Lettere al Messaggero. Adozioni alle coppie gay
18 Marzo 2013
Lettere al Messaggero. Adozioni alle coppie gay
18 Marzo 2013

Disagio. Credo che sia la parola più adatta nel sintetizzare i tentativi di inquadrare il tema dell’omosessualità all’interno di una cornice laica e allo stesso tempo biblica. Disagio è il termine che sento esprimere dall’autore della replica (Davide Mozzato) all’editoriale on line di Raffaele Battista (Il Messaggero Avventista Online n. 5) sulla legge che autorizza in Francia l’adozione anche per le coppie omosessuali. Lo prova il fatto che Davide dichiara di essere passato da una sostanziale approvazione delle tesi di Raffaele a un relativo rapido passaggio a importanti distinguo. Fino a una sostanziale presa di distanza dalle perplessità di Raffaele sull’opportunità di concedere questa facoltà a coppie non eterosessuali.

Le obiezioni di Davide si possono affrontare opponendo un’altra fondamentale questione: prima di arrivare ad affidare un bambino a una coppia omosessuale quante coppie etero sono in lista di attesa per ottenere un affidamento? Perché attualmente, soprattutto in Italia, l’iter per arrivare all’adozione è alquanto macchinoso e scoraggiante. A tal punto che molte coppie si rivolgono all’estero, affrontando spese ingenti – fino a oltre 20 mila euro – per accogliere il bambino rimasto senza genitori. Non sarebbe quindi meglio lavorare a facilitare le coppie etero, che fino a prova contraria, con tutte le limitazioni di una condizione di «peccato», sono le realtà preposte a mettere al mondo dei figli?

Mi chiedo se di fronte a temi di estrema sensibilità nell’opinione pubblica prevalga più la preoccupazione di essere «politicamente corretti» rispetto invece alla necessità di esprimere pareri magari scomodi ma più vicini a un orientamento etico, nel nostro caso biblico. E così facendo, di perdere di vista soluzioni più adeguate allo stesso problema.

Ovviamente, non si stratta di fare discriminazioni o di considerare, in assoluto, patologica l’omosessualità. Anche se va ricordato che il processo con cui si arrivò a togliere il termine patologico a questa dimensione dell’essere avvenne in modo più politico che scientifico: nel 1973 nel Manuale di Diagnostica, Dsm-II, si ridefinì, sembra dietro pressioni culturali, l’omosessualità come «disturbo dell’orientamento sessuale» (vedi anche il Dossier Sessualità pubblicato dall’Unione avventista nel 2010, pp. 80-88).

A me sembra sempre più evidente che nella nostra chiesa si fatichi a realizzare un vero e proprio dibattito teologico su temi etici così spinosi. In realtà si fanno tentativi dialettici di gestire la difficoltà di affrontare un pensiero che nel tempo diventa maggioritario (accettazione nella pubblica opinione della condizione omosessuale), con le tradizionali categorie bibliche. Con il rischio di arrivare a conclusioni sbrigative, senza i dovuti passaggi intermedi di riflessione, ridiscussione ed eventualmente nuova sintesi. O, ancora peggio, a considerare la Bibbia un libro di ideali belli ma irrealizzabili.

Permettetemi quindi una semplice nota sociologica finale. I nostri leader spirituali e teologi, nell’affrontare temi del genere, tengano conto del substrato culturale e biblico delle nostre comunità, frutto di ultra secolari sedimentazioni. E non arrivino a considerare improvvisamente privi di fondamento (ma non mi sto riferendo a Mozzato) certi argomenti etici che da letture bibliche emergono invece come certezze.

Ennio Battista, direttore del dipartimento Ministeri della Salute

 

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