo depressi. I momenti di felicità che accompagnano un nuovo acquisto non fanno altro che allargare l’abisso del bisogno di avere di più. Un nuovo vestito, una nuova macchina, una nuova casa offrono alcuni momenti o giorni di soddisfazione e una lunga serie di rimpianti per ciò che non possiamo avere.
Allo stesso tempo, mangiare meno e in modo frugale, guadagnare di meno e possedere meno oggetti sono visti spesso come dettagli di un quadro noioso e monocromatico. Mentre la semplicità costosa è una tendenza di moda, la semplicità economica e facilmente raggiungibile è generalmente considerata vergognosa, un segno di debolezza e incapacità.
Ma se hanno ragione Einstein e tanti altri che pensavano e parlavano come lui, allora la semplicità ha il potere di costruire una casa per la felicità.
Il bello è che la semplicità non ha una formula unica. Non è uniforme. Può assumere tante fogge quanti sono gli individui ed è per questo che svaluta la concorrenza. La sua essenza rimane la stessa, e questo non significa sacrificio o sopravvivenza, ma spogliazione di tutto ciò che è gravoso o nasce dall’ingannevole bisogno di avere di più, di apparire più ricco o più potente. Si tratta di mettere da parte tutto ciò che ha un valore creato artificialmente per vedere ciò che conta intrinsecamente, dimenticando gli oggetti che richiedono adorazione per fare spazio a quelli che servono senza schiavizzare. La semplicità agisce sulle nostre menti e sui nostri cuori proprio come la natura ripristina un ecosistema dopo che cessa l’intervento umano. Inoltre, la semplicità regala tempo. In assenza di elementi ridondanti, riscopriamo l’essenziale: le persone, la bellezza delle relazioni, il potere trasformativo dell’amore e la semplicità della ricetta per la felicità.
Il Sabato biblico, vissuto come suggerisce la Scrittura stessa e non secondo le tradizioni umane che ne hanno snaturato l’essenza, incarna la semplicità e i suoi benefici. Il Dio che ha creato gli esseri umani a sua immagine li invita a una celebrazione settimanale della loro relazione; è un momento di completo recupero e riconnessione, un’opportunità per ricaricare e riaffermare le convinzioni e i sentimenti che alimentano una vita equilibrata, sana e appagante. In realtà, non abbiamo bisogno di più oggetti o risultati. Abbiamo bisogno di più fiducia, pace, amore e scopo. Non si tratta di inseguire disperatamente la felicità, ma di fermarsi e di stabilirsi con soddisfazione nel luogo in cui risiede la felicità.
E la felicità, come i fiocchi di neve così leggeri da non posarsi su chi è in movimento, cade su chi, pur essendo in movimento, in realtà si è fermato.
(Norel Iacob è direttore di Signs of the Times Romania e ST Network).
[Fonte: st.network. Traduzione: V. Addazio]