Profezia? Attenzione, campo minato
25 Settembre 2018
Profezia? Attenzione, campo minato
25 Settembre 2018

 

Luigi Caratelli – Quando sono entrato nella Chiesa avventista nel 1974, mi sono subito trovato immerso nel grande mare della profezia. Erano anni, quelli, di fervore apocalittico che, notai in seguito, non era sempre positivo.

Ricordo benissimo una sorella che mi «ossessionava» con la sua ossessione di trovare un posto tra le montagne nel quale rifuguarsi nei giorni della «distretta finale». Capii, comunque, che la colpa non si doveva cercare nella teologia apocalittica avventista, ma nei problemi di ordine psichico di soggetti umani (non molti), e nella predicazione un po’ esagerata di altrettanti soggetti umani (un po’ più numerosi dei primi). Di solito portato alla prudenza, non mi sono lasciato contagiare dalla «smania dei segni». Soprattutto, non ho mai ritenuto utile – più che mai nella chiesa – di rispondere a un’azione con una reazione, senza aver avuto basi solide per agire.

Per quanto riguarda il tema in oggetto, le profezie, ho notato che alla predicazione «terroristica» (mi si perdoni l’immagine simbolica, di certo impropria, ma efficace) del comparto profetico, si opponeva una reazione che definirei (anche qui esagerando nella scelta dell’immagine) da «artificieri». Una reazione anch’essa pericolosa quanto il suo opposto. Anzi, direi che nella situazione attuale sembra sia stata emessa una sorta di parola d’ordine, una nenia che si tramanda di padre in figlio; o, se si preferisce, da insegnante a studente: chi si occupa di profezia – viene detto – giocherebbe con la sfera di cristallo, si fascerebbe la testa prima di rompersela e dovrebbe dimenticare ogni discorso sui segni dei tempi, tanto – si aggiunge – quando le cose avverranno, accadranno e basta.

Vangelo, non profezia!
Gli artificieri, nel lodevole impegno di disinnescare bombe teologiche, ci dicono: «Occupiamoci solo del vangelo, dei poveri e dei bisogni della gente, anziché proiettarci in un futuro che non ci appartiene!».

Diciamo che, se dovessi scoprirmi, mi dichiarerei decisamente a favore degli artificieri; se non fosse per una loro illogicità. Se il vero verbo sarebbe quello che ci spinge a occuparci dei poveri, dei problemi sociali e del conforto spirituale, non comprendo come non potrebbe essere altrettanto nel solco dell’impegno cristiano colui che a tutte queste caratteristiche assomma anche quella dello studio delle profezie.

Rilevo, senza retorica, un pericolo: ci si sta impegnando troppo a spegnere i fuochi degli incendiari, senza accorgersi che si sta spegnendo anche il fuoco della profezia.

Per quale recondito motivo coloro che si occupano di profezia sarebbero avulsi dalle esigenze della quotidianità? Non è forse «profezia applicata» al quotidiano quanto l’apostolo Giacomo scrive nella sua lettera, proprio in riferimento alla situazione dei poveri? Leggiamo il testo: «A voi ora, o ricchi! Piangete… Ecco, il salario da voi frodato ai lavoratori che hanno mietuto i vostri campi grida… Avete condannato, avete ucciso il giusto» (Gm 5:1-6).

Giacomo proietta «negli ultimi giorni» una situazione sociale che, nonostante sia stata teatro drammatico di tutte le epoche, sarà ingestibile alla fine dei tempi. Stessa considerazione escatologica viene fatta dal Commentario Biblico Avventista. È una profezia che rende sensibile il credente alle esigenze di quanti sono stati «frodati» dal lecito «salario» per il lavoro «nei campi», da ributtanti moderni caporali.

Giacomo, e la teologia avventista, ritengono questo uno scenario da «fine dei tempi». La profezia si rivela nella storia e ci aiuta a interpretarla. Proprio per renderci cristiani attenti alle necessità dei nostri contemporanei. Quindi, la profezia ci distrae dal vangelo?

Aggiustamenti teologici
Ripeto, sono decisamente distante da quanti usano le profezie per ferire, più che a fasciare cuori. Ma mi sento lontano anche da quanti, per rimediare alle esagerazioni dei primi, escogitano – quasi sempre inconsciamente e con sincerità – rifacimenti, smussamenti che in fin dei conti danneggiano la verità.

Come l’ardita operazione messa in atto dagli editori del libro Il gran conflitto del 1996. Alla pagina 12, infatti, si scriveva: «Ciò che appare difficile da accettare nelle spiegazioni offerte da Ellen G. White è l’importanza attribuita al sabato come fattore scatenante di una persecuzione all’interno del mondo cristiano e il ruolo decisivo che in questi eventi giocherebbe lo spiritismo». Dovremmo anche noi correggere il tiro riguardo l’attendibilità delle profezie della White? Ci viene detto: «… come giustamente osserva in un articolo di Spectrum lo studioso avventista Jonathan Butler, occorre tener conto del contesto storico in cui Ellen G. White scrisse».

Anche gli articolisti di Spectrum, e gli editori italiani, dovrebbero tener conto del contesto storico, e non stravolgere le profezie stesse eliminando il loro contesto futuro. Insomma potè più Spectrum, in materia di profezie, che la stessa White, dato che il suo odore di Medioevo mai potrà competere con la novella teologia?

Mentre la scrittrice profetizza per gli ultimi giorni – non per i suoi – la rinascita dello spiritismo quale arma di Satana, poco prima del ritorno di Cristo, gli editori del 1996 si permettono di scrivere: «Tuttavia la congiura delle tre forze citate, prevista da Ellen G. White e plausibile al suo tempo, si rivelò ben presto improbabile… è difficile, attualmente prevedere una congiura cattolico-protestante-parapsicologica su un tema così poco sentito quale il rispetto del giorno del riposo. Ormai la società occidentale non è più una società di impronta religiosa come nel secolo scorso» – Op. cit., pp. 13, 14.

Da notare il contrasto: i commentatori di E. G. White annullano la sua profezia con un «pare difficile», oppure «pare improbabile», ecc., mentre lei, nel gran conflitto insiste sul fatto che «Dal punto di vista della ragione umana, tutto questo sembra impossibile».1

Il problema è proprio qui: ad alcuni pare «impossibile», perché fanno leva «solo» sulla loro ragione. Parlano sì di profezie, ma aggiungono i loro ragionamenti, con la scusa che interpretano meglio.

Ecco come, chi si carica dell’onere di essere un «artificiere» non deve commettere il tremendo errore di accomodare o aggiustare la visione profetica; di fatto annullandola.

La conoscenza aumenterà
Il Signore ha esplicitamente detto al profeta Daniele che il suo libro sarebbe stato compreso al tempo della fine (cioè dal 1844 in poi); ha aggiunto che la conoscenza delle profezie sarebbe aumentata proprio grazie allo studio degli scritti del profeta (Da 12:4). Daniele stesso non potè comprendere tutto ciò che gli era stato rivelato (giusto, quindi, contestualizzare ogni profezia); mentre (v.10), senza dubbi, «I saggi comprenderanno ciò che avviene» (è giusto, quindi, applicarsi allo studio contestualizzato delle profezie).

Se i magi, ad esempio, avessero seguito i consigli di chi invita a guardare altrove «senza rompersi la testa» con inutili elucubrazioni tanto «avverrà quando avverrà», non sarebbero mai giunti puntuali a Betlemme.

È invece accaduto il contrario: «Camminando (i magi, ndr) di notte per poter seguire la stella… ricordavano nel lungo cammino i detti tramandati e le profezie concernenti colui che stavano cercando. A ogni tappa, nelle ore di riposo, ristudiavano le profezie e si convincevano di essere guidati da Dio».2 I magi non erano solo guidati da una stella ma, prima ancora, da una profezia. Questi «sapienti», come li chiama E. G. White, rimasero fortemente delusi dalla «noncuranza» con cui sacerdoti e popolo accolsero la realizzazione del vaticinio. Scrive ancora E. G. White: «Alcuni di quelli che gli ebrei chiamavano pagani comprendevano meglio di certi maestri d’Israele le profezie della Scrittura su tale venuta».3

Erano i sacerdoti, i detentori della verità, i teologi che avrebbero dovuto essere pronti; invece rimasero spiazzati. Non guardavano dalla parte giusta; non insegnavano le cose che fanno vivere. I magi, invece, compresero. Compresero perché, come affermato da Daniele, erano «saggi» e «intelligenti», e «studiando il libro con cura» la loro «conoscenza» aumentò, anche se il processo durò centinaia di anni.

Noi, oggi, potremmo fare di meno? Non possiamo, per il semplice fatto che sono trascorsi più di 150 anni dalla proclamazione delle profezie che ci riguardano; siamo più vicini (non importa di quanto) al loro compiersi e proprio oggi non possiamo permetterci di guardare da un’altra parte. Anzi, sempre dagli scritti di E. G. White, apprendiamo che: «È necessario, come non mai, uno studio più accurato della Parola di Dio, e in modo particolare dei libri di Daniele e Apocalisse… La luce che Daniele ricevette dal Signore era stata soprattutto per gli ultimi tempi».4 «Il popolo di Dio deve studiare e capire queste profezie. La verità non è nascosta ma chiaramente predetta e ci dice cosa avverrà nel futuro».5  Ma, soprattutto: «I giovani dovrebbero comprendere queste cose e sapere quello che accadrà prima della fine della storia. Questi eventi riguardano il nostro bene eterno e perciò insegnanti e studenti dovrebbero prestare maggior attenzione».6

Dovrebbero prestare «maggiore attenzione», non spegnere i fuochi.

Quando Gesù, dopo la sua risurrezione, incontrò i viandanti di Emmaus, si stupì del fatto che erano «insensati e tardi di cuore a credere a tutte le cose che i profeti hanno dette» (Lu 24:25). Insensati e tardi è l’esperienza diametralmente opposta rispetto a coloro che sono «saggi», «sapienti», «intelligenti» perché studiano le profezie «con cura». Non sono né incendiari né artificieri.

Le donne andarono al sepolcro nonostante questo fosse vuoto. Era vuoto perché la profezia si era realizzata. E cercarono i «segni dei tempi»; cercarono il Maestro, contro ogni evidenza.

Facendo guardare il popolo da un’altra parte, gli artificieri lo distraggono sino a condurlo lontano dalla profezia; fino a dissolverlo nel magma del «così fan tutti». Fino a frantumare l’identità.

È, comunque, mia convinzione che la chiesa abbia bisogno degli «incendiari» che sappiano infiammare i cuori; ma anche degli «artificieri» che sappiano spegnere ardori esagerati: la chiesa ha bisogno degli uni e degli altri, purché si lascino moderare dallo Spirito del Signore.

L’avventismo è nato nella discussione e nel confronto fraterno fra le sue diverse anime. Non potrà essere diversamente per l’oggi.

Note

1 E. G. White, Il gran conflitto, p. 475.
2 La speranza dell’uomo, 1978, p. 34.
3 Idem, p. 19.
4 Testimonies to Ministers, 1896, pp. 112,113.
5 Notebook Leaflets, 1903, vol. 1, , p. 96.
6 Testimonies for the Church, 1900, vol. 6, pp. 128, 129.

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