Notizie Avventiste – Ieri, 9 aprile, la Chiesa cristiana avventista del 7° giorno ha firmato una convenzione con l’ospedale romano San Camillo-Forlanini relativa all’assistenza spirituale degli ammalati. Già nel 2010 la chiesa aveva firmato una simile convenzione con la ASL “Roma E” e con l’ospedale Santo Spirito. Le trattative sono in corso anche con l’Ospedale Gemelli.
Alcuni responsabili delle comunità avventiste – come pastori, anziani di chiesa e diaconi – possono già visitare liberamente i propri fedeli quando sono ricoverati in ospedale, grazie alla legge n. 516/1988 che regola i rapporti tra Chiesa avventista e Stato italiano.
Tutte queste convenzioni hanno però una caratteristica particolare: sono partite dagli stessi ospedali che dimostrano in questo modo una presa di coscienza e una crescente sensibilità verso quei bisogni del paziente che oltrepassano la sfera fisica. A questo proposito i nosocomi hanno iniziato anche una serie di corsi di formazione per medici e personale.
Per capire meglio di che cosa si tratta, abbiamo rivolto alcune domande a Dora Bognandi, direttore del dipartimento Affari pubblici e Libertà religiosa dell’Unione avventista italiana, che sta seguendo queste iniziative.
Notizie Avventiste: Come è sorto e come si è sviluppato questo progetto?
Dora Bognandi: L’idea è partita dalle Molinette di Torino dove l’ospedale, per venire incontro alle esigenze spirituali sempre più eterogenee dei degenti, ha ipotizzato un’assistenza spirituale diversificata e la creazione della cosiddetta “stanza del silenzio”, proprio perché la società oggi non è più massicciamente cattolica. Nel momento del dolore e della malattia in particolare, le persone avvertono delle esigenze che esulano dalle cure mediche, ma che permettono una più completa guarigione o un’accettazione della situazione avversa. L’esigenza di venire incontro a tali necessità è stata avvertita anche da alcuni medici particolarmente sensibili che operano presso la ASL “Roma E” e presso altri ospedali romani. Essi, partendo dall’assunto che possono curare il corpo ma non l’anima dei pazienti, hanno chiesto aiuto alle principali comunità religiose che operano sul territorio, assieme alle quali hanno elaborato dei protocolli di intesa, attirando così l’attenzione anche del Ministero della Salute che ha istituito una Commissione per sviluppare il progetto e proporlo a livello più ampio.
N. A.: Quali confessioni religiose collaborano a queste iniziative?
D. B.: Si va dalle denominazioni cristiane come protestanti e ortodossi, all’islam, al buddhismo, all’induismo, all’ebraismo, ai baha’ì e ad altri.
N. A.: In che cosa consiste, in pratica, il progetto?
D. B.: In pratica, gli esponenti delle religioni che desiderano collaborare in questa attività, firmando una convenzione con l’ospedale, si impegnano a rispondere, a titolo gratuito, alle richieste volontarie dei pazienti. Per fare ciò e garantire la privacy degli ammalati a cui non si può chiedere l’appartenenza religiosa, nelle bacheche viene esposto un annuncio che informa sulla possibilità di un’assistenza diversa da quella cattolica e, se i pazienti desiderano ricevere una visita da parte di uno dei ministri di culto delle confessioni che garantiscono la loro disponibilità, possono farlo liberamente richiedendo un numero di telefono che sarà loro fornito dagli operatori.
Inoltre, per esporre al personale ospedaliero le specificità delle varie fedi in relazione alla malattia, alla morte, alle varie tradizioni alimentari derivanti del credo professato, si organizzano corsi di formazione per medici, infermieri e volontari, in modo che la loro azione favorisca al massimo la cura somministrata al paziente e gli garantisca una grande attenzione e rispetto anche per la sua fede religiosa. Oltre a ciò, prepariamo dei testi, che raccogliamo in brochure e che rimangono a disposizione del personale dell’ospedale, dove ogni religione presenta le proprie specificità. Un primo lavoro è stato già pubblicato e in alto potete vederne la copertina.