L’arte di rallentare il tempo
22 Aprile 2024

Tutte le cose che ci uniscono, comunità, famiglia, amicizia, prosperano grazie all’unica dimensione che sembra mancarci sempre: il tempo.

Carmen Lăiu – “Quando le cose accadono troppo in fretta, nessuno può essere sicuro di niente, di niente, nemmeno di se stesso” (Milan Kundera). 
Poco prima della mia visita in Svizzera, ho letto le avventure di una blogger che era in vacanza nel Paese dei Cantoni con la sua famiglia. L’ultimo giorno, su insistenza del marito, ma anche per non voler perdere il panorama unico del Monte Rigi, acquistarono degli abbonamenti della durata di tre giorni, che permettevano di viaggiare in treno, autobus, cabinovia e in ogni altro mezzo di trasporto pubblico.

Gli abbonamenti per tutti e quattro i membri della famiglia erano stati piuttosto costosi, ma la prospettiva di vedere le Alpi in tutto il loro splendore rendeva la spesa accettabile. Il giorno in cui salirono sul treno del Rigi, che li avrebbe portati in cima alla regina delle montagne, si resero conto non solo di aver sprecato i soldi, ma di aver anche perso le speranze di ammirare le cime innevate, le montagne azzurre, i laghi e quei verdi prati primaverili. Non si vedeva nulla. Oltre il finestrino del treno che risaliva i crinali della montagna, la nebbia era fitta. Era come se tutto il latte delle mucche all’alpeggio, trasformato in yogurt, fosse rotolato giù dalla cima, ricoprendo ogni angolo di un paesaggio da favola.

Presi da un’ondata allucinatoria, gli uomini moderni perdono qualcosa di molto più importante dei meravigliosi paesaggi delle Alpi. Sebbene ci sia così tanto da vedere, assaporare e condividere, spesso riusciamo a percepire solo ombre, sagome vaghe o una foschia simile a uno yogurt, oltre il finestrino del treno mentre corre attraverso i pochi decenni della nostra vita.

La mancanza di tempo e fretta ci impoveriscono 
“È una vita povera questa se, pieni di preoccupazioni, non abbiamo tempo per stare in piedi e guardare” ha scritto il poeta gallese W.H. Davies. 
La giornalista e scrittrice inglese Catherine Blyth osserva: "Spesso pensiamo al tempo in termini di produttività, ma il modo in cui utilizziamo il nostro tempo parla della libertà che abbiamo o non abbiamo". Anche se leghiamo la mancanza di tempo al successo, non avere tempo significa essere più poveri, e la povertà di qualsiasi tipo significa impotenza.

Dopo una vita in cui non riusciva a rallentare, la scrittrice e conduttrice televisiva inglese Joan Bakewell, poche settimane dopo un’operazione all’anca, si è resa conto di quanto tutti sembrino frettolosi quando ci si muove lentamente. All’improvviso era diventata un ostacolo per gli altri, che la spingevano con impazienza o addirittura con irritazione, desiderosi di raggiungere un luogo per loro molto importante, a giudicare dall’entusiasmo con cui si dirigevano verso la loro destinazione sconosciuta.

Siamo diventati così frettolosi e sopraffatti dalle preoccupazioni per necessità, o è semplicemente una nostra scelta? Bakewell ammette che nel suo caso sono vere entrambe le cose. Da un lato, ci sono tanti aspetti tra i quali destreggiarsi: cucinare, pulire la casa, fare acquisti online o nei negozi, prendersi cura del giardino, occuparsi dei bambini, incontrare la famiglia e gli amici, gli impegni di lavoro… L’elenco è abbastanza lungo da far sembrare il sonno una vera benedizione.

D’altro canto, anche la lista delle cose che non dobbiamo, ma vogliamo fare è anch’essa molto lunga. Nel caso di Bakewell comprende ricette da provare, stanze da riorganizzare o luoghi da vedere. Queste sono certamente scelte, ma come per molte persone, spesso ci si confonde quando si tratta di distinguerle dalle necessità.

La scrittrice americana Melissa Kirsch, ricordando la mattina in cui inciampò sulle scale della metropolitana perché aveva troppa fretta, annovera tra i danni non solo i graffi e le contusioni riportate, ma anche l’ulteriore disagio che ha recato a coloro con cui ha interagito in quella occasione.

“Abbiamo fretta perché siamo in ritardo. Abbiamo fretta anche perché vogliamo allontanarci velocemente dal disagio. Ci affrettiamo a trovare soluzioni ai problemi che trarrebbero beneficio da una considerazione più approfondita. Ci affrettiamo ad assumere obblighi, decisioni o relazioni perché vogliamo che le cose siano risolte” scrive Kirsch, sottolineando quanto sia ridicolo trattare la vita semplicemente come un elenco di cose da risolvere, non un elenco di cose da fare.

Poiché spesso si ritrovava a voler passare al punto successivo della lista, anche quando si stava godendo quello che stava facendo, Kirsch dice di aver imparato a fermarsi e a chiedersi dove correva e perché. Queste sono ottime domande che si pone anche la poetessa americana Marie Howe in uno dei suoi componimenti. Mentre costringe la sua bambina a starle dietro in un’intensa giornata piena di corse in lavanderia, a fare la spesa, al mercato e al distributore di benzina, l’autrice si rende conto dell’inutilità della propria fretta, che trasmette alla figlia: “Dove voglio che vada di fretta? Alla sua tomba? / Alla mia?".

Un ritmo più lento, una vita migliore: come rallentare 
L’ossessione di andare sempre più veloci ci ha portato in un’“era di rabbia”,[1] scrive il giornalista scozzese Carl Honoré, autore di un libro sulla vita sotto la tirannia del cronometro, notando la rabbia e l’irritazione che manifestiamo per strada, quando facciamo la spesa, nelle relazioni o al lavoro. Non tolleriamo più interruzioni né ritardi, e in questa corsa in cui non riusciamo più a staccare il piede dall’acceleratore, in qualche modo scopriamo che gli altri sono diventati degli ostacoli da superare per arrivare in tempo.

Sfogliando un giornale all’aeroporto di Roma, Honoré ha avuto un’illuminazione quando ha letto di un progetto pensato per accorciare il tempo che i genitori trascorrono con i propri figli prima di andare a dormire: fiabe classiche condensate in serie audio di un minuto. L’idea di finire cinque storie in soli cinque minuti sembrava troppo bella per essere vera; questo accadeva in un momento in cui suo figlio di due anni chiedeva storie lunghe, da leggere lungamente, mentre lui faticava per scegliere le storie più brevi, da riuscire a leggere il più velocemente possibile in modo da poter passare al punto successivo in agenda, che si trattasse del lavoro, della cena, di un buon libro o del telegiornale della sera. Fu solo quando iniziò a calcolare quanto tempo avrebbe guadagnato con la nuova serie di fiabe che si rese conto di quanto fosse diventata distorta la sua visione della vita e delle cose belle in essa contenute, infettato da questo virus della fretta che sembra non abbandonarlo mai e che non perdona nessuno.

Infatti, è proprio questa rivelazione degli effetti dei ritmi frenetici della vita adulta sui nostri figli (sempre più bambini e adolescenti finiscono dallo psicologo con sintomi di depressione e ansia, o con disturbi alimentari) a farci capire che forse la cosa più ragionevole è rallentare. Dopotutto, “tutte le cose che ci uniscono e rendono la vita degna di essere vissuta – comunità, famiglia, amicizia – prosperano grazie all’unica cosa di cui non abbiamo mai abbastanza: il tempo”.[2]

Non esiste una formula infallibile per rallentare, ma ognuno di noi può cercare l’equilibrio e il ritmo che più gli si addice, conclude Honoré, dopo aver esaminato diversi ambiti della vita colpiti da questa corsa perpetua ed essere giunto a una conclusione prevedibile: spesso, vivere più lentamente è meglio per la salute, il lavoro e le relazioni familiari.

Il cambiamento inizia con piccoli passi. Si può scegliere di mangiare lentamente, in compagnia di qualcuno, pietanze preparate con ingredienti che abbiamo in casa, piuttosto che ingurgitare cibo da fast food davanti al computer. Oppure, potremmo scegliere di goderci una mattinata soleggiata, invece di innervosirci nel traffico e irritare l’automobilista che ci precede. Potremmo iniziare prestando tutta la nostra attenzione a qualcuno in famiglia che ci sta dicendo qualcosa, invece di controllare il telefonino o scorrere mentalmente il programma della giornata.

Quello che cerchiamo in questo processo di rallentamento non è necessariamente la lentezza, ma la sensazione di poter gestire le attività quotidiane e godere delle cose belle della vita, osserva l’autrice americana Tchiki Davis. Alcuni dei suoi suggerimenti sono: fare pause mirate, ridurre il tempo trascorso al telefono, scrivere un diario (è una tecnica utile per "aiutare il nostro cervello a cambiare marcia") o passeggiare nella natura.

Abbracciare la semplicità e il minimalismo, dire no a programmi e attività di cui non abbiamo veramente bisogno, concentrarci sulle esperienze presenti piuttosto che lasciarle scivolare nel futuro o nel passato, coltivare la gioia e la gratitudine per le cose belle della vita sono altri modi per sfuggire alla corsa sfrenata.

Il tempo per gli altri è tempo che doniamo a noi stessi 
La mancanza di tempo può indurci ad agire contro le nostre convinzioni e i nostri principi (o almeno a livello indicativo), come dimostra un famoso esperimento condotto al Seminario teologico di Princeton nel 1970. Mentre cercavano un edificio nel campus in cui dovevano tenere un incontro (alcuni sulla parabola del buon samaritano appena letta, altri su un altro argomento), gli studenti si sono imbattuti in una persona accasciata sul ciglio della strada, che gemeva. La “vittima” faceva parte del gruppo di ricerca, ma gli studenti non lo sapevano.

La maggior parte dei seminaristi non ha aiutato la persona caduta perché aveva fretta di raggiungere il luogo dove avrebbero presentato la relazione. I risultati hanno smentito l’ipotesi dei ricercatori secondo cui gli studenti che avevano appena letto la parabola del buon samaritano sarebbero stati più propensi ad aiutare. La maggior parte di loro, infatti, ha ignorato l’uomo bisognoso, non gli ha chiesto cosa fosse successo o si fermava per un momento al suo fianco senza aiutarlo davvero. L’unico fattore che ha fatto la differenza è stato il tempo. Mentre alcuni partecipanti pensavano di avere abbastanza tempo per arrivare alla conferenza, altri sono stati avvertiti di affrettarsi perché sarebbero arrivati in ritardo. Alla fine, due terzi degli studenti che ritenevano di avere tempo e solo il 10% di quelli che pensavano di essere in ritardo si sono fermati per aiutare la “vittima”.

Se la percezione della mancanza di tempo ha reso insensibili a un bisogno evidente coloro che hanno maggiori probabilità di fare del bene (e più di mezzo secolo fa, in un mondo che sembrava muoversi piuttosto lentamente), quale speranza possiamo avere?

Nel tentativo di rispondere a questa domanda, la dottoressa americana Gabriella Rosen Kellerman suggerisce che il problema risieda nel modo in cui il nostro cervello percepisce il tempo. Diventa un fattore determinante nel decidere se fermarci (o meno) per venire incontro ai bisogni di coloro che vivono intorno a noi. Spesso non è tanto la mancanza oggettiva di tempo quanto la nostra percezione soggettiva di essa, scrive Kellerman, spiegando che l’incito a sbrigarsi innesca un certo meccanismo nella nostra mente che ci costringe ad aumentare la velocità e a ignorare tutto ciò che ci distrarrebbe dal nostro obiettivo.

Le persone generose con il loro tempo sperimentano l’abbondanza di tempo 
Quando abbiamo poco tempo, siamo ancora meno propensi ad aiutare gli altri, ma questa potrebbe essere proprio la soluzione, secondo uno studio del 2010. I ricercatori hanno scoperto che le persone che sono generose con il loro tempo sperimentano una sensazione di abbondanza di tempo. E poiché si sentono anche più efficienti, coloro che donano tempo hanno maggiori probabilità di trascorrere del tempo con gli altri nonostante i loro impegni.

Questa è davvero una buona notizia per coloro che lamentano di aver perso il controllo del proprio tempo e di essere troppo stanchi per investire nelle relazioni con gli altri. Il tempo non è denaro, né lo è l’ambizione di battere tutti i record di velocità. È la vita che è stata messa nelle nostre mani che porta con sé la promessa dell’eternità e attraverso di essa tocchiamo la vita di coloro che Dio ha posto in mezzo a noi. 

(Carmen Lăiu è redattrice di Signs of the Times Romania e ST Network).

Note 
[1] Carl Honoré, In Praise of Slow: How a Worldwide Movement Is Challenging the Cult of Speed (Elogio della lentezza: come un movimento mondiale sfida il culto della velocità), Orion, 2005 p. 32. 
[2] Ivi, p. 27.

[Fonte: st.network. Traduzione: V. Addazio]  
[Foto: Graziano Capponago]

 

 

 

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