papa Francesco
La morte di un papa
24 Aprile 2025
La morte di un papa
24 Aprile 2025

Davide Romano – Lunedì 21 aprile alle ore 7:35 è stata data notizia della morte di papa Francesco. La notizia, come sempre accade quando muore un Papa, ha scosso molti ed ha immediatamente messo in moto, in Italia e nel mondo, il formidabile apparato mediatico che in tali occasioni vuole dare copertura ad un evento che genera sconforto nel popolo cattolico e chiama a raccolta personalità della cultura, della politica, della chiesa, dello spettacolo, a offrire un saluto sovente riconoscente al vescovo di Roma che si è congedato dalla vita.
Ai tantissimi credenti che si sono identificati con il suo stile, con il suo messaggio e lo piangono come un papa buono che ha cercato di scuotere la Chiesa cattolica e di indicare una prassi evangelica, il Presidente dell’Unione italiana delle chiese cristiane avventiste del settimo giorno, Andrei Cretu, ha rivolto nei giorni scorsi un proprio messaggio di solidarietà e di cordoglio. Come cristiani avventisti crediamo che la morte sia un sonno dal quale verremo svegliati nel giorno della risurrezione, come la Pasqua appena trascorsa ci ha ricordato e ci insegna proprio a partire dall’annuncio del Risorto. La risurrezione delle creature segnerà il termine di ogni infimo dominio della morte, come l’apostolo Paolo ricorda (1 Corinzi 15:26), e ci consegnerà ad una vita eterna con Gesù; di questa vita eterna, promessa e attesa,anelata e sovente vilipesa, oggi, sappiamo dire molto poco, perché ogni nostro pensiero e perfino la nostra più fulgida immaginazione sono comunque fortemente annichiliti dalla morte e dal morire. Ma la risurrezione di Gesù dischiude ai nostri pensieri l’infinita provvidenza della grazia divina.

Cosa resta del pontificato bergogliano
La morte di un papa induce nella Chiesa di Roma, nelle tante voci della cultura e del giornalismo, e, di riflesso, anche nelle altre Chiese cristiane, specie in Italia, il bisogno di tracciare un cosiddetto “bilancio” del suo pontificato. Può darsi, a pensarci bene, che si tratti perfino di un malvezzo, ma è comunque la naturale conseguenza di un ruolo che ha una evidente natura politica oltre che religiosa e spirituale.
Il punto di vista di chi scrive è quello di un protestante italiano, di un Avventista del settimo giorno, dunque un punto di vista non particolarmente ben predisposto verso le imprese di un pontefice. Complice il fatto che in Italia, da sempre, la parola del Papa viene dai media annunciata come il punto di vista del più alto magistero religioso esistente, e quando si parla della Chiesa (di Roma) si lascia tranquillamente ad intendere che essa rappresenti l’intera cristianità e l’intero novero delle Chiese. Sicché, anche in considerazione del copiosissimo profluvio di riconoscimenti e panegirici che stanno già inondando senza sosta tutti i notiziari, le pagine e i siti dei Quotidiani, forse è utile, se non altro a noi stessi, un punto di vista altro.
Per valutare ciò che un pontificato lascia in eredità alla sua Chiesa e alla cultura religiosa e sociale del proprio tempo occorre sempre un lungo periodo di sedimentazione. Sul piano delle impressioni, si può senz’altro riconoscere al pontificato di Jorge Mario Bergoglio uno stile affabile, cordiale, connotato da una spontaneainclinazione al dialogo, anche con le altre fedi e le altre Chiese, almeno per la prima parte del suo pontificato. È stato riconosciuto ripetute volte e da molti commentatori quanto il suo pontificato siastato sapientemente punteggiato da gesti simbolici altamente evocativi. Senz’altro, la visita al Tempio valdese di Torino del 22 giugno 2015 e la visita alla Chiesa anglicana di Roma del 26 febbraio 2017, ad esempio, lo furono, così come lo fu, su un piano assai diverso, l’incontro, quasi clandestino, con il patriarca Ortodosso di Mosca Kirill nel 2016 a Cuba.
Se quei gesti, insieme a tanti altri che qui non richiamiamo, siano effettivamente stati produttivi di una sensibilità ecumenica e interreligiosa nuova della Chiesa di Roma, è difficile dirlo con certezza. La storia millenaria di una chiesa non si lascia repentinamente trasformare da pontificati anche più o meno illuminati.  In questi anni è sembrato comunque di poter osservare nella Chiesa di Roma una maggiore consapevolezza dell’alto significato spirituale e storico della pluralità cristiana, decisamente in contro tendenza nel confronto con quanto era accaduto con il precedente pontificato di Benedetto XVI, ma in una certa continuità con lo spirito più aurorale del Concilio Vaticano II.
La passione bergogliana per la pluralità delle voci e delle sensibilità, anche interna al cattolicesimo, ancorché non senza esemplari squalifiche, ha trovato plastico riscontro nell’impronta più convintamente sinodale che la chiesa di Roma ha cercato di assumere e di riscoprire, mantenendo però, fatalmente, la forma di una Chiesa il cui episcopato argina robustamente ogni reale aspirazione sinodale.
La produzione teologica di papa Francesco si è perlopiù occupata di temi certamente importanti e attuali, quali ad esempio l’amoreconiugale (Amoris laetizia, 2016), l’amicizia sociale e la fraternità (Fratelli tutti, 2020), il giusto atteggiamento etico nei confronti della creazione (Laudato si’), per quanto la sua poco citata Lumen fidei (2013) sia, a parere di chi scrive, tra i lavori più nitidi e riusciti anche dal punto di vista più precisamente dogmatico.

Un Papa rivoluzionario?
Gli aggettivi volti a qualificare il pontificato di Bergoglio si sono sprecati e spesso, con il favore dei media, ogni gesto da lui compiuto veniva celebrato come “storico”, anche quando forse non lo era. Le valutazioni circa la reale portata innovativa – se si può così incautamente usare un simile aggettivo – dell’azione di governo bergogliana divergono in ragione delle aspettative che ciascuno aveva.
Sembra di capire tuttavia che per coloro che nutrivano la speranzadi grandi riforme della Chiesa cattolica, il bicchiere – come si usa dire – sia mezzo vuoto. Almeno sul piano delle concretizzazioni. Su almeno due temi, per usare degli indicatori ormai classici nel dibattito intorno al cattolicesimo, l’azione di papa Francesco è parsa ad un tempo velleitaria e rinunciataria, vale a dire: l’accesso al ministero ordinato per le donne, quantomeno per le diacone, e il superamento del celibato dei chierici, quantomeno per i viri probati, specie dopo il famoso sinodo dell’Amazzonia.
Sulla ricezione delle istanze delle donne la chiusura è stata ribadita seccamente in diverse occasioni, confermando la validità delle conclusioni cui era giunto Giovanni Paolo II. Alcuni/e, come la teologa Marinella Perroni, annotano comunquel’importanza del cambio di registro adottato da Francesco, che avrebbe cercato pragmaticamente di smaschilizzare la chiesa selezionando figure femminili in posizioni amministrative apicali tradizionalmente ricoperte da maschi. Può darsi che sul lungo periodo anche queste azioni si rivelino produttive ma è lecito altresì nutrire dubbi sul concreto impatto che simili espedienti possono generare nel corpo di una chiesa che si pensa sotto il profilo più squisitamente teologico ministeriale ancora maschile. Davvero, piccole e non sempre felici modifiche dell’organigramma potranno generare un cambio così profondo di mentalità?L’interrogativo, com’è noto, non concerne solo il cattolicesimo romano ma anche le altre Chiese che con gradazione diversa resistono all’adozione di politiche paritarie di genere.

La politica estera del Papa
Senza voler entrare nelle complesse logiche della diplomazia vaticana, occorre chiedersi se sotto la regia del Pontificato di Bergoglio abbia difeso la libertà di fede dei credenti, che in ambito cattolico significa anche la libertas Ecclesiae, e abbiapromosso quei valori di pace e di concordia tra i popoli ad majorem Dei gloria, come recita il suo antico motto.
In un certo qual modo, va dato atto che l’accordo raggiunto dal Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin con la Cina già nel 2018 e poi rinnovato più volte, da ultimo nel 2024, relativo al riconoscimento delle nomine episcopali, nonostante le critiche che si possono fare e che sono state fatte, ha comunque permesso una (molto) relativa libertà di culto ai cattolici cinesi che si riconoscono nella Chiesa cattolica (Associazione patriottica cattolica), e una non banale libertà di movimento ai vescovi cattolici nell’esercizio del loro magistero.
Sul piano, per contro, delle scelte di campo fatte da questo pontificato si possono nutrire severi dubbi.
In perfetta coerenza con un certo pensiero gesuitico latinoamericano di impronta populistica, papa Francesco ha dato voce ad una critica molto ruvida nei confronti di quei valori e di quelle istanze che da sempre identificano l’Occidente democratico-liberale, quali ad esempio: il liberalismo, ilcapitalismo, l’individualismo, il consumismo, la logica del profitto, la proprietà privata, ecc. mantenendo invece un atteggiamento quasi più benevolo verso quei regimi che esprimono una radice social-populista. Fatalmente, l’impressione che ne è spesso scaturita è stata quella di una maggiore sotterranea simpatia verso autocrati come Putin (almeno fino al 2022), e Maduro che verso i leader della vecchia Europa o degli Stati Uniti.
Da questo punto di vista la distanza, ad esempio, da un papa polacco come Karol Woytila non poteva essere più marcata, riflesso certo di culture diverse e anche di condizioni storiche diverse.
Il richiamo incessante alla necessità di guadagnare una pace per un mondo attraversato da una “terza guerra mondiale a pezzi”, è di per sé lodevole e quanto mai opportuno, purché non si traduca, per dirla con Emmanuel Munier, in un pacifismo che per ignavia e miopia serve, per altra via, le stesse imprese della violenza.

In conclusione
Non è nostro compito esprimere auspici per il prossimo pontificato. Il Vescovo di Roma sarà eletto dalla Chiesa di Romariunita in conclave. Si possono nondimeno anticipare dei chiari rischi legati a questo evento anche per l’influenza che la più grande Chiesa cristiana, avente carattere statuale, può generare per le altre Chiese e per l’insieme delle Nazioni.
La concomitante sorpresa di una nazione americana incamminata sulla via della ridefinizione coatta delle proprie prerogative e della propria egemonia, suscita, come alcuni commentatori hanno del resto già notato, non pochi timori verso un eventuale pontificato troppo arrendevole ai richiami di un cattolicesimo identitario, autoreferenziale, e dalle spiccate simpatie verso nuovi messianismi politici. In un certo qual modo, sia detto con rispetto, non sarebbe proprio il caso di inclinare verso un Bergoglio “nordamericano”.

(Davide Romano è direttore del Dipartimento Affari Pubblici e Libertà Religiosa della Chiesa avventista in Italia, dirige anche l’Istituto Universitario Avventista “Villa Aurora” di Firenze).

Immagine: © Angelo Cordeschi | Dreamstime.com

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